La “Super cosa” in Lombardia, arrestato il canicattinese Gioacchino Amico 

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La Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi di tre indagati coinvolti nell’inchiesta milanese “Hydra”, l’indagine che ipotizza l’esistenza in Lombardia di un presunto “patto” tra le tre principali organizzazioni criminali del Paese – mafia, ‘ndrangheta e camorra. I carabinieri del Nucleo Investigativo di Milano hanno eseguito i tre arresti nelle scorse ore: si tratta di Gioacchino Amico, per tutti “Iachino”, 39 anni, di Canicattì. Insieme a lui in manette finiscono anche Pietro Mannino, presunto esponente per Cosa Nostra, e Vincenzo Senese, già detenuto per altri fatti, a cui l’ordinanza è stata notificata in carcere. Un anno fa il gip aveva respinto 140 richieste di arresti per i 153 indagati e aveva disposto il carcere solo per 11 persone accusate di diversi reati, ma non accusati di associazione mafiosa. Tre mesi fa, invece, il Riesame aveva accolto il ricorso della procura di Milano sostenendo l’esistenza di un ‘patto’ tra le mafie – Cosa Nostra, ‘ndrangheta e camorra –  definito come il “sistema mafioso lombardo”. 

L’ASCESA DI IACHINO AMICO, DALLE TRUFFE AI LEGAMI CON LA POLITICA 

Tra i protagonisti assoluti dell’intera inchiesta c’è il canicattinese Gioacchino Amico, ritenuto un esponente del clan camorristico Senese. Per la Procura di Milano, guidata dall’agrigentino Marcello Viola, il canicattinese Gioacchino “Iachinu” Amico, 39 anni, ha percorso con successo molteplici tragitti non tutti nel senso indicato dalla legalità. Dalle truffe in provincia di Agrigento per ottenere prestiti (fu arrestato nel 2010 nell’operazione Cash della Squadra mobile) ad un ruolo di primo piano nel clan camorristico Senese, la famiglia riconducibile al figlio di “Michele o pazz”. Ma di strada Gioacchino Amato ne ha fatta tanta e, a dire il vero, con molta sorpresa di quanti lo hanno conosciuto. Nelle oltre duemila pagine di ordinanza il suo nome compare continuamente e c’è di tutto. Traffico di droga, estorsioni, appalti, legami con la politica, addirittura il presunto coinvolgimento in un omicidio (“lupara bianca”) e un ruolo di vertice nella “super cosa”, una confederazione tra famiglie di Cosa nostra, ndrangheta e camorra che operava in Lombardia. La politica era il suo pallino sin da giovane e aveva tentato, senza molto successo, a candidarsi per un posto al Consiglio comunale di Canicattì. Era il 2016 e Gioacchino Amico si era candidato con il Movimento Fare guidato allora dall’ex sindaco di Verona Flavio Tosi, sostenendo la candidatura a sindaco di Gioacchino Asti ex assessore Dc della Giunta Corbo. Andò male ma il rampante (lo abbiamo scoperto adesso) canicattinese depose le armi in attesa di tempi migliori, senza tuttavia perdere di vista l’importanza della politica nel senso peggiore del termine. Per lui la politica doveva stare al servizio e attuare i desiderata di gente senza scrupoli.

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L’OMICIDIO DI “TANO U CURTU” E QUELL’ULTIMO INCONTRO A CANICATTI 

Tra le carte dell’inchiesta emerge, ad esempio, un caso di “lupara bianca”: l’omicidio di Gaetano Cantarella, scomparso misteriosamente il 3 febbraio 2020. Per gli inquirenti milanesi nell’omicidio ci sarebbe un “diretto e pregnante coinvolgimento di Gioacchino Amico e Raimondo Orlando. Ma partiamo dall’inizio. Chi è Gaetano Cantarella? Detto “Tano u curtu”, arrestato e poi assolto in una operazione antimafia sul clan dei “carcagnusi” di Catania, è il cugino della moglie del boss Santo Mazzei. Alla base del delitto, secondo la procura, ci sarebbero stati dissidi di natura economica tra Cantarella e Amico. Quest’ultimo, insieme ad Orlando, è una delle ultime persone ad aver visto in vita Tano u curtu. Gli inquirenti avevano cominciato da poco a monitorare i suoi spostamenti. L’1 febbraio 2020 Cantarella tornava a Catania e, il giorno dopo, si accordava per incontrarsi con Amico a Canicattì. Così avviene il 3 febbraio. Il gps installato sulla Fiat Panda di Tano u curtu traccia il suo percorso da Catania a Canicattì dove arriva intorno alle 11 del mattino. Da quel momento in poi non si avranno mai più sue notizie. Una ricostruzione, quella del caso di lupara bianca, che è stata letteralmente smontata dal gip del tribunale di Milano che definisce l’ipotesi della procura “una mera speculazione priva del sia pur minimo appiglio indiziario. E il giudice motiva: “È inspiegabile che l’omicidio di Gaetano Cantarella, altro membro del medesimo gruppo, sia stato deciso da Gioacchino Amico senza l’avallo di Giancarlo Vestiti (membro del clan Senese). Anzi, a ben vedere quest’ultimo non sapeva nemmeno chi fosse l’autore dell’omicidio, tanto da paventare l’idea di interrogare le altre organizzazioni criminali.  Ciò è ancor più anomalo se si segue la tesi secondo cui l’omicidio sia maturato per ragioni endogene al gruppo romano, essendo evidente che, ove così fosse, Giancarlo Vestiti ne doveva certamente essere a conoscenza.”

IL MATRIMONIO DI GIOACCHINO AMICO E LA LISTA “PARTICOLARE” DI INVITATI 

“Minchia napoletana, calabrese, siciliana è. Che minchia devo fare di più di questo! Per davvero con l’elicottero devono venire questa giornata! E se vengono con il drone.. che minchia vogliono.. mi sto sposando!”. È il 31 gennaio 2021. A parlare, intercettato in auto con la fidanzata ed il suocero, è Gioacchino Amico, 39 anni, di Canicattì. Amico è stato arrestato due giorni fa insieme ad altre dieci persone nell’operazione Hydra, l’inchiesta della procura di Milano che ipotizza una confederazione di organizzazioni criminali – cosa nostra, ndrangheta e camorra – operante in Lombardia. Per gli inquirenti milanesi, guidati dal procuratore agrigentino Marcello Viola, Amico ne aveva fatta di strada. Dalle truffe alle assicurazioni in provincia di Agrigento era diventato – secondo l’ipotesi dei magistrati – uno dei vertici dell’organizzazione criminale. Viene considerato un uomo del clan Senese, la famiglia camorristica guidata da “Michele o pazz”. Le forze dell’ordine intercettano una conversazione in auto tra il canicattinese, la sua futura moglie e il suocero. È il 31 gennaio 2021 e le nozze, previste per il settembre successivo, incombono. Bisogna dare le partecipazioni. La lista degli invitati è quantomeno particolare. Ed è lo stesso Amico, insieme alla compagna e al suocero, a commentare. Ci sono i Pizzata di San Luca (cosca di ndrangheta): “Ma che ci posso fare io? Che ci posso fare io, che noi Sanlucoti, mio compare Peppe di San Luca”. Ci sono i Senese, clan camorristico di Afragola guidati da Michele O’pazz e dal figlio Vincenzo: “Quelli di Roma non vengono? – E certo che vengono! Davvero con l’elicottero devono venire questa giornata!”. C’è Antonio Romeo, nipote di Sebastiano “U staccu” Romeo, storico capo dell’omonima ndrina e parente di Giuseppe Giorgia alias “capra”: “Quello che hanno preso latitante, quello che era parente della “pecora”, quello che era reggente di “gambazza”.. che ci posso fare io! Se è mio compare, lavoriamo insieme!”. C’è anche Enrico Nicoletti, nipote dell’omonimo nonno un tempo cassiere della famigerata Banda della Magliana: “A sto piccolino qua l’ho cresciuto io.. lo conosci questo in fotografia? Quello che è morto ora.. il cassiere della banda della Magliana.. questo è il nipote.. Righetto.. ha preso il suo nome.. L’ho cresciuto io il pupo a Roma.. lo posso non invitare? Gioia mia! Amore mio! Il Cassiere della Banda della Magliana! Amuni! …Era lui! Amunì! ….. Che è morto ora quando gli hanno fatto tutti quei funerali? Che devo fare se li ho cresciuti… cioè… con suo padre! Tieni qua! Che ci posso fare io! La vedi la foto… lui! Che ci posso fare!”. Ci sono anche Giuseppe e Stefano Fidanzati, rispettivamente figlio e fratello di don “Tanino” Fidanzati, già a capo della famiglia mafiosa dell’Acquasanta e di Arenella di Palermo: “Ma zi Ninni lo stesso! Il padre di Acquasanta!Ninni! Lo zio Stefano! il fratello di Arenella, il fratello di Acquasanta la buonanima!”. I Virga, dell’omonima famiglia mafiosa di Castelevetrano: “Tutti quelli di Castelvetrano.. ora.. i Virga.. quelli di là, quelli che sono con loro..”. C’è anche Antonio Messina, detto l’avvocato, legato all’ex superlatitante Matteo Messina Denaro: “E.. parlando del latitante.. Antonio Messina.. che dobbiamo fare?”. I “napoletani” collegati a Giancarlo Vestiti: “Un bordello ci sarà.. la famiglia di Giancarlo che dici no? Quelli di Secondigliano, quelli di Torre Annunziata! E qua siamo.. lì un miscuglio, c’è un bordello!”. Infineil rappresentante della locale di Legnano-Lonate Pozzolo nella persona di Massimo Rosi: “Massimo è un altro.. un altro elemento di questi..”.





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