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David Keith Lynch
Uno dei più grandi artisti del ventunesimo secolo, ci ha lasciato. Regista, sceneggiatore, attore capace di rompere gli schemi cinematografici e artistici. Un genio incomprensibilmente compreso.
Di Samuel Campanella 17 gennaio 2025 – Kafkiano, Felliniano, Lynchiano… così nascono i miti, attraverso le parole che ci aiutano a identificare ciò che è difficile da comprendere, da raffigurare. Ed è così che si tramandano pensieri più che mai immortali, incastonati nell’uso pratico del significato. Cosa si può raccontare di un artista capace di incarnare l’essenza stessa della settima arte? Forse, solo rivedendo tutta la sua filmografia, potremmo cogliere qualche sprazzo della sua visionaria follia artistica.
David Keith Lynch ha squarciato, con la magia della pellicola, il velo di Maya, mostrando cosa si nasconde dietro le maschere dell’ipocrisia quotidiana, in particolare quella del perbenismo americano in ogni sua sfumatura. Lo ha fatto intrecciando razionalità e caos, poesia e brutalità, amore e deformità. Pensiamo ai sorrisi rassicuranti e omertosi della cittadina di “Twin Peaks”, al volto tormentato di Henry Spencer in “Eraserhead” o ai vicoli oscuri e surreali di “Mulholland Drive”.
Storie che superano ogni forma di narrazione lineare, dove il tempo si piega, si distorce, si dissolve. Una scelta consapevole che riflette una filosofia profonda: il passato, il presente e il futuro coesistono, danzano insieme in un eterno ritorno. In questo concetto risiede la sua eredità più grande: il coraggio di non dover spiegare, di lasciare che il mistero resti tale. Perché il cinema, secondo Lynch, non è solo intrattenimento, ma un mezzo capace di parlare alla parte più profonda di noi. “Credo che il cinema sia fatto per lasciare spazio alle domande,” diceva.
Ma la sua eredità va oltre lo schermo. Lynch non ha soltanto trasformato il cinema, ha trasformato il nostro modo di guardare il mondo. Ha scolpito nel nostro immaginario una realtà alternativa, dove ogni ombra può celare un segreto e ogni sguardo nascondere un abisso. Oggi, più che mai, il suo spirito continua a vivere. Non solo nelle immagini, ma nel silenzio che lascia dietro di sé, nel mistero che ancora ci inquieta e ci affascina. La sua assenza è diventata la sua presenza più forte: un’eco di un’arte che non smetterà mai di parlarci. Una contraddizione, come il fumo della sigaretta che portava immancabilmente tra le dita, simbolo della sua vitalità geniale e, forse, della causa della sua scomparsa.
Tra le sue ultime apparizioni, troviamo quella nel film “The Fabelmans” (2022), dove Steven Spielberg gli affida il ruolo di John Ford, il leggendario regista americano. Un’interpretazione iconica, in cui Lynch dà vita a un Ford burbero, quasi sprezzante, ma incredibilmente carismatico. In una scena memorabile, il giovane protagonista – alter ego di Spielberg – entra nell’ufficio di Ford per ricevere una lezione sul cinema. Con il sigaro in bocca e un’aria sorniona, Ford indica due quadri appesi alle pareti: uno con l’orizzonte al centro, banale, e uno con l’orizzonte spostato verso l’alto o il basso. “Quando l’orizzonte è in alto, è interessante. Quando è in basso, è interessante. Quando è al centro, è una schifezza.” Una lezione brutale, concisa, ma folgorante: l’arte non sta nella perfezione, ma nell’inaspettato, nell’audacia di osare.
Forse non è un caso che Spielberg abbia scelto proprio lui per questo ruolo. Un gesto simbolico che celebra la sua appartenenza all’Olimpo dei grandi maestri del cinema e che ribadisce la sua innegabile influenza su tutti i registi venuti dopo di lui.
David Keith Lynch, come pochi altri, ha dimostrato che il cinema, al pari della musica, della pittura o della danza, è arte nella sua forma più pura proprio perché capace di superare i confini dell’esperienza sensoriale. Ma raggiungere questa dimensione richiede più di talento o visione: serve l’audacia di infrangere le convenzioni, di svelare le crepe nascoste dietro le superfici lucide e rassicuranti della realtà. Lynch ha avuto quel coraggio, mostrando che dietro ogni maschera si cela una verità inquietante, struggente, mostruosa, ma immancabilmente ed eternamente umana.
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