Un accordo che rischia di diventare una sconfitta strategica per Israele

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Finanziamo agevolati

Contributi per le imprese

 


L’accordo fra Israele e Hamas, con la mediazione del Qatar e degli Usa, è ormai cosa fatta.

Piano in tre fasi

Il piano per il cessate-il-fuoco sarà in tre fasi differenti. Nella prima, i terroristi di Hamas rilasceranno 33 ostaggi con necessità umanitarie, quindi donne, feriti e anziani (ma la lista comprende vivi e morti, non si sa quanti saranno i vivi che riabbracceranno i loro cari e quanti i corpi da seppellire), contro un numero di prigionieri palestinesi da scarcerare che va da 1000 a 1200, a seconda delle fonti. Lo scambio è impari, 36 palestinesi per ogni ostaggio (morti compresi).

Mutuo 100% per acquisto in asta

assistenza e consulenza per acquisto immobili in asta

 

Israele, sempre in questa fase, dovrà ritirarsi dal “corridoio di Netzarim” che divide a metà la Striscia di Gaza, ma non dal “corridoio Filadelfi”, e consentite l’ingresso di 600 camion di aiuti umanitari ogni giorno.

L’Egitto si dice pronto a riaprire il valico di Rafah, per consentire il passaggio di ostaggi, prigionieri e aiuti umanitari. La popolazione che si è rifugiata nel Sud della Striscia potrà liberamente tornare a nord, una mossa che sinora Israele aveva evitato, per timore che un terrorismo riorganizzato incominciasse di nuovo gli attacchi contro gli insediamenti colpiti dal pogrom del 7 ottobre.

In una seconda fase, da negoziare durante i 42 giorni della prima, Israele dovrà ritirare tutte le truppe dalla Striscia di Gaza, compreso il corridoio di Filadelfi, al confine con l’Egitto, quello da cui le armi di contrabbando sono sempre transitate verso i gruppi terroristi di Gaza. In cambio, Hamas si impegna al rilascio di tutti gli ostaggi ancora in vita, anche maschi e in buona salute. Infine, in una terza fase, ancora vaga, Israele e la comunità internazionale si impegnano nella ricostruzione di Gaza.

Rischio sconfitta strategica

Diciamolo pure senza ricorrere ad eufemismi: se finisce così la guerra, questa è una sconfitta strategica di Israele. Prima di tutto perché, dopo più di un anno di conflitto, deve ancora accettare condizioni concordate con Hamas, per non dire “dettate” da Hamas.

Il gruppo terrorista palestinese, che ha scatenato la guerra con il pogrom del 7 ottobre, è infatti ancora in piedi, è al potere e si è dovuto attendere il suo assenso per il rilascio degli ostaggi che ha tuttora nelle sue mani, senza contare che nessuno sa quanti siano i vivi.

Nel dopoguerra, che inizierà nel momento in cui Israele avrà ritirato il suo ultimo uomo dalla Striscia di Gaza, nessuno garantisce che Hamas non riprenda il potere definitivamente. Non esiste ancora una sola soluzione sul tavolo, scritta nero su bianco, per l’amministrazione dell’attuale emirato di Gaza. Ma una cosa è certa: Hamas è ancora lì, combatte e governa, difficilmente un gruppo terrorista islamico cede il potere ad altre autorità, men che meno all’Autorità Palestinese che ha sconfitto e cacciato da Gaza nel 2007.

La conclusione così devastante di un conflitto in cui Israele ha impegnato tutte le sue forze, è la dimostrazione di quanto sia arduo combattere contro il terrorismo e quanto sia difficile anche solo concepire una vittoria contro un movimento jihadista. Gli Usa hanno vinto la guerra contro Al Qaeda quando hanno ucciso Osama Bin Laden, anche se la rete del terrore, per quanto depotenziata, continua a fare attentati.

Una vasta coalizione di paesi mediorientali e occidentali ha sconfitto l’Isis, quando sono state espugnate le sue due maggiori roccaforti di Mosul e Raqqa e quando lo stesso autoproclamato califfo Al Baghdadi è stato ucciso dagli americani.

Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 

In questo caso, gli israeliani hanno sia espugnato la roccaforte di Hamas (Gaza), sia ucciso tutti i suoi capi (Ismail Hanyie, Muhammad Deif e Yahya Sinwar), oltre a distruggere in lungo e in largo tutta la sua infrastruttura militare, dai tunnel ai lanciarazzi. Eppure, come afferma il segretario di Stato Usa Antony Blinken, Hamas conta ora un numero di terroristi pari a quello di prima della guerra, ha nuovi capi (Muhammad Sinwar, fratello di Yahya) e parrebbe ancora in grado di combattere.

Ogni giorno è in grado di uccidere soldati israeliani e di lanciare sia attentati che razzi contro Israele. Insomma, se esiste una formula per la sconfitta di Hamas, questa non è ancora stata scoperta (così come non è ancora stata scoperta la formula per la sconfitta dei Talebani, di nuovo al potere dopo 20 anni di guerra contro l’Occidente collettivo in Afghanistan).

Spiegazione solo politica

In ogni caso, è giusto porre fine a una guerra, con un compromesso umiliante, se non si sa come sconfiggere il nemico? Non in una guerra di sopravvivenza. E quella che sta combattendo Israele, dopo il 7 ottobre 2023, la è a tutti gli effetti. È fin strano che Netanyahu, determinato come era a vincere questa guerra, si sia abbassato ad accettare condizioni che, in passato, ha rifiutato più volte.

Ed è assurdo che Israele, dopo aver vinto tutte le battaglie, debba accettare condizioni dettate da un’amministrazione americana distante (Biden), un paese ostile che non ne riconosce neppure l’esistenza (il Qatar) e un gruppo terrorista che ha come obiettivo lo sterminio degli ebrei di Israele.

La spiegazione è solo politica, come sempre nei conflitti occidentali moderni. In un mondo politico che non accetta l’idea di “vittoria”, ma solo quella di “pace” (intesa come mera cessazione delle ostilità), l’amministrazione Biden si è mossa coerentemente, dal suo punto di vista, per fermare Israele. Cioè la parte militarmente più “forte”, nonché l’unica con cui si può dialogare.

La comunità internazionale

Alla pressione di Biden si è aggiunta la comunità internazionale: su Netanyahu pende un mandato di cattura della Corte penale internazionale, perché combatteva contro Hamas in un modo che gli organi umanitari dell’Onu ritengono inaccettabile (soprattutto se basano le loro accuse sulla narrazione dei soli palestinesi). Mai, come in questo anno di guerra, così tanti paesi, fra cui Irlanda, Norvegia e Spagna, hanno riconosciuto lo Stato Palestinese, dimostrando che il terrorismo paga.

Se Hamas non avesse massacrato 1200 ebrei in un solo giorno, il mondo si sarebbe quasi dimenticato della causa palestinese, soprattutto in un periodo di guerra in Ucraina, con l’attenzione su ben altri problemi e minacce. Invece il bagno di sangue e l’inevitabile risposta militare di Israele hanno scatenato odio anti-sionista e un rinnovato amore occidentale per la Palestina, tornata ad essere il simbolo per eccellenza della causa progressista.

Microcredito

per le aziende

 

La sinistra israeliana

Infine ci si è messa anche l’opinione pubblica israeliana. Fino al giorno prima del 7 Ottobre c’era la quasi-guerra civile contro Netanyahu, per la sua riforma della Corte Suprema che la sinistra e il centro israeliani consideravano alla stregua di un golpe. Sono bastati alcuni mesi di guerra per far scoppiare di nuovo l’ostilità contro il premier.

La sinistra mediatica è riuscita diabolicamente a coniugare l’angoscia dei famigliari degli ostaggi imprigionati e torturati da Hamas, con l’ostilità per Netanyahu: se i tuoi cari non sono liberi, dicono, è solo colpa di Netanyahu. Se li volesse veramente liberare, dovrebbe accettare un compromesso e porre fine alla guerra.

Ed ecco qua, il danno è fatto: disgiungendo la causa della lotta contro Hamas da quella della liberazione degli ostaggi, la sinistra israeliana ha fatto il capolavoro di creare un movimento pacifista, con le famiglie degli ostaggi, contro una guerra condotta per la liberazione degli ostaggi.

Il ruolo di Trump

Sembra strano che questi termini di pace siano stati accettati da un Netanyahu evidentemente esausto, proprio alla vigilia dell’insediamento di Donald Trump? Secondo un luogo comune, Trump è un “Rambo” che appoggerebbe Israele in guerra fino alla morte. Ma non è così, considerando che è stato proprio l’inviato di Trump, l’imprenditore Steve Witkoff, l’ultimo a convincere Netanyahu ad accettare. E secondo la stampa israeliana, lo avrebbe fatto usando toni duri, sopra le righe, agendo di fretta e violando il riposo sabbatico che Netanyahu chiedeva di rispettare.

Witkoff, per conto di Trump, ha imposto l’accettazione delle condizioni di Biden e Netanyahu, a quel punto, si deve essere sentito circondato. Un segnale inquietante per un’amministrazione Trump che deve ancora insediarsi e che alla sua prima vera prova internazionale chiede di concludere una guerra subito, “purché sia” chiusa, per non disturbare la cerimonia di insediamento.

Cessione crediti fiscali

procedure celeri

 



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link