Il viaggio della premier alla cerimonia di insediamento serve ad accreditarsi definitivamente come interlocutrice privilegiata del tycoon. E su quello interno ha l’effetto di tagliare definitivamente fuori Matteo Salvini. Con lei l’europarlamentare Carlo Fidanza e i deputati Antonio Giordano e Andrea Di Giuseppe
Alla fine ha buttato il cuore oltre l’ostacolo: Giorgia Meloni sarà a Washington lunedì alle 12 per la cerimonia di insediamento del presidente eletto, Donald Trump.
Una scelta penata, che è arrivata a ridosso dell’evento che si svolgerà per la prima volta dal 1985 al chiuso nella rotonda del Campidoglio e non sui gradini esterni di Capitol Hill, perché le temperature sono attese scendere fino a meno 12 gradi.
Con lei ci sarà una delegazione peculiare: l’europarlamentare di Fratelli d’Italia ed Ecr Carlo Fidanza, soprannominato “Barone Nero” e al centro di una inchiesta archiviata su presunti fondi neri al partito, e i deputati Antonio Giordano e Andrea Di Giuseppe.
Evidentemente, dunque, nella premier hanno prevalso valutazioni di carattere strategico.
Sul fronte internazionale, l’intento è quello di accreditarsi definitivamente come interlocutrice privilegiata alla corte del neopresidente repubblicano, accettando un invito che non è arrivato certo a tutti i leader europei. Il RSVP, invece, è stato recapitato anche al leader dell’ultradestra ungherese e presidente Viktor Orban, che però ha scelto di non partecipare. Illustre assente per mancato invito, infatti, è la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e proprio per non raffreddare i rapporti con lei Meloni aveva tergiversato nella scelta.
Su quello interno, invece, la decisione è servita a tagliare definitivamente fuori Matteo Salvini dal rapporto con il Tycoon. Il leader leghista, che per primo si era schiacciato su Trump al momento delle elezioni, aveva sperato di potersi accreditare come suo referente in Italia e proprio in questo senso aveva accarezzato l’idea di essere a Washington. Complicato invero, visto che non aveva ricevuto un invito ufficiale e la convocazione era arrivata al governo, con ovvia prelazione per la premier. Il fatto che Meloni abbia deciso di utilizzarla, quindi, lo ha lasciato spiazzato.
Salvini spiazzato
«La Lega parteciperà alla cerimonia di insediamento di Donald Trump con Paolo Borchia (capodelegazione del partito al Parlamento europeo) che sarà a Washington insieme agli altri esponenti del gruppo dei Patrioti», viene fatto sapere dalla Lega.
Salvini, invece, «ha scelto di rimanere in Italia». Ufficialmente, con la motivazione di rimanere al ministero per gestire la disastrosa emergenza dei trasporti, «alla luce di quanto sta emergendo sul fronte-ferrovie dopo l’esposto del gruppo Fs e la denuncia per attentato ai trasporti».
Tuttavia, il leader leghista ha tenuto a sottolineare ai suoi che non intende certo rinunciare a mantenere un rapporto autonomo con il presidente Trump. «Salvini confida di potersi recare negli Stati Uniti il prima possibile» è il messaggio che ha voluto veicolare soprattutto agli alleati di centrodestra, anche se – secondo etichetta istituzionale – la sua aspirazione a presenziare a Washington era di fatto impossibile da realizzare.
Paradossalmente utile come ottimo alibi per passare da ministro stakanovista, dunque, è tornato il disastro di guasti e ritardi dei treni di queste settimane. La linea della Lega sulla questione è quella di sventolare il rischio di cospirazioni delle sinistre e attentati. La contromossa del ministero, dunque, è quella di corroborare la tesi dei sabotaggi, con la denuncia di Fs e l’ipotesi di «attentato ai trasporti». E, come si legge nel comunicato della Lega «anche sui treni la sinistra e i suoi innumerevoli media hanno reagito a colpi di insulti e fake news». Gli anni record dei ritardi sono stati il 2018 e il 2020, con alla guida Pd e Movimento 5 Stelle, è la linea ripetuta dai leghisti.
Questioni rilevanti per i pendolari italiani ma di tutt’altro cabotaggio rispetto alle aspirazioni internazionali del ministro Salvini, che però Meloni è decisa a continuare a frustrare, ribadendo il suo primato.
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