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Dal patrimonio edilizio alle comunità energetiche. Due progetti di ricerca raccontati dai ricercatori di UniBg, Chiara Passoni e Giovanni Brumana nel settore delle costruzioni e sull’ottimizzazione delle Comunità energetiche in vista di un domani più sostenibile

Il patrimonio edilizio italiano è obsoleto e presenta una serie di vulnerabilità, per questo il contributo della ricerca è fondamentale nello studio di materiali, soluzioni e tecniche finalizzate al miglioramento delle performance e alla riduzione degli impatti ambientali, sociali ed economici legati al settore delle costruzioni. All’interno del Dipartimento di Ingegneria e Scienze Applicate vi è un team che si occupa di strutture e di ingegneria sismica. A fare da portavoce è la ricercatrice, Chiara Passoni, che spiega come è indispensabile ripensare la sostenibilità degli edifici. «Spesso non ci si rende conto che il patrimonio edilizio esistente è in realtà, a livello strutturale un patrimonio vulnerabile. Che cosa significa? Che è stato in gran percentuale costruito prima dell’entrata in vigore delle normative antisismiche – spiega la ricercatrice per delineare quella che è una nuova forma di sostenibilità che include al suo interno i concetti di sicurezza e di resilienza –. Vuol dire che sono stati costruiti per resistere principalmente ai carichi gravitazionali, come il contenuto di un edificio, ma non all’azione di un sisma».

Interrogarsi sul concetto di sostenibilità

La devastazione e le macerie che restano a seguito di un evento sismico sono la prova di quanto la sicurezza edilizia sia fondamentale da includere nel concetto di sostenibilità. Vedere – nei sopraluoghi post sisma – sopra alle macerie degli edifici i resti di pannelli fotovoltaici, fa sollevare delle riflessioni: «Fino ad ora la sostenibilità nel settore delle costruzioni è stata intesa in termini di consumi energetici ma se in caso di terremoto muoiono persone all’interno di un edificio efficientato, possiamo davvero dichiararlo sostenibile?».

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Queste sono le premesse della ricerca che negli ultimi anni ha ottenuto anche un riscontro e un’attenzione particolari a livello europeo. «Si è raggiunta la consapevolezza – afferma Passoni – che un patrimonio edilizio per essere definito sostenibile non può garantire solo la riduzione dei consumi ma deve garantire anche la sicurezza e la salvaguardia della vita umana e la resilienza, intesa come la capacità di recupero rapido a valle di un evento straordinario come il terremoto».

L’80% degli edifici nel 2050 sarà costituito da quelli esistenti

La problematica riscontrata oggi è che gli edifici nuovi, quindi a norma sia dal punto di vista sismico che energetico, in Italia sono pochi. Le stime dicono che nel 2050 l’80% del patrimonio di edifici esistente, sarà costituito dagli edifici che già esistono adesso. Per cui se vogliamo avere edifici che saranno sostenibili, sia dal punto di vista sismico che energetico, dobbiamo lavorare già adesso su quelli esistenti. La strada non è certo quella di demolire ciò che finora è stato costruito ma “ammodernare” ed efficientare quello che già c’è.

«Inizialmente la nostra risposta era proporre interventi di recupero integrato (energetico e strutturale) sugli edifici esistenti – spiega Passoni – poi abbiamo pensato di ampliare il campo e considerare dei criteri progettuali ispirati alla sostenibilità, che abbracciassero ogni fase del ciclo di vita dell’edificio». Questo è alla base della visione olistica del Life Cycle Thinking.

È la filosofia che abbraccia anche due dei casi-studio che si sono poi tramutati in veri e propri interventi nella provincia di Brescia: la palestra di una scuola e un intervento di edilizia popolare con l’applicazione del «sistema AdESA» (Adeguamento energetico sismico ed architettonico), che consiste in una tecnica di esoscheletro a secco, modulare e flessibile composto di diversi strati a seconda delle esigenze di riqualificazione dell’edificio.

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«In entrambi questi esempi non c’è solo il concetto dell’intervento integrato ma anche gli elementi prefabbricati e i dettagli costruttivi che permettono un rapido montaggio in modo tale da non gravare troppo sulla popolazione residente, quindi ridurre le tempistiche – spiega la ricercatrice -. La tecnologia utilizzata con i pannelli in legno prefabbricato è quella a guscio con cui si riesce a risolvere la parte più critica delle fondazioni».

Sostenibili “dall’inizio alla fine”

Si potrebbe dire che questa tipologia di visione si sposa bene con il concetto di pensare a lungo termine, fino al fine vita. «Gli strutturisti hanno la responsabilità di pensare, fin dalla concezione dell’edificio, che a fine vita non finisca tutto in discarica, ma che le varie parti possano essere smontate e riutilizzate – aggiunge Passoni –. Scegliere dei materiali che siano sostenibili, come il legno che è bio-based». Nelle fasi successive viene applicato lo stesso metodo: nel montaggio utilizzando soluzioni prefabbricate e riducendo i tempi di cantiere «per ridurre l’impatto su abitanti, sul quartiere, e in termini di consumo di mezzi».

Con altre scelte progettuali si può poi pensare alla minimizzazione degli impatti nelle fasi di utilizzo, manutenzione e fine vita. Un tema importante è ad esempio «il concetto di riduzione del danno a valle di un terremoto: oltre al fatto che l’edificio non crolli non vogliamo avere tempi lunghi di cantiere per ripristinare l’edificio e che richiederebbero di spostare le persone dalle loro abitazioni. È un modo per concentrare il danno e localizzarlo in elementi che chiamiamo connessioni tra l’esoscheletro, o porzioni di esso, e l’edificio. Queste connessioni, in acciaio, studiate ad hoc, sono in grado di concentrare su di sé tutto il danno del sisma, mantenendo gli altri elementi intatti, e possono essere velocemente sostituite. Questo permette di minimizzare l’impatto del danno sia in termini ambientali che economici».

Educazione all’energia secondo il principio di comunità

L’edilizia sostenibile è un ambito di ricerca correlato a quello dell’efficientamento energetico. Infatti, negli stessi interventi di edilizia, gli strutturisti hanno lavorato a fianco del team di ricerca che ha seguito la parte energetica. «È un grande passo che fa parte di questa nuova visione di concepire le strutture: dal momento in cui si vuole intervenire con una visione più corale per sopperire a tutte le lacune di un edificio bisogna fare in modo che le diverse figure professionali interagiscano fra loro» precisa Passoni. La sostenibilità all’interno del Dipartimento di Ingegneria passa anche attraverso due progetti di ricerca sulle Cer, acronimo di cui abbiamo tutti sentito parlare, almeno una volta, e che sta per Comunità Energetiche Rinnovabili. Approfondiamo questo filone di studi con l’aiuto del ricercatore Giovanni Brumana. Già a partire dal 2018 lavorava, insieme al team Energy System and Turbomachinery di UniBg, alle Remote Communities alimentate da fonti rinnovabili che a distanza di qualche anno sarebbero state proposte nella forma più fruibile di Cer.

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«Le Comunità energetiche rinnovabili sono indispensabili perché le reti elettriche nazionali, allo stato attuale, non sono in grado di supportare la produzione di energia rinnovabile da fotovoltaico che tutti producono nelle ore centrali del giorno e nessuno consuma in quel momento – spiega il ricercatore –. Il problema è che l’energia elettrica deve essere consumata istantaneamente, e quindi la Cer nasce come incentivo per convincere le persone a modificare il loro atteggiamento nell’utilizzo dell’energia rinnovabile». Vuol dire che chi aderisce alla Cer riceve un incentivo se consuma le energie rinnovabili proprie, dei vicini o della comunità quando queste vengono prodotte. «Qui entra quindi in gioco la logica di comunità – prosegue Brumana – un lavoratore che esce di casa alle 8 del mattino e rientra alle 7 di sera, un pensionato, una piccola azienda o il parrucchiere consumano tutti energia in momenti diversi della giornata di conseguenza l’energia prodotta dal lavoratore che non resta a casa viene virtualmente “trasferita” agli altri componenti della Cer che la consumano». La diversificazione dei soggetti che aderiscono alla Comunità energetica è un aspetto chiave, e poi, bisogna bilanciare il consumo di energia e la ridistribuzione della stessa tra i membri.

Per avanzare nella ricerca la partnership con il Parco scientifico e tecnologico di Stezzano, è indispensabile: «Collaborare con persone che si occupano di Cer ad alto livello sin dalla loro creazione e ci lavorano quotidianamente è il valore aggiunto. È una strategia vincente per entrambi e ci consente di trasformare il problema della stabilità di rete da sovraproduzione nella possibilità di incrementare l’uso delle fonti rinnovabili» aggiunge Brumana.

Supercalcolatori per ottimizzare le Cer e batteria di comunità

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È su questo secondo aspetto che si sta focalizzando uno dei progetti di ricerca legato all’ottimizzazione delle Cer. «I soggetti della Comunità sono il primo aspetto da valorizzare, poi bisogna massimizzare l’energia condivisa – prosegue Brumana – significa ottenere più incentivo da distribuire tra chi produce e chi consuma, contemporaneamente vuol dire creare un senso di appartenenza, combattere la povertà energetica (a cui è destinata una quota dell’incentivo, ndr), e fare del bene all’ambiente perché le persone sanno quando consumare energia e sono invogliate a farlo». Ottimizzare una Cer non è un processo semplice dal punto di vista della ricerca: «Abbiamo sviluppato un software che ci ha permesso di simulare le Cer attraverso un gemello digitale – spiega Brumana – il profilo energetico di ogni cittadino della città, consumatore o produttore è modellato da equazioni numeriche. La difficoltà è che vi sono tantissime variabili e dei comportamenti umani difficili da simulare al computer, oltre a una parte di calcolo che è molto onerosa». A venire in soccorso alla difficoltà di compiere calcoli così complessi è il Centro di calcolo dell’ateneo bergamasco che supporta il gruppo di ricerca con appositi supercalcolatori.

Il secondo filone di ricerca si occupa invece di studiare come migliorare gli accumuli e creare delle batterie di comunità. «Quando saturiamo la capacità di produrre energia rinnovabile cosa facciamo della rimanente energia? Siamo costretti ad accumularla per poter spostare la produzione di giorno alla sera, ma non per una mera logica monetaria bensì per consumare energia rinnovabile». Quindi l’obiettivo è riuscire a installare e gestire una batteria di comunità dove finiscono tutti gli esuberi che, nonostante gli sforzi di tutti, non si è riusciti a consumare.

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