La cocaina da Napoli a San Cristoforo: arrivate le condanne definitive a 14 anni dal blitz “Mulini”

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 


La sentenza

La Cassazione ha rigettato i ricorsi di quattro imputati. NOMI

Di Laura Distefano |

Sconto crediti fiscali

Finanziamenti e contributi

 

Meglio tardi che mai. Sono passati 14 anni da quando l’attuale prefetto di Siracusa, Giovanni Signer, si sedette, in qualità di dirigente della squadra mobile di Catania, nella saletta della procura di viale XX Settembre per spiegare i dettagli dell’operazione antidroga “Mulini”.

Pochi giorni fa c’è stata la sentenza della Cassazione che ha chiuso a livello giudiziario l’inchiesta, rigettando i ricorsi e confermando le condanne della Corte d’Appello del processo ordinario. I quattro che hanno fatto ricorso alla Suprema Corte sono Sebastiano Fabrizio Zappalà (15 anni e 6 mesi di reclusione), Antonio Gianluca Pellegrino (10 anni e 9 mesi), Eugenio Castellino (7 anni e 4 mesi) e Giovanni Mirabella (8 anni e 28mila euro di multa). Pellegrino è fratello di Gaetano ‘u funciutu, in cella per essere un pezzo grosso dei clan dei Mazzei “carcagnusi”. Ma in questo caso i Mazzei non ci sono mai entrati.

Nel 2011 la polizia disarticolò il gruppo di spaccio nella zona di piazza Caduti del mare – meglio conosciuto come il Tondicello – e di via Mulini a Vento (da qui il nome dell’operazione). I proventi dello smercio di sostanze stupefacenti sarebbero finiti nelle tasche dei Cappello. Ne parlarono ai pm i collaboratori di giustizia Vincenzo Pettinati, Gaetano Musumeci e Vincenzo Fiorentino: nel 2007 acquistavano in Campania per vendere a San Cristoforo. La Corte d’Appello ha confermato la ricostruzione dell’organizzazione criminale di stile verticistico: «Ogni personaggio aveva un suo ruolo, c’era chi si occupava delle forniture e della custodia dello stupefacente, chi stazionava sui luoghi dello spaccio per sovrintendere alle attività o per fare la vedetta, chi, invece, si occupava dello smercio al minuto della droga e del ritiro di denaro».

Inoltre, si legge ancora nelle motivazioni, «l’organizzazione si avvaleva anche di basi logistiche dove conservare lo stupefacente – così erano le stalle – ovvero dove tenere riunioni o, ancora, dove gli spacciatori potevano trovare rifugio in caso di arrivo nella notte delle forze dell’ordine». Insomma venditori, sorveglianti, ragionieri. Una vera e propria “azienda” illegale, che si è replicata negli anni. Solo ultimamente lo spaccio si è trasferito dalla strada alle mura di casa. Le piazze di spaccio su strada però continuano a essere aperte come punto di presidio dei clan per poter far sentire la propria forza mafiosa nei territori. L’organizzazione decapitata nel 2011 aveva anche a disposizione un arsenale che fu trovato in un bidone a casa del padre dell’imputato Zappalà. Inoltre quest’ultimo, da come emerse dalle intercettazioni di alcuni colloqui in carcere, avrebbe avuto il potere di conoscere i particolari dei trasporti di cocaina e avrebbe maneggiato soldi (addirittura si parla di 300.000 euro). Per i giudici d’Appello il dibattimento non lasciò spazio a dubbi: in via Mulini a Vento, oltre dieci anni fa, ci fu un gruppo che gestiva «il traffico di cocaina in modo stabile e costante».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


Articoli correlati

Prestito personale

Delibera veloce

 





Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link