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Corte di Cassazione, 10 gennaio 2025 n. 605 – Smartworking e tutela del disabile
Con la sentenza n. 605/ 2025, la Corte di Cassazione ha sancito un principio di fondamentale importanza in materia di tutela dei lavoratori disabili.
A parer dei Giudici, la concessione dello “smartworking” al dipendente disabile che ne faccia richiesta, rientra tra i “ragionevoli accomodamenti” che il datore di lavoro è tenuto a predisporre al fine di evitare comportamenti discriminatori.
Nel caso di specie un dipendente invalido civile, affetto da gravi deficit visivi, aveva richiesto di svolgere le proprie mansioni in modalità di lavoro agile. L’azienda, tuttavia, si era opposta, richiamandosi a un regolamento interno che escludeva lo smartworking per ruoli analoghi a quello del ricorrente.
La Corte d’Appello ha accolto la domanda del lavoratore, imponendo all’azienda l’adozione di soluzioni organizzative compatibili. La Corte di Cassazione ha confermato tale decisione, evidenziando nel rispetto del principio di parità di trattamento, il datore di lavoro deve adottare misure idonee a garantire al lavoratore disabile la possibilità di svolgere la propria attività lavorative in ottica di bilanciamento tra le esigenze del lavoratore e quelle aziendali (con la precisazione per cui gli accomodamenti organizzativi non dovranno comportare oneri finanziari sproporzionati).
Oltre a ciò, la sentenza pone l’accento su un importante principio: il rifiuto di predisporre accomodamenti ragionevoli configura una discriminazione vietata dalla normativa vigente. In definitiva, la Cassazione ha riconosciuto il diritto del dipendente a svolgere la propria attività in modalità agile, riaffermando il valore della solidarietà sociale e del rispetto della dignità dei lavoratori disabili.
NASpI: stretta sui requisiti d’accesso
La Legge di Bilancio 2025 introduce una rilevante limitazione ai requisiti d’accesso all’indennità di disoccupazione “NASpI” al fine di contrastare potenziali abusi. Nello specifico, con riferimento agli eventi di disoccupazione verificatisi dal 1° gennaio 2025, per poter beneficiare della NASpI, saranno necessarie almeno 13 settimane di contribuzione dall’ultimo evento di cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato interrotto per dimissioni volontarie (o risoluzione consensuale), a patto che tali dimissioni siano occorse nei 12 mesi precedenti l’evento di cessazione involontaria per cui si richiede la prestazione assistenziale.
Di conseguenza, i lavoratori che si dimettono per poi essere assunti da un altro datore di lavoro entro i 12 mesi successivi, ove venissero licenziati dal nuovo datore di lavoro, non avranno diritto a percepire la predetta indennità se il nuovo rapporto di lavoro non dura almeno 13 settimane.
Resoconto Inail dei primi 11 mesi del 2024 – Denunce di infortunio e malattie professionali
L’Inail ha pubblicato, nella sezione “Open Data” del proprio sito istituzionale, i dati provvisori sulle denunce di infortuni e malattie professionali relative ai primi 11 mesi del 2024.
In particolare, dall’analisi emerge che le denunce di infortunio presentate all’Inail sono state 543.039, con un aumento dello 0,1% rispetto al 2023, ma con una diminuzione del 16,7% rispetto al 2022 e dell’8,1% rispetto al 2019.
Tra i settori con il maggior numero di infortuni avvenuti in occasione di lavoro, si registrano degli incrementi nel settore Costruzioni (34.414 casi, +0,5% rispetto al 2023), Trasporto e magazzinaggio (31.958 casi, +0,7% rispetto al 2023), Commercio (30.385 casi, +1,8% rispetto al 2023), Noleggio e servizi di supporto alle imprese (19.935 casi, +3,2% rispetto al 2023).
Le denunce mortali sono salite a 1.000, con un incremento di 32 casi rispetto allo scorso precedente.
A crescere, soprattutto, sono gli infortuni in itinere (+3,7%, da 87.428 a 90.626 rispetto al 2023).
CCNL Dirigenti Industria: ampliata la definizione di “dirigente”
Il nuovo contratto collettivo per i Dirigenti Industria, in vigore dal 1° gennaio 2025, ha ampliato il perimetro dell’inquadramento dirigenziale.
In particolare, il nuovo articolo 1 ricomprende ora nella nozione di dirigente anche le “figure professionali di più elevata qualificazione e consolidata esperienza tecnico-professionale, che concorrono a definire e realizzano in piena autonomia gli obiettivi dell’impresa o di un suo ramo autonomo”.
Tra le ulteriori novità, si segnala l’innalzamento del Trattamento Minimo Complessivo di Garanzia a 80.000 euro lordi annui per il 2025 e a 85.000 euro lordi annui per il 2026.
Inoltre, si rileva la previsione di un periodo di comporto pari a 18 mesi in caso di patologie oncologiche.
Infine, si segnala l’aumento dell’importo fisso dovuto per le trasferte di durata superiore a 12 ore nell’arco delle 24 ore a 100,00 euro.
Le altre novità
Giurisprudenza
Corte di Cassazione, 9 gennaio 2025 n. n. 460 – Licenziamento discriminatorio nonostante la riorganizzazione aziendale
Con l’ordinanza n. 460/2025, la Corte di Cassazione ha cassato con rinvio la sentenza della Corte d’Appello di Roma, con la quale veniva riconosciuta la giustificatezza del licenziamento per riorganizzazione aziendale intimato ad una manager portatrice di handicap.
A parer della Cassazione, il giudizio in ordine alla giustificatezza del licenziamento deve ritenersi errato in quanto: (i) la sussistenza del motivo riorganizzativo non esclude in radice la discriminazione; (ii) la discriminazione è stata esclusa considerando soltanto le condizioni di lavoro; (iii) le circostanze allegate dalla lavoratrice esistevano ed erano indicative del profilo discriminatorio dell’atto datoriale; (iv) i comportamenti vessatori posti in essere dal datore di lavoro sarebbero dovuti essere valutati e valorizzati ai fini della natura illecita del licenziamento.
La Cassazione ha argomentato che nella nozione di discriminazione per handicap è insito il trattamento pregiudizievole posto in essere da un datore di lavoro verso un lavoratore in ragione del fattore di rischio di cui egli sia portatore ed il concetto di discriminazione comporta la lesione del principio di parità di cui all’art. 1 del d.lgs. 276/2003.
A tal proposito, nella statuizione è stata richiamata la consolidata giurisprudenza di legittimità secondo la quale il licenziamento può essere, direttamente o indirettamente, discriminatorio anche quando concorra una ragione legittima, come il motivo economico.
L’ordinanza, inoltre, ha ribadito che, a differenza del licenziamento per motivo ritorsivo, la prova della unicità e determinatezza del motivo non rileva nel caso di licenziamento discriminatorio, che ben può accompagnarsi ad altro motivo legittimo ed essere comunque nullo.
Circolari e Prassi
INPS, messaggio n. 85 del 10 gennaio 2025 – Novità sulla funzione telematica “Quote Quinto”
Con il messaggio n. 85/2025, l’INPS ha comunicato che la procedura telematica “Quote Quinto” è stata aggiornata con una funzione automatica di controllo, funzionale a bloccare i contratti di rinnovo di cessione qualora la firma del contratto avvenga prima del pagamento dei 2/5 delle rate concordate nel precedente contratto.
Come noto, l’art. 39 del D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 150 disciplina i contratti stipulati dai pensionati con le Banche, aventi ad oggetto la rinegoziazione di finanziamenti da estinguersi dietro cessione fino al quinto della pensione. Nello specifico, le parti contraenti sono tenute all’osservanza di determinati limiti temporali, non essendo possibile contrarre una nuova cessione prima che siano trascorsi almeno due anni dall’inizio della cessione stipulata per un quinquennio, ovvero almeno quattro anni dall’inizio della cessione stipulata per un decennio. Allo stesso modo, in caso di estinzione anticipata della precedente cessione, le parti possono contrarre una nuova cessione a patto che sia trascorso almeno un anno dall’anticipata estinzione.
Su questo punto è intervenuta anche la Banca d’Italia, che ha stabilito che “non si può contrarre una nuova cessione prima che siano stati pagati i 2/5 delle rate pattuite nel contratto”.
Su questa base, in caso di estinzione anticipata del contratto attraverso il pagamento dei due quinti delle rate pattuite nel contratto oggetto di rinnovo, la Banca segnala l’estinzione anticipata attraverso la procedura telematica “Quote Quinto” all’INPS, terzo debitore ceduto.
Il Tema della settimana
Il periodo di comporto per i lavoratori con disabilità – i recenti approdi della giurisprudenza
Il superamento del periodo di comporto da parte di un lavoratore disabile – e, di conseguenza, la computabilità delle sue assenze per malattia – è da tempo al centro di un dibattito giurisprudenziale, che trova i suoi ultimi approdi (o meglio, conferme), nell’ordinanza n. 170 del 7 gennaio 2025 della Cassazione.
La tematica che si pone, infatti, ha al centro una ipotetica discriminazione indiretta cui sarebbero sottoposti i lavoratori disabili che vengono licenziati per superamento del periodo di comporto: l’applicazione, nei loro confronti, del medesimo limite temporale previsto per i lavoratori non disabili, infatti, non tiene conto del fatto che i lavoratori portatori di handicap sono maggiormente esposti al rischio di contrarre patologie di qualunque tipo e, quindi, sono conseguentemente esposti ad un maggior numero di giorni di assenza dal lavoro.
Infatti, a livello giurisprudenziale (si veda, a voler fare un esempio, Cassazione Civile, Sezione Lavoro, ordinanza 4 marzo 2022, n. 7247), per le malattie professionali vige il divieto, per il datore di lavoro, di computare nel periodo di comporto le assenze che derivino dall’evento scatenante la malattia. È chiaro che, però, se l’evento scatenante la malattia è connesso ad una disabilità, si pone il tema di come calcolare i giorni di effettiva assenza dal lavoro. Il rischio è sempre quello di una discriminazione indiretta, definita dall’art. 2, lett. B) della Direttiva 2000/78/CE del 27 novembre 2000 come una discriminazione “fondata sulla disabilità quando una disposizione apparentemente neutra possa mettere in una posizione di particolare svantaggio la persone disabile“.
La nozione esaminata sopra comporta la necessità, per il datore di lavoro, di adottare – ai sensi dell’art. 3, co. 3-bis, del D. Lgs. n. 216 del 2003 – i c.d. “accomodamenti ragionevoli” nei luoghi di lavoro, ovvero tutte quelle modifiche e adattamenti necessari a garantire ai lavoratori disabili il loro diritto al lavoro su una base di uguaglianza effettiva con gli altri colleghi.
Chiaramente, come affermato in giurisprudenza, non esiste un obbligo che prescinda da una valutazione del caso concreto nell’introduzione di tali adattamenti. Infatti, la Cassazione, Sezione Lavoro, con l’ordinanza n. 4896 del 23 febbraio 2021, ha affermato che tali misure non devono imporre “un onere finanziario sproporzionato“, vista l’esigenza di “mantenimento degli equilibri finanziari“. Le soluzioni adottate, infatti, “anche in presenza di un costo sostenibile per l’impresa” devono, tuttavia, evitare “circostanze di fatto che rendano la soluzione priva di ragionevolezza” (si veda, Cassazione Civile, Sezione Lavoro, ordinanza 9 marzo 2021, n. 6496. Peraltro, la tesi in questione appare pienamente in linea con quanto affermato dalla giurisprudenza comunitaria, tra cui la pronuncia della Corte Giustizia UE del 18 gennaio 2018 (Ruiz Conejero – C-270/16), secondo cui la discriminazione indiretta può in ogni caso venir meno laddove la disposizione in esame “da un lato, persegua un obiettivo legittimo e, dall’altro, non vada al di là di quanto necessario per conseguire tale obiettivo, circostanza che spetta al giudice del rinvio valutare”.
Nell’ambito del quadro delineato, gli approdi giurisprudenziali sono stati, negli ultimi anni, i più svariati.
Da un lato, infatti, è possibile ritrovare pronunce più restrittive e più favorevoli alla libertà di organizzazione del datore di lavoro, sebbene meno recenti, che si basano sull’assunto che non vi è alcuna norma che preveda un periodo di comporto più lungo per i lavoratori disabili (si veda Tribunale di Parma, ordinanza del 17 agosto 2018). Ancora, è possibile riscontrare pronunce di merito secondo cui viene affermato il principio secondo cui sussiste discriminazione indiretta solamente ove il contratto collettivo applicato in azienda preveda, per i lavoratori disabili che si assentano per un periodo di malattia dovuto alla loro disabilità, un trattamento differenziato, di minor favore, rispetto ai colleghi (in questo senso, Tribunale di Lodi, 12 settembre 2022). Da ultimo, anche la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con ordinanza del 28 ottobre 2021, n. 30478, ha escluso che la malattia (in quanto di per sé non permanente ma “temporanea“) possa essere ricondotta allo stato di disabilità il quale, al contrario, è per definizione certificato anche dall’INPS come invalidità permanente.
I più recenti provvedimenti della giurisprudenza, tuttavia, sembrano considerare una posizione di maggior apertura e favore nei confronti dei lavoratori disabili. Già la giurisprudenza di merito, infatti, ha chiarito come il recesso datoriale per superamento del periodo di comporto applica una disposizione neutra (la normativa su comporto e malattia) che, però, concretamente penalizza il lavoratore disabile, se la malattia è collegata al suo status. Su questa base, al fine di veder riconosciuto il recesso per superamento del periodo di comporto come legittimo, il datore di lavoro dovrebbe essere in grado di provare che l’assenza dal lavoro sia indipendente dalla disabilità (circostanza, peraltro, non sempre facile posto che, in generale, alcune tipologie di certificato medico non permettono una verifica concreta in tal senso – cfr., ex multis, Tribunale di Milano, 28 ottobre 2016, n. 2875, o anche Tribunale di Verona, 22 marzo 2021).
Su questa scorta, si collocano le ultime approdi dei giudici di legittimità. Si veda, ad esempio, quanto deciso dalla Corte di Cassazione, Sezione lavoro, con la sentenza 31 maggio 2024, n. 15282, con cui si è affermato che “il rischio aggiuntivo di essere assente dal lavoro per malattia di un lavoratore disabile deve essere tenuto in conto nell’assetto dei rispettivi diritti ed obblighi in materia, con la conseguenza che la sua obliterazione in concreto, mediante applicazione del periodo di comporto breve come per i lavoratori non disabili, costituisce condotta datoriale indirettamente discriminatoria e, perciò, vietata“.
Recentissimamente, poi, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 170 del 7 gennaio 2025, ha ricordato che “in tema di licenziamento, costituisce discriminazione indiretta l’applicazione dell’ordinario periodo di comporto previsto per il lavoratore non disabile al lavoratore che si trovi in condizione di disabilità perché la mancata considerazione dei rischi di maggiore morbilità dei lavoratori disabili, proprio in conseguenza della disabilità, trasmuta il criterio, apparentemente neutro, del computo dello stesso periodo di comporto in una prassi discriminatoria nei confronti del particolare gruppo sociale protetto in quanto in posizione particolare svantaggio“. Per questa ragione, “la conoscenza dello stato di disabilità del lavoratore – o la possibilità di conoscerlo secondo l’ordinaria diligenza – da parte del datore di lavoro fa sorgere l’onere datoriale – a cui non può corrispondere un comportamento ostruzionistico del lavoratore – di acquisire, prima di procedere al licenziamento, informazioni circa l’eventualità che le assenze per malattia del dipendente siano connesse allo stato di disabilità, al fine di individuare possibili accorgimenti ragionevoli“.
Insomma, la Cassazione pone condivisibilmente in rilievo il bilanciamento tra due contrapposti interessi, ovvero quello del dipendente disabile alla tutela della propria privacy e quello del datore di lavoro che – al fine di non incorrere in un atto di recesso illegittimo – sarà titolato, ricorrendone i presupposti, ad effettuare una verifica in merito alle assenze in questione.
Ciò che si auspica, alla luce di tutto quanto sopra e per evitare un impasse diversamente non evitabile, è che nel rinnovo della contrattazione collettiva applicabile agli svariati rapporti di lavoro, le parti sociali chiariscano la tematica con specifiche previsioni contrattuali, anche in considerazione del fatto che la tematica oggi esaminata si presente sempre più frequentemente.
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