Sì con riserva: Netanyahu promette alla destra di tornare in guerra

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Dopo il voto, nel pomeriggio di ieri, da parte del gabinetto di sicurezza, si attende che anche il governo israeliano, ancora riunito mentre scriviamo, approvi l’accordo di cessate il fuoco. È stata una lunga giornata per Netanyahu, impegnato soprattutto a rassicurare i suoi alleati più agitati.

Gli appelli del ministro della sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, si sono moltiplicati nelle ultime ore nel tentativo di trovare complici pronti a far cadere il governo pur di non approvare la fine dell’attacco a Gaza. Se non ci saranno sorprese e l’intesa passerà, il leader di Potere ebraico, espressione dell’estrema destra suprematista israeliana, potrebbe lasciare il governo e portare con sé i sei seggi che occupa il suo gruppo in parlamento.

DOPO L’ARRINGA furibonda di Ben Gvir, il Likud, partito del premier, ha rilasciato una dichiarazione che nel giro di poche parole ha trasformato l’accordo che avrebbe dovuto parlare di pace in una promessa di guerra: «Contrariamente ai commenti di Ben Gvir, l’accordo esistente consente a Israele di tornare a combattere sotto garanzie americane, ricevere le armi e i mezzi di guerra di cui ha bisogno, massimizzare il numero di ostaggi viventi che saranno rilasciati, mantenere il pieno controllo della rotta Filadelfia e il cuscinetto di sicurezza che circonda l’intera Striscia di Gaza e ottenere risultati tali da garantire la sicurezza di Israele per generazioni».

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Promesse, queste, tutte dirette all’altro membro del governo fortemente contrario alla fine della guerra, Bezalel Smotrich, ministro delle finanze e capo di Sionismo religioso. Smotrich ha detto che avrebbe votato contro il piano ma, confortato dalle rassicurazioni di Netanyahu, di essere deciso a mantenere l’appoggio al governo.

Secondo Canale 12, anche durante la riunione del gabinetto di sicurezza il primo ministro ha lasciato intendere che con ogni probabilità Israele riprenderà i combattimenti dopo il completamento della prima fase e il rilascio dei 33 ostaggi trattenuti a Gaza dal gruppo islamico. Mentre Hamas non ha formalmente risposto a questi minacciosi intenti, le dichiarazioni hanno messo in forte allarme le famiglie dei prigionieri israeliani i cui nomi non sono inclusi nella lista dei primi 33 rilasci concordati.

Il Forum degli ostaggi ha chiesto al governo di non violare l’accordo dopo la prima fase, per non mettere a rischio la vita degli israeliani rimasti a Gaza. Giovedì sera a Tel Aviv, in testa a un grande corteo di sostegno all’intesa, uno striscione recitava: «Presidente Trump, riportali tutti a casa». Il tycoon sembra essere il vero protagonista di questa vicenda. Secondo alcuni media israeliani, deve aver convinto Netanyahu con la paura e le promesse. Molto probabilmente con gli stessi giuramenti che il premier ha presentato come contropartita ai suoi alleati.

Non è certo un caso che nella riunione del gabinetto di sicurezza, insieme al voto sull’intesa, sia passato a larga maggioranza anche quello sul «miglioramento della sicurezza in Cisgiordania». Innanzitutto della sicurezza dei coloni israeliani negli insediamenti illegali per il diritto internazionale: «Sarà aggiunto il seguente obiettivo di guerra: danneggiare significativamente le capacità delle organizzazioni armate in Cisgiordania e rafforzare difesa e sicurezza, con un’enfasi sul mantenimento della sicurezza dei viaggi e degli insediamenti».

CI SONO certi argomenti, in Israele, che mettono d’accordo quasi tutti. Anche il ministro della difesa Israel Katz ha parlato di nuove regole per la Cisgiordania, che ha applicato in una sorta di strana ripicca per la liberazione dei prigionieri palestinesi.

«Ho deciso di rilasciare i coloni in detenzione amministrativa – ha dichiarato – e di trasmettere un chiaro messaggio di rafforzamento e incoraggiamento degli insediamenti in Cisgiordania, in prima linea nella lotta contro il terrorismo palestinese e affrontano crescenti sfide per la sicurezza». In Cisgiordania, Israele applica la legge militare per i palestinesi sotto occupazione, trattenendoli in prigione, a volte per anni, senza condanne e senza accuse. Durante il ministero di Yoav Gallant, dodici coloni vennero sottoposti alla detenzione amministrativa. Di questi, cinque erano già stati rilasciati. Alla fine di giugno 2024 i palestinesi in detenzione amministrativa erano 3.340.

A questa stessa misura sono sottoposti 31 prigionieri dei 95 che Israele libererà nella prima fase dell’accordo. Tra i nomi spicca quello della parlamentare e dirigente del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, Khalida Jarrar. La leader femminista è stata riarrestata nel dicembre 2023 e da allora è in isolamento nonostante il suo stato di salute precario.

Il servizio carcerario israeliano ha dichiarato che vieterà qualsiasi «dimostrazione pubblica di gioia» quando i prigionieri verranno scarcerati. L’elenco include donne e minori di 21 anni, anche palestinesi con cittadinanza israeliana. I nomi delle tre donne che verranno liberate da Hamas dopo le 16 di domenica 19, saranno comunicati solo domani.

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A GAZA, intanto, i bombardamenti proseguono come se ci si trovasse ancora nel primo mese di guerra. Un filmato girato dopo uno dei tanti attacchi mostra un giovane rivolgersi la sorellina uccisa: «Svegliati Hala, la guerra è finita». Altre decine di persone sono state uccise nelle ultime 24 ore, dai droni, gli aerei e l’artiglieria.

Nel nord di Gaza l’esercito continua a far esplodere interi complessi residenziali prima che inizi il ritiro, anche se parziale, come stabilito dall’accordo. I carri armati hanno colpito Rafah, diverse famiglie sono state sterminate a nord come sud. L’Autorità nazionale palestinese ha fatto sapere di essere pronta, sotto la guida del suo presidente Mahmoud Abbas, ad assumersi la «piena responsabilità» della Gaza del dopoguerra, inclusa la sua ricostruzione.



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