Parlamento in stallo: Autonomia in mano a una Consulta amputata

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Parlamento in una fase di stallo e la Consulta non è più la stessa ma lunedì si decide l’ammissibilità del referendum sull’Autonomia


La Corte costituzionale lunedì prossimo sarà chiamata a dire l’ultima parola sull’ammissibilità del referendum abrogativo della legge Calderoli. È in ballo la riforma che vuole dare attuazione all’autonomia differenziata conferendo maggiori poteri alle Regioni a statuto ordinario.
Un “sì” potrebbe dare il via libera a una consultazione che aprirebbe lacerazioni e divisioni sia politiche che sociali. Riporterebbe il Paese dentro il suo Medioevo prossimo venturo, spaccandolo in due. Un “no” sarebbe in linea con la sentenza emessa nel novembre scorso che ha bocciato 7 articoli su 11, disarticolando il provvedimento, primo firmatario il ministro leghista agli Affari regionali e alle Autonomie.

Nel frattempo qualcosa è cambiato: la Corte non è più la stessa. Ha perso “pezzi” per strada, I giudici, infatti, restano in carica per 9 anni a far data dal giuramento e non possono essere nuovamente nominati. Per 4 di loro è scoccato il limite temporale, la cessazione dalla carica, e tra questi il presidente Augusto Barbera.
Al Parlamento, riunito in seduta comune, spetta la nomina di un terzo dei componenti. Ci sarebbe stato dunque tutto il tempo per sostituirli, ma i partiti non hanno trovato l’accordo sui nomi. Per ben 14 volte, infatti, da Montecitorio si è sollevata una fumata nera. L’ultima martedì scorso.

SGARBO AL COLLE

Per molti, e tra questi, in base a quanto è filtrato, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, si è trattato di un vero sgarbo. Una mancanza di rispetto non solo verso il Quirinale, che tacitamente aveva sollecitato le nuove nomine e spinto perché non si andasse troppo per le lunghe, ma verso il più importante organo di garanzia istituzionale. Nonché verso i tanti cittadini che hanno firmato la richiesta di referendum.
Risultato: lunedì prossimo 20 gennaio a decidere sull’ammissibilità del quesito referendario (come previsto dall’articolo 75 della Costituzione) saranno solo 11 giudici. Una formazione di calcio.
E non è escluso che questa Corte rimaneggiata nei numeri debba in seguito esprimersi, il prossimo 10 febbraio, anche sugli altri quesiti che hanno ottenuto il via libera preliminare della Cassazione dopo aver raggiunto le 500 mila firme.

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Richieste di referendum che stanno molto a cuore al centrosinistra e alla Cgil: l’abrogazione di norme che regolano i contratti a tutela crescenti e impediscono il reintegro al lavoro in caso di licenziamenti illegittimi (legge 4 marzo 2015,); i licenziamenti e relative indennità per le piccole imprese, comprensive delle norme che regolano le proroghe e i rinnovi; la responsabilità del committente e delle imprese appaltanti in caso di incidenti sul lavoro; il dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana. Questioni che corrono sulla pelle di molti italiani.

TRATTATIVE IN CORSO

Dopo l’ultimo nulla di fatto, lo scorso 14 gennaio, la Conferenza dei capigruppo ha stabilito che il prossimo tentativo si farà, sempre in seduta comune, il prossimo 23 gennaio. Data entro la quale Giorgio Mulè, l’uomo di Forza Italia che sta conducendo questa estenuante trattativa, ha garantito che verrà raggiunto un accordo sul nome da esprimere (in lizza ci sono 3/4 candidati).
Sempre che, nel frattempo, non si aprano altre crepe tali da rimettere tutto in discussione. Dopo la nomina del Parlamento bisognerà prevedere altri tempi tecnici per la verifica delle eventuali incompatibilità. Un altro flop sarebbe imperdonabile.
Ma dicevamo degli 11 giudici “superstiti” che saranno chiamati a decidere sul referendum che vuole cancellare la legge Calderoli . Il presidente facente funzione, Giovanni Amoroso, aveva posticipato la Camera di Consiglio dal 13 al 20 gennaio nella speranza che il Parlamento decidesse.

Amoroso è stato presidente di Cassazione, è stato nominato dal Csm, ed è originario di Mercato San Severino (Sa). Il luogo natìo potrebbe sembrare irrilevante. Ma non in questo caso, trattandosi una questione che, contro ogni logica. rischia di mettere il Nord contro il Sud. Sono originari di Roma Stefano Petitti (Csm), Angelo Buscema (Corte dei conti) e Marco D’Alberti, nominati dall’attuale presidente della Repubblica come il palermitano Giovanni Pitruzzella e la milanese Antonella Sciarrone Alibrandi. Ci sono poi: la napoletana Maria Rosaria San Giorgio (Csm); l’ex ministro Filippo Patroni Griffi, nato a Napoli, eletto dal Consiglio di Stato; la professoressa Emanuela Navarretta, nominata dal Colle, originaria di Campobasso; Luca Antonini, ordinario di Diritto costituzionale , nato a Gallarate (Varese) e Francesco Viganò, milanese, nominato dal capo dello Stato.

I FAN DEL REFERENDUM

La Corte non appartiene all’ordine giudiziario. È un Organo costituzionale previsto dalla Carta, entrato in funzione nel 1956; segue regole diverse, non paragonabili a quelle dei giudici ordinari. Saranno sensibili ai richiami della loro terra? O alle sirene della politica?
In entrambi i casi il loro compito non sarà facile. I rilievi mossi nel novembre scorso dalla Corte alla legge 86/24 sono stilettate. Tagli talmente profondi da aver scardinato il provvedimento. Da qui la convinzione che il risultato più importante sia stato raggiunto grazie anche al milione e oltre di firme raccolte.

Ma c’è chi, come Cgil, Avs e una parte del Pd, vorrebbero comunque andare a votare per passare un ulteriore colpo di spugna su quel che resta dello Spacca-Italia e al tempo stesso ottenere un effetto trascinamento per le altre consultazioni referendarie. Quei banchetti estivi avevano rimesso insieme i pezzi sparsi del campo largo. Messo d’accordo il centrosinistra più litigioso e frammentato d’Europa. Ma il raggiungimento del quorum per i quesiti abrogativi si raggiunge solo se alle urne si reca la metà degli aventi diritti più uno. In tempi di assenteismo pensare di vincere è una pia illusione. E allora? Allora c’è chi ha rispolverato per l’occasione il motto olimpico del barone de Coubertin: l’importante è partecipare, non vincere.


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