Sicurezza delle donne: dati troppo vecchi. E con tutti i limiti delle statistiche giudiziarie

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L’ultima indagine dell’Istat sul fenomeno della violenza contro le donne risale al 2014. Rilevazioni ormai obsolete che non sono ancora stati sostituite da altre più attendibili e utili per capire a pieno quanto sia cambiata la situazione nell’ultimo decennio


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Potrebbe benissimo succedere che appena pubblicato questo articolo escano i risultati della nuova indagine svolta dall’Istat – nell’ambito delle cosiddette indagini multiscopo sulle famiglie – sulla sicurezza delle donne. Bene, vorrei che fosse chiaro che anche se così fosse questo articolo non ne risentirebbe, sarebbe comunque un articolo che ha una sua logica, una sua solida giustificazione.  Perché l’ultima indagine sulla sicurezza delle donne svolta dall’Istat risale al 2014, ha dunque dati che hanno ormai più di dieci anni. E naturalmente proprio per questo, per essere tanto vecchia, c’è da aspettarsi che da un giorno all’altro venga finalmente superata, aggiornata da una nuova indagine finalmente, c’è da sperare, in dirittura di arrivo. 

 
Ora, detta così la cosa non sembrerebbe neppure tanto grave. “Sicurezza delle Donne”: titolo troppo ampio e dunque troppo vago. Ma scendiamo dal titolo agli obiettivi, così come sono specificati dallo stesso Istat. Leggiamo, sul sito: “Gli obiettivi principali dell’indagine Sicurezza delle Donne riguardano: la conoscenza del fenomeno della violenza contro le donne in Italia in tutte le sue diverse forme, in termini di prevalenza e incidenza, e in particolare la violenza domestica; le caratteristiche di coloro che ne sono coinvolte e le conseguenze per le vittime; il numero oscuro delle violenze e le violenze subite prima dei 16 anni”.

 

Roba forte, dunque. Roba, se mi si passa il termine, che riempie gli schermi dei telegiornali, le pagine di quotidiani e magazine, fornisce materiali per inchieste, saggi, documentari, film e soprattutto dibattiti e talk-show.  A schiovere. Un diluvio, dunque, si finisce con lo scoprire, ancorato a dati vecchi di almeno un decennio? Sembrerebbe di sì.  Ma poi non è neppure così. Un diluvio ancorato a impressioni più che a certezze, semmai. Perché, ad esempio, i limiti delle statistiche giudiziarie nel rappresentare la criminalità sono altrettanto numerosi dei pregi: mancano di sottigliezza, sono ancorate alle denunce, ai delitti perseguiti, alle condanne. Qualcosa se ne ricava, senz’altro, ma anche soltanto dire di un anno ch’è stato migliore o peggiore di un altro, di una categoria di delitti ch’è in aumento o in contrazione è operazione che non lascia del tutto tranquilli, sicuri di aver detto la cosa giusta, di aver azzeccato la conclusione.

 

E se ad aumentare o diminuire sono state le denunce e non i delitti? E se le forze dell’ordine hanno accresciuto la loro efficienza, cosicché più persone si sono trovate in difetto e denunciate, senza che il fenomeno della delinquenza piccola e grande sottostante sia effettivamente cresciuto? Ma poi, nel mare magnum di delitti e reati, come districhi specificamente la violenza sulle donne nelle sue singole, molteplici componenti? Difficile, oltremodo difficile farsi un’idea in mancanza di una rilevazione specifica: campionaria, è vero, ma altamente attendibile in virtù tanto del disegno campionario che del numero delle persone intervistate. Le persone intervistate nell’Indagine dell’Istat sulla sicurezza delle donne sono le donne di 16-70 anni e sono decine di migliaia, sentite telefonicamente. Le risposte che hanno dato sono ferme al 2014: questo è quanto.

 

Ed ecco allora le due questioni.

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La prima: c’è un motivo, un motivo specifico, una ragione, una causa che impedisce la nuova indagine sulla sicurezza delle donne dopo che quella del 2014 è ormai obsoleta, superata? Se è così, perché non la si rimuove e si passa alla nuova indagine? E’ dunque tanto grave, questa ragione, questa causa, da poter bloccare per anni l’indagine su una problematica che arriva a smuovere l’interesse e a toccare la sensibilità di tutti?

 

La seconda. Non si può parlare di violenza contro le donne senza avere attendibili dati di riferimento sui quali fondare discorsi, analisi e proposte. Oltretutto dei nuovi dati sulla violenza contro le donne abbiamo un effettivo, stringente bisogno per capire come e quanto è cambiata la situazione al riguardo negli ultimi dieci anni. E’ davvero peggiorata come tutto farebbe pensare a leggere i giornali, ad ascoltare radio e televisione, a seguire i social network? O magari si tratta solo di un’impressione maturata in un nuovo clima di accresciuta sensibilità a certi argomenti, certe problematiche?
Insomma, comunque la si metta, l’Istat deve darsi una mossa. Non è concepibile che ci si debba rifare a dati vecchi di un decennio per affrontare con cognizione di causa un fenomeno di questa portata e attualità.
 





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