Alla vigilia del Consiglio di amministrazione di Generali, previsto per domani e dedicato alla presentazione dello schema di accordo tra Generali Investments e Natixis, due soci privati del Leone hanno iniziato ad affilare le armi.
L’operazione, che punta a creare una piattaforma europea del risparmio gestito con masse amministrate vicine ai 2.000 miliardi di euro, ha sollevato dubbi e critiche da parte di Francesco Gaetano Caltagirone, che detiene il 6,9% del capitale, e di Delfin, il principale azionista privato con una quota del 9,9%.
Secondo le prime indiscrezioni, il piano vedrebbe Generali conferire, attraverso Generali Investment Holding (Gih), 650 miliardi di euro di masse gestite, ripartite su 14 veicoli. Dal canto suo, Natixis – terzo gestore europeo con 1.300 miliardi di euro di asset, di cui 1.200 miliardi distribuiti su 16 veicoli – apporterebbe le proprie attività alla joint venture.
L’accordo prevede una governance paritetica tra i due gruppi, con l’alternanza nella nomina dell’amministratore delegato: per il primo mandato, della durata di cinque anni, la guida del nuovo colosso del risparmio gestito dovrebbe essere affidata a Woody Bradford, attuale Ceo di Gih.
Nonostante il potenziale strategico dell’operazione, che mira a rafforzare la presenza di Generali nell’asset management a livello europeo, l’intesa ha incontrato un’opposizione decisa da parte di soci rilevanti come Caltagirone e Delfin.
Da quel che risulta, anche in virtù della presenza di consiglieri vicini al costruttore romano nel board di Generali, l’entourage di Caltagirone avrebbe sollevato dubbi sull’operazione sin da principio. Tra i punti più controversi c’è la cosiddetta exit strategy, cioè la mancanza di visibilità sul come e con che paletti verrà vincolata la durata dell’accordo.
Anche le ipotesi di governance proposta avrebbero sollevato perplessità: l’alternanza nella guida del gruppo e la ripartizione paritetica del controllo sono viste come potenziali fattori di instabilità, soprattutto in un’alleanza di tale portata.
Ancora più acceso è il dibattito sulla scelta del partner: la decisione di coinvolgere Natixis, controllata per il 70% dal gruppo bancario semi-pubblico francese BPCE, avrebbe spinto Caltagirone e Delfin a domandarsi apertamente perché Generali abbia optato per un soggetto francese anziché per un partner italiano.
Questo aspetto si intreccia con il timore che l’accordo possa indebolire la sovranità italiana sul risparmio gestito, in particolare quello custodito nelle polizze di Generali, andando a favorire logiche di investimento non pienamente allineate con gli interessi nazionali.
Al riguardo va peraltro sottolineato che nell’asset under management delle Generali non c’è solo il risparmio degli italiani, essendo la compagnia il primo assicuratore d’Europa per premi raccolti con una presenza di grande rilevanza soprattutto in Francia e Germania, oltre che in Italia.
Questo scenario, è la considerazione dei due soci privati, potrebbe attirare l’attenzione delle Autorità di vigilanza e sollevare questioni legate all’applicazione del golden power. Un altro nodo riguarda il debito sovrano italiano incluso nell’asset under management di Generali, che ammonta a circa 37 miliardi di BTP.
Ulteriore elemento di frizione è rappresentato dal coinvolgimento di Mediobanca, primo azionista di Generali con il 13%, in qualità di advisor dell’operazione. La scelta è stata definita da alcune fonti vicine a Caltagirone e Delfin come «una posa non elegante» ( la delibera per l’incarico è passata come impongono le regole dal Comitato Parti Correlate ndr.).
Infine, le riserve si concentrano anche sulla struttura dell’accordo e sul patto parasociale, il cui contenuto però al momento nessuno conosce nei dettagli. Il timore è che l’operazione, per come è stata delineata finora dalle indiscrezioni, rischi di sbilanciarsi a favore di Natixis, lasciando Generali in una posizione subordinata.
Se le critiche mosse, dicono varie fonti, non troveranno risposta nello schema che il Cda porterà all’attenzione del mercato dopo la riunione di lunedì, è possibile che Caltagirone decida di intraprendere azioni per richiedere la convocazione di un’assemblea straordinaria, sulla base di pareri legali che sono stati già raccolti.
L’obiettivo sarebbe ottenere una sentenza favorevole che imponga il passaggio assembleare per una operazione ritenuta trasformativa. Anche se al momento dall’entourage del costruttore romano le bocche restano cucite.
Resta da vedere se Delfin, che appare per ora più attendista rispetto a Caltagirone, deciderà di muoversi nella stessa direzione o aspetterà sviluppi prima di prendere una posizione definitiva.
Oggi si riunisce il Comitato investimenti straordinario e allargato e domani il cda che offriranno un quadro più chiaro sui contorni dell’accordo, dato che finora tutte le considerazioni sono state fatte sulla base di indiscrezioni.
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