Nucleare, il futuro è la fissione, l’Italia non può restare fuori dai grandi progetti europei

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Il futuro del nucleare è la fissione e l’Italia non può restare fuori dai grandi progetti europei. dimenticarsi dell’atomo rischia di risultare anacronistiche


La Premier Giorgia Meloni ha espresso grande soddisfazione, ieri ad Abu Dhabi, per gli accordi e le iniziative sui temi energetici e l’Italia. Difficile darle torto: negli ultimi anni, ha guidato una difficile fase di transizione. Non si pensi tanto a quella “verde”, quanto a quella di “liberazione” dalla dipendenza dal gas russo. Con il decisivo contributo di ENI sono stati individuati e in alcuni casi convinti nuovi fornitori, dal Qatar agli Stati Uniti, per l’approvvigionamento della fonte energetica ancora predominante per il funzionamento del nostro Paese, fonte pur sempre fossile e proveniente da nazioni non tutte geopoliticamente affidabili.

Ha trattato di rinnovabili con il primo ministro albanese e verosimilmente di fossili con il presidente emiratino, ribadendo che sull’energia l’Italia deve mantenere una posizione pragmatica e tecnologicamente neutra, sfruttando certamente le rinnovabili ma anche le interconnessioni, il biogas, il metano con il sequestro della CO2, sino alla fusione nucleare.
Purtroppo, la Premier, in ogni suo intervento sull’argomento energia, omette volutamente ogni riferimento all’altro nucleare, quello della fissione.

Se tale atteggiamento risulta facilmente comprensibile, per l’alto grado di sensibilità politica del tema e l’apparente non monoliticità della maggioranza in merito, tuttavia la pervicace eliminazione del riferimento all’atomo “alla Fermi” inizia a mostrare tutta la sua debolezza.
È sufficiente, infatti, guardare ai freddi numeri europei del 2024, relativi ai fabbisogni elettrici e agli scambi transfrontalieri. Ne risulta un quadro che evidenzia il ruolo fondamentale del nucleare attuale, quello dei reattori a fissione, un centinaio in funzionamento nell’Unione Europea: il nucleare rappresenta la prima fonte decarbonizzata (a differenza dei fossili) e programmabile (a differenza delle rinnovabili) con oltre il 25%, seguita da eolico (16%) e gas naturale (13%).

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Circa i flussi, poi, la Francia grande produttrice di energia nucleare ha “alimentato” (89 TWh esportati) i due principali importatori, Germania (-28 TWh) e Italia (-52). Uno smacco non tanto per gli italiani, clienti storici e stabili del nucleare francese, quanto per i tedeschi, che sulle politiche green hanno spinto l’intera Europa: hanno spento le loro 14 centrali nucleari, hanno riattivato vecchi impianti a lignite e a carbone, ma dipendono dal nucleare transalpino.

Oggi dimenticarsi dell’atomo rischia di risultare anacronistico. Il nuovo interesse per il nucleare si sta consolidando in diversi paesi del continente: tralasciando la Francia, che ha in programma un piano molto aggressivo di sviluppo di nuovi reattori, si guarda ai cambi di direzione in Svezia, Belgio, Olanda, ai programmi di Finlandia, Romania, Slovacchia, Slovenia, Repubblica Ceca, così come all’ingresso nel club di nuove nazioni come la Polonia e la Norvegia.

L’interesse è principalmente sui reattori di ultima generazione di grande taglia, da oltre 1000 MWe, già costruiti in Cina, Russia, Emirati Arabi Uniti, Stati Uniti, Finlandia, Francia e in costruzione nel mondo in oltre 60 unità, così come ai piccoli reattori modulari, già operativi in Cina e Russia ma non ancora realizzati in Occidente. Le aspettative su questa nuova tecnologia sono molto alte: la loro taglia e complessità ridotte e la costruzione modulare in officina, potrebbero infatti aiutare a risolvere le due principali criticità del nucleare occidentale, i lunghi tempi di costruzione e gli alti costi, nonché rappresentare una soluzione idonea per alimentare i distretti industriali energivori classici, come quelli dell’acciaio, o emergenti, come i data centre per l’intelligenza artificiale.

La Comunità Europea ha lanciato nel 2024 una Alleanza Industriale per lo sviluppo di questi Small Modular Reactors: l’Italia rappresenta sorprendentemente il secondo gruppo di aziende e organizzazioni coinvolte, nonostante il sostanziale abbandono politico di questo settore negli ultimi tre decenni. L’obiettivo europeo è chiaro: recuperare il terreno perso nei confronti del mondo orientale ma anche di quello statunitense, per avere i primi reattori modulari costruiti in Europa nel 2030 o poco più in là.
Sono nove i primi progetti identificati dall’Alleanza, tra reattori piccoli e reattori avanzati. Diversi sono extra-europei, il che pone un evidente problema di ripresa della capacità progettuale e innovativa dell’unione, ma due sono sostanzialmente “italiani”, entrambi basati sulla tecnologia dei reattori avanzati raffreddati a piombo liquido.

La singolare notizia, insieme alla notevole vivacità della supply chain nucleare nostrana, ben nota per le proprie capacità e qualità realizzative, non solo in Europa, e al ritorno di interesse dei giovani per le tematiche nucleari nelle università italiane, costituisce un ventaglio di indizi espliciti circa il ruolo che il nostro Paese potrebbe giocare sullo scenario nucleare europeo.
Si tratta di passare all’azione. Riusciremo a cogliere l’opportunità, anche in casa nostra?

*docente di Impianti Nucleari del Politecnico di Milano


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