SOLO NOTIZIE NEGATIVE DA COP29 SUI CAMBIEMENTI CLIMATICI, COP16 SULLA BIODIVERSITA’ E TRATTATO INTERNAZIONALE SULLA PLASTICA CHE SI SONO TENUTI A FINE 2024
Negli ultimi giorni dell’anno è di norma fare bilanci. Quelli riguardanti lo stato dell’ambiente, per l’anno appena trascorso, sono alquanto sconfortanti e preoccupanti.
Una prima considerazione la si trova sul Fatto Quotidiano di domenica 22 dicembre nella rubrica SOSCLIMA curata dal climatologo e divulgatore scientifico Luca Mercalli. “Tra le preoccupanti notizie di alterazione dell’ambiente artico a causa del riscaldamento globale, è scritto nell’articolo, spicca la perdita della capacità di stoccaggio di carbonio atmosferico da parte dei suoli della tundra che, a causa dell’aumento degli incendi, sono diventati degli emettitori netti di CO2, oltre che di metano (gas serra ancora più potente) per lo scongelamento del permafrost”.
La notizia è contenuta nella nuova edizione dell’Artic Report Card , diffusa dalla NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration). Il punto sulle conoscenze e le sfide in tema di clima – riporta Mercalli citando l’annuale rapporto United in Science coordinato dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale – nuovi record globali di emissioni serra, temperature, eventi estremi, perdita di ghiaccio marino, dicono chttps://www.noaa.gov/he “siamo ben lontani dagli obiettivi di sostenibilità, proiettandoci verso un mondo 3°C più caldo entro fine secolo”. Occorre più che mai allora “fare leva sui progressi della scienza e dell’innovazione” in modo da migliorare la comprensione del sistema Terra, la gestione del territorio e dei rischi e l’adattamento al nuovo clima oltre a, ovviamente, ridurre le emissioni. “Così dice la scienza, conclude il meteorologo Mercalli, ma la politica e la società vanno da un’altra parte”.
Se queste prime considerazioni non consentono di essere ottimisti sul futuro, altrettanto sconfortanti sono state le conclusioni degli importanti summit che si sono tenuti negli ultimi mesi del 2024, a cominciare dalla COP29 di Baku, ma anche relativamente ai risultati della COP16 sulla biodiversità che si è tenuta a Cali, in Colombia e dal Trattato globale sulla plastica in Corea del Sud.
“Il divario tra l’azione in corso e quella necessaria ad affrontare il cambiamento climatico è chiaro dal primo Bilancio Globale” – o Global Stocktake concluso l’anno scorso alla COP28 di Dubai -, ovverosia il meccanismo di valutazione dei progressi ottenuti a livello globale nella risposta alla crisi climatica e nell’implementazione delle misure dell’Accordo di Parigi. Sono queste le parole con cui Anna Pirani, senior scientist presso il Centro euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici (CMCC)e membra della delegazione italiana alla Convention sul clima, introduce l’intervista di Elisabetta Ambrosi pubblicata da Il Fatto Quotidiano del 12 novembre scorso Sintetizzando i punti chiave della Cop29 in corso di svolgimento a Baku, in Azerbaigian, afferma che “i gravi divari nell’azione climatica stanno irrigidendo le posizioni di molti Paesi in via di sviluppo, che sottolineano la mancata accelerazione nella riduzione delle emissioni e il sostegno da parte dell’Occidente”.
Nel documento finale della COP26 nel 2021 veniva confermata la valutazione scientifica secondo cui “siamo lontani dalla adozione delle misure di mitigazione per la riduzione di emissioni gas serra, di adattamento a rischi climatici sempre più complessi e di orientamento dei flussi finanziari”, anche se per la prima volta dall’inizio delle Conferenze delle Parti della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) “si è parlato in un documento decisionale di combustibili fossili e di una transizione (transition away) dagli stessi. Va tenuto presente, dice Anna Pirani, che la formula finale della COP28, rispecchiando la sintesi dell’ultimo rapporto del IPCC, evidenziava con forza l’importanza centrale dell’interfaccia tra scienza e politiche climatiche”. “In più, continua Pirani, La COP28 si era conclusa con l’attivazione del Fondo per le perdite e danni e dell’obiettivo globale di adattamento”.
Ma i risultati raggiunti dalla COP di Dubai non sono stati rispettati nel corso del 2024, pur in presenza del nuovo record di emissioni globali di gas serra (GHG, Greenhouse Gas) raggiunto nel 2023, 57,1 GtCO2eq (dove 1 GtCO2eq corrisponde a 1 miliardo di tonnellate di anidride carbonica equivalente), con un aumento dell’1,3% rispetto ai livelli del 2022. Questo dato è contenuto nella relazione annuale Emissions Gap Report (EGR) del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), uno dei più importanti testi di riferimento per i negoziati sul clima.
Il report EGR, scrive lo scorso 7 novembre Marco Talluri curatore del blog Ambiente e non solo … [Vedi qui] … “traccia il divario tra l’andamento delle emissioni globali con gli attuali piani di riduzione delle emissioni dei Paesi (Nationally Determined Contributions, NDC) e serve per capire se l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5°C o ben al di sotto di 2°C (Accordi di Parigi) è ancora perseguibile e come fare per colmare il divario”. “Gli ultimi risultati – precisa Talluri – mostrano che le emissioni di gas serra continuano ad andare nella direzione sbagliata, rendendo l’obiettivo di limitare il riscaldamento a 1,5°C ancora più difficile. L’Emissions Gap Report giunge inoltre a poche settimane dalla COP29 di Baku e a pochi mesi dalla scadenza del febbraio 2025 entro la quale i Paesi dovranno aggiornare i loro NDC (Contributi Determinati a livello Nazionale)”, che sono i piani nazionali non vincolanti per le azioni per il cambiamento climatico, che comprendono gli obiettivi per la riduzione delle emissioni di gas serra, le politiche e le misure che i governi attuano in risposta ai cambiamenti climatici e come contributo per raggiungere gli obiettivi globali stabiliti nell’Accordo di Parigi.
All’apertura della COP in Azerbaigian, racconta Anna Pirani a conclusione dell’intervista poco sopra citata, La WMO (World Meteorological Organisation), confermerà che “il 2024 sarà stato l’anno più caldo mai registrato, ci si augura perciò che il mondo della politica alla COP29 si appoggi all’informazione fornita dagli esperti”.
Queste le premesse che, nelle settimane precedenti alla COP29 di Baku, era possibile trovare sui media. Poi, iniziata la conferenza, con una settimana di ritardo, e man mano che passavano i giorni, le difficoltà sono andate aumentando.
Il 18 novembre sul sito della testata giornalistica Lifegate Tommaso Perrone titola “Basta con i teatrini. Qua si fa l’azione per il clima, o si muore. Dalla Cop29 arriva un chiaro messaggio a mettere da parte le strategie e gli individualismi”, e più avanti scrive “Alla Cop29 di Baku la seconda settimana di negoziati sul clima sembra aver improvvisamente risvegliato la voglia di raggiungere un risultato che salvi la faccia al paese ospitante”. Il presidente azero Babayev “ha suonato la sveglia ricordando quanto sia necessario «andare più veloce» per raggiungere risultati ambiziosi”. Dopodiché, commenta Perrone è stato tutto uno scaricabarile. Verso i ministri di economia e finanza o di ambiente e clima che sono arrivati in città nelle ultime ore. E poi verso i leader del G20 a cui Babayev ha chiesto apertamente di assumere l’iniziativa e rompere lo stallo negoziale. Del resto, ha ricordato il presidente della Cop29, il G20 rappresenta l’85% del pil globale e l’80% delle emissioni totali”. Ed è solo da lì che si possono sbloccare i due temi cardine di questa conferenza: finanza climatica e mitigazione, ovverosia riduzione delle emissioni.
Il Segretario Generale dell’ONU António Guterres poi, in apertura della Conferenza, aveva usato queste parole per descrivere la gravità della situazione che l’umanità sta vivendo: “Il suono che sentite è il ticchettio dell’orologio. Siamo nel conto alla rovescia finale per limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi C. E il tempo non è dalla nostra parte. Con il giorno più caldo mai registrato …i mesi più caldi mai registrati …questo è quasi certo che sarà l’anno più caldo mai registrato”.
Sempre Marco Talluri sul blog Ambiente e non solo…, il 15 novembre, all’incirca a metà della COP29, riporta l’intervento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che richiede un’integrazione urgente dei negoziati sul tema della salute: fine della dipendenza dai combustibili fossili e sostegno all’adattamento e alla resilienza incentrati sulle persone. “La crisi climatica è una crisi sanitaria, ha dichiarato il direttore generale dell’OMS, il dottor Tedros Adhanom Ghebreyesus, che rende la priorità della salute e del benessere nell’azione per il clima non solo un imperativo morale e legale, ma un’opportunità strategica per sbloccare benefici per la salute trasformativi per un futuro più giusto ed equo.
Sul sito di Italian Climate Network il 18 novembre si legge che quella che inizia oggi è la settimana decisiva, la più politica. Dopo alcuni giorni di lavoro tecnico le delegazioni iniziano a negoziare attraverso i propri rappresentanti politici. Italian Climate Network sostiene che i risultati della prima settimana, senza voler “esprimere una opinione solo o troppo politicizzata nella lettura della Conferenza di Baku, sono deludenti”.
Il Nuovo obiettivo finanziario globale (New Collective Quantified Goal on Climate Finance, NCQG) è il tema principale e determinante, di cui si è trattato nella seconda settimana della COP29.
“I Paesi in via di sviluppo (è sempre Italian Climate Network che riporta queste considerazioni), guidati negozialmente dalla Cina nel gruppo G77+Cina, continuano a chiedere un obiettivo annuale tra 1 e 1,3 mila miliardi di dollari a sostegno dei Paesi più vulnerabili, possibilmente in forma di erogazioni e non di prestiti. Stati Uniti, Unione Europea e altri Paesi occidentali hanno continuato a chiedere un allargamento della base dei contribuenti che possa includere i Paesi formalmente in via di sviluppo ma con grande capacità finanziaria e più climalteranti (è il caso della Cina, che prima al mondo, nel 2023 ha emesso, come gas serra, una quantità espressa in CO2eq di circa 16.000 milioni di tonnellate, il 30% del totale mondiale), oltre a quelli europei e membri OCSE. Posizioni cristallizzate rispetto a una settimana fa”.
Molteplici sono i contributi che raccontano le giornate e l’andamento delle trattative della COP29. Per tutti si segnala la puntata di RADIO3 Scienza dell’11 novembre dal titolo Il Baku della finanza climatica, dove il giornalista Ferdinando Cotugno del quotidiano Domani affronta i temi della crisi climatica, ma soprattutto delle politiche e delle strategie di adattamento messe in campo nelle diverse aree del mondo e degli strumenti per agire e modellare il presente e il futuro, al fine di renderli sempre più vivibili. [Vedi qui]
Gli ultimi giorni della Conferenza di Baku sono stati frenetici. Si è dovuti giungere alle 4 e 30 del 24 novembre quando il Segretario esecutivo delle Nazioni Unite per i cambiamenti climatici, Simon Stiell, ha potuto chiudere la COP29 con un discorso conclusivo in cui ha sottolineato come “il nuovo obiettivo finanziario concordato alla Conferenza delle Nazioni Unite sul clima è una polizza assicurativa per l’umanità”.
“Questo accordo – ha continuato Stiell – manterrà in crescita il boom dell’energia pulita e proteggerà miliardi di vite. Aiuterà tutti i paesi a condividere gli enormi benefici di un’audace azione per il clima: più posti di lavoro, crescita più forte, energia più economica e pulita per tutti. Ma come ogni polizza assicurativa, funziona solo se i premi vengono pagati per intero e in tempo”.
Ha poi riconosciuto che il mondo lascia Baku con “una montagna di lavoro da fare e che dobbiamo invece raddoppiare i nostri sforzi” in vista della prossima COP di Belém in Brasile nel novembre del 2025.
I commenti alla chiusura della Conferenza sono stati particolarmente negativi. Cop29 a Baku, dai paesi ricchi pochi soldi al Sud del mondo. “Uno sputo in faccia alle nazioni vulnerabili”. Così aveva iniziato il 22 novembre Luisiana Gaita sulla rubrica Ambiente & Veleni del Fatto Quotidiano commentando l’ultima bozza pubblicata nell’ambito della Conferenza, e, sempre nella stessa rubrica, il 26 novembre, a cura del blog Ultima generazione, l’articolo Alla Cop29 un altro fallimento: dietro all’Europa del Green deal, si cela una realtà preoccupante. Poi Stephanie Brancaforte, ancora su Ambiente & Veleni scrive Cop29 fallisce: a Baku un clima di sfiducia. Ora l’Italia agisca da leader e l’Ue da guida. Queste le prime righe dell’articolo: “La COP29 di Baku è giunta al termine con risultati che hanno lasciato molti esperti e attivisti profondamente delusi. Nonostante l’urgenza sempre crescente della crisi climatica e impatti sempre più devastanti che colpiscono in particolare i Paesi più vulnerabili, la Conferenza ha fallito nel produrre impegni concreti e meccanismi di attuazione adeguati per rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.”
Molto dettagliata l’analisi di ITALIAN CLIMATE NETWORK che inizia con queste parole: “Dopo due settimane di negoziati difficili e forti tensioni, per chiudere definitivamente la COP29 sono servite molte ore extra di trattative. Ore serrate, con le delegazioni chiuse in sala anche di notte per discutere accordi che, tra forte scontento sui testi definitivi e passi indietro su scienza e mitigazione, alla fine sono però arrivati.”
Marco Telluri scrive “il testo, adottato faticosamente, non soddisfa nessuno o quasi” all’inizio dell’articolo COP29: un accordo “deplorevole” sigillato nell’imbarazzo generale, sul blog Ambiente e non solo…, mentre Andrea Barolini e Tommaso Perrone su lifegate.it pongono l’attenzione sulla questione finanziaria (La Cop29 è finita, non si va oltre i 300 miliardi per la finanza climatica), e scrivono che il testo approvato sulla finanza climatica prevede molto meno del necessario: al sud del mondo la promessa di 300 miliardi di dollari all’anno.
La puntata di RADIO3SCIENZA del 25 novembre, dal titolo particolarmente evocativo (Un Baku nell’acqua) viene presentata dicendo che “la 29esima conferenza ONU sul clima, si è affannosamente conclusa nelle prime ore di ieri. Si è faticato moltissimo a raggiungere un accordo sull’aumento degli aiuti climatici ai Paesi in via di sviluppo. Dai 100 miliardi di dollari all’anno attuali, previsti dagli Accordi di Parigi del 2015, si arriverà gradualmente a 300 miliardi all’anno nel 2035: una cifra giudicata del tutto insufficiente dai Paesi emergenti e fin troppo lontana da quella auspicata all’inizio dei lavori, idealmente fissata in 1.300 miliardi di dollari annui. Molto delusi anche gli scienziati, la cui voce, a Baku, è stata sovrastata dai lobbisti del petrolio. Paolo Conte, conduttore della trasmissione, intervista la glaciologa Florence Colleoni dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale e Francesco Suman, giornalista scientifico.
Sebbene a Baku siano state approvate le regole del mercato internazionale del carbonio, che permetterà agli stati di investire in progetti di decarbonizzazione all’estero, resta la sensazione che la COP29 sia andata al ribasso e non abbia segnato passi avanti significativi nel contrasto al cambiamento climatico.
Infine ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) si chiede: COP 29: se l’obiettivo 1,5 gradi è morto, quale può essere il nuovo limite? E’ alla pagina https://asvis.it/notizie/2-22585/cop-29-se-lobiettivo-15-gradi-e-morto-quale-puo-essere-il-nuovo-limite l’intervento che apre con la domanda “In un mondo che si riscalda sempre di più, ha senso continuare a parlare della soglia degli 1,5 gradi?” È quello che in molti si chiedono in occasione delle negoziazioni della COP29 a Baku.
“La battaglia per mantenere il riscaldamento globale entro +1,5°C (rispetto ai livelli preindustriali) stabilita nell’Accordo di Parigi è stata il mantra che ha portato avanti l’azione climatica degli ultimi anni. Il problema è che le temperature, a causa delle scelte politiche tardive, si stanno alzando sempre di più.”
L’altro elemento di preoccupazione, come detto in apertura, riguarda la biodiversità, distrutta, minacciata e, poco e mal difesa in tutte le aree del pianeta.
In un editoriale scritto sul sito di ASviS Ivan Manzo in modo inequivocabile illustra l’andamento della COP16 sulla biodiversità che si è tenuta a Cali in Colombia. Fallisce la COP16 sulla biodiversità: niente soldi per la tutela della natura, è il titolo, poi le prime frasi dell’editoriale paventano uno scenario veramente sconcertante.
“Nonostante lo scorso decennio fosse dedicato alla «protezione della biodiversità», scrive Manzo, abbiamo trattato talmente male la natura che il periodo 2011-2020 è stato il più distruttivo della storia umana. Dopo aver fallito tutti e 20 i target di Aichi, solo sei sono stati parzialmente raggiunti, stabiliti dalla Convenzione sulla diversità biologica (Cbd – nel 2010 circa 200 Stati che compongono la Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica avevano ideano il Piano strategico per la biodiversità 2011-2020), l’Onu per correre ai ripari ha dedicato il decennio in corso «al ripristino degli ecosistemi».
Dalle ceneri di questo fallimento è nato l’accordo sulla biodiversità che proverà a fermare l’era dell’estinzione durante la COP15 della Cbd nel 2022. In estrema sintesi, continua Manzo, l’accordo prevede la protezione di almeno il 30% delle terre e dei mari entro il 2030, l’eliminazione ogni anno di 500 miliardi di dollari di sussidi dannosi all’ambiente, l’aumento della resilienza degli ecosistemi, riducendo al contempo di 10 volte il tasso di estinzione delle specie e incrementando l’abbondanza di quelle selvatiche; inoltre l’istituzione di un fondo, il Global biodiversity framework fund (Gbff), per colmare il gap finanziario di 700 miliardi di dollari all’anno da impiegare per la tutela della biodiversità.
Nel frattempo la devastazione ambientale è proseguita senza sosta, intensificandosi anziché ridursi.” Per questo motivo grande era l’attenzione per l’appuntamento della COP di Cali. Il summit, che si è tenuto dal 21 ottobre al 2 novembre, non ha però prodotto i risultati sperati, commenta Ivan Manzo, facendo invece registrare l’ennesimo empasse negoziale, a causa del mancato accordo su uno dei punti cruciali della Conferenza, ovverossia “un primo passo per mobilitare 200 miliardi di dollari l’anno allo scopo di sostenere iniziative legate all’attività di conservazione in tutto il mondo, raggiungendo uno step intermedio di 20 miliardi entro il 2025, come promesso dai Paesi sviluppati verso quelli più vulnerabili.”
RADIO3SCIENZA anche in questo caso si è interessata al tema e, nella puntata del 28 ottobre scorso (Il potere delle parole), la giornalista Francesca Buoninconti ne ha parlato con Laura Greco, fondatrice e presidente dell’associazione ecologista “A Sud”, Marica Di Pierri, portavoce della stessa associazione, Lucie Greyl, antropologa, presidente del CDCA – Centro di Documentazione dei Conflitti Ambientali, e con Ferdinando Cotugno, giornalista ambientale. Oltre a commentare i lavori della COP16 in corso in Colombia e le prospettive della COP29 che sarebbe iniziata di lì a poco è stato affrontato il tema di se, fino ad oggi, siano state usate le parole adatte per raccontare la crisi climatica e la crisi della biodiversità. “In tempi di negazionismo climatico e di narrazioni distorte, viene detto nell’introduzione della trasmissione, è quanto mai prezioso conoscere e utilizzare i termini appropriati: per capire e comprendere, per trovare soluzioni, per avere un vocabolario comune, per non cadere nell’immobilismo e nell’angoscia.” La trasmissione è stata anche l’occasione per presentare il volume. [“Le parole giuste. Glossario ecologista”, Fandango Libri, 2024].
ASviS, nella rubrica Notizie (COP16, biodiversità a rischio: il ruolo delle imprese per invertire la rotta) [Vedi qui]introduce il tema dell’importanza economica della biodiversità per le aziende e i dei rischi della sua perdita. “Le aziende italiane dipendono fortemente dai servizi ecosistemici, come acqua pulita, impollinazione e regolazione climatica. Nonostante ciò, solo il 25% delle imprese valuta l’impatto della propria attività sulla biodiversità, sebbene il 48% preveda di integrarlo nelle proprie strategie nei prossimi cinque anni. I settori più esposti sono agricoltura, edilizia e alimentare, con un impatto diretto sulla produttività”.
Infine si riporta quanto dedicato a queste tematiche da ISPRA che, nella pagina https://www.isprambiente.gov.it/it/news/cop16-sulla-biodiversita, scrive “La biodiversità è fondamentale per il benessere umano, un pianeta sano e la prosperità economica per tutte le persone, anche per vivere bene in equilibrio e in armonia con Madre Terra. Ne dipendiamo per cibo, medicine, energia, aria e acqua pulite, sicurezza dai disastri naturali, nonché svago e ispirazione culturale, e supporta tutti i sistemi di vita sulla Terra”, riportando la dichiarazione che aveva aperto il Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework (KM-GBF), l’accordo approvato al termine della COP15 nel 2022. A Cali la COP16, tra i diversi obiettivi, ha avuto lo scopo di negoziare e approvare una serie di decisioni per rendere operativo il KM-GBF.
Merita, in conclusione, menzionare un’altra importante iniziativa di livello internazionale, riportata questa volta nelle news del sito di ISDE Italia, Associazione Medici per l’Ambiente (https://www.isdenews.it/da-baku-a-busan-per-il-trattato-globale-sulla-plastica/): quella del Trattato globale sulla plastica, negoziato iniziato il 25 novembre e terminato l’1 dicembre a Busan, in Corea del Sud.
In un interessante articolo della rivista Materia Rinnovabile del 25 novembre scorso [vedi Qui] Tosca Ballerini pone nel titolo la domanda Trattato globale sulla plastica: meglio un accordo debole o nessun accordo? E di seguito scrive che sono “al via i negoziati INC-5, in Corea del Sud, tra chi vuole far prevalere gli obiettivi ambientali e la tutela della salute e chi gli interessi economici delle industrie petrolchimiche: in mezzo gli incerti Stati Uniti”, e che “i punti di disaccordo tra i paesi continuano a essere più numerosi dei punti di convergenza e i rimanenti sette giorni di negoziati sembrano essere insufficienti per concludere un accordo efficace.”
Sempre Ballerini il 2 dicembre sulla stessa rivista interviene con un articolo che titola: Trattato globale sulla plastica, INC-5 chiude senza accordo: si va al 2025. I negoziati sono stati ancora una volta ostacolati dall’ostruzionismo dei paesi produttori di prodotti petrolchimici e rimandati all’anno prossimo.
La Commissione europea, per concludere questo articolo con una notizia positiva, dopo la rassegna dei disastri delle COP e del trattato sulla plastica, ha pubblicato la relazione 2024 sui progressi dell’azione per il clima, da cui emerge che “le emissioni nette di gas a effetto serra dell’UE sono diminuite dell’8,3% nel 2023 rispetto all’anno precedente, segnando progressi significativi verso la neutralità climatica per la UE” [Vedi Qui]
Tale riduzione ha come fattore più significativo il calo dell’uso del carbone e della crescita delle fonti di energia rinnovabile ed è sostenuta dal ridotto consumo di energia in tutta Europa, secondo i dati stimati inclusi nell’ultimo rapporto “Tendenze e proiezioni” dell’Agenzia europea dell’ambiente (EEA). Considerando gli anni dal 2019 al 2023, tutti in calo per le emissioni di gas ad effetto serra ad eccezione del 2021 (+5,7%), la riduzione complessiva è stata del 14,3%. Rispetto ai livelli del 1990 invece le emissioni nette sono oggi inferiori del 37%, mentre nello stesso periodo “il PIL è cresciuto del 68%, a dimostrazione, afferma il rapporto, della sempre crescente disaggregazione delle emissioni dalla crescita economica”.
Il Commissario responsabile per l’Azione per il clima Wopke Hoekstra ha dichiarato come L’UE sia all’avanguardia nella transizione pulita, registrando nel 2023 ulteriori forti riduzioni delle emissioni di gas a effetto serra.
Cover: Photo: UN Climate Change – Kiara Worth via Flickr CC BY-NC-SA 2.0
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Ho lavorato come ricercatore presso l’Alma Mater Università di Bologna nel settore delle Scienze e Tecnologie Alimentari fino al novembre 2015. Da allora svolgo attività didattica come Docente a Contratto. Ferrarese di nascita ma di origini siciliane. Ambientalista e pacifista fin dagli anni degli studi universitari sono stato attivo in Legambiente e successivamente all’interno di Rete Lilliput di Ferrara fin verso il 2010. Attualmente faccio parte della Rete per la Giustizia Climatica di Ferrara. Sono socio dell’Associazione culturale Cds OdV – Centro ricerca Documentazione e Studi economico-sociali, del cui direttivo faccio parte e collaboro da anni all’Annuario socio-economico ferrarese. Nel 1990 sono stato eletto con la lista “Verdi Sole che ride” nel Consiglio Comunale di Ferrara fino al 1995; in seguito, dal 1999 al 2004 consigliere della Circoscrizione Nord per la lista “Verdi”.
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