Economia circolare, Legambiente plaude al nuovo piano toscano ma chiede impianti per chiudere il ciclo

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Approvato ieri notte il Piano regionale dell’economia circolare (Prec), la Toscana ora è chiamata a metterlo a terra, e il principale ostacolo non è tecnico né economico, ma si misura in termini di sostenibilità sociale e di capacità decisoria: è il chiaroscuro il commento del Cigno verde regionale al via libera del Piano, arrivato nella serata di ieri in seno al Consiglio toscano, ribadendo del resto quanto già emerso a dicembre nel corso del Forum sull’economia circolare promosso a Prato dagli ambientalisti.

«L’approvazione del Piano regionale dell’economia circolare non può che essere salutata con soddisfazione – dichiara nel merito Fausto Ferruzza, presidente Legambiente Toscana – Promosso dall’assessora Monia Monni, il nuovo Piano mette in grado la Regione, gli Ato e le imprese, cominciando da quelle pubbliche, di mettere a terra i progetti annunciati, misurando così anche l’effettiva intenzione del “sistema” di chiudere davvero il cerchio della gestione dei propri scarti. È di fondamentale importanza, tuttavia, che il nuovo Piano spinga in misura più forte sull’obiettivo della riduzione, la prima delle 4 R, facendo penetrare con più efficacia nell’ordinamento regionale stesso la cultura dell’economia circolare, superando la logica, ormai vecchia, della mera gestione dei rifiuti».

Come già evidenziato su queste colonne, dopo aver realizzato gli importanti impianti di gestione per i rifiuti organici, la principale lacuna nel parco impianti toscano sta nella capacità di non smaltire in discarica – o peggio, esportare – i rifiuti secchi non riciclabili meccanicamente, man mano che continua a calare la disponibilità di termovalorizzatori (con la chiusura da ultimo di quello livornese). Se a chiudere il ciclo per la Toscana costiera è atteso l’ossicombustore di Peccioli, resta un vuoto da colmare per quanto riguarda l’Ato centro.

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«Sottolineiamo un certo squilibrio territoriale, che porta a una migrazione di fatto dei rifiuti urbani dal centro verso la costa – spiegano Maria Rita Cecchini e Stefano Donati, responsabili della Commissione economia circolare di Legambiente Toscana – O anche la carenza di un’adeguata impiantistica di chiusura del ciclo gestionale, ciclo che, nonostante tutti gli sforzi compiuti, continua a vedere come prevalente il ricorso alla discarica e agli inceneritori, mettendo in secondo piano e in subordine lo sviluppo di tecnologie, nuove ed alternative, per il trattamento dei decadenti (i rifiuti che eccedono dall’esclusivo trattamento meccanico)», ovvero dai cosiddetti “impianti a freddo” (Tmb).

Relativamente alla costruzione degli impianti, Legambiente sottolinea però come ad oggi «la maggior parte delle manifestazioni d’interesse per impianti di riciclo chimico sono state abbandonate dagli stessi proponenti, talvolta anche per la complessiva incapacità delle istituzioni e delle aziende di affrontare il tema del consenso e della sostenibilità sociale degli impianti, restando ostaggio in molti luoghi delle diverse sindromi Nimby e Nimto». A suo tempo Legambiente Toscana si era schierata con coraggio a favore dell’impianto di riciclo chimico di Empoli, un progetto poi accantonato per l’indisponibilità del Comune – pressato dai comitati – a procedere. Paradossalmente, oggi anche alcuni circoli locali del Cigno verde (come quello della Valdera) restano contrari a impianti alternativi ma necessari per chiudere il cerchio di gestione, come appunto l’ossicombustore di Peccioli.

Tra i limiti del Piano regionale segnalati da Legambiente Toscana c’è anche quello relativo al fatto che il Prec non sembra prestare troppa attenzione alla differenza che sussiste fra “percentuale di raccolta differenziata” e “percentuale effettiva di riciclo o recupero”, che ancora fa registrare un significativo scarto da colmare per i processi preliminari di preparazione per il recupero che generano le raccolte stesse. «Pochi sanno infatti che la stessa raccolta differenziata genera scarti e il riciclo effettivo ancor di più – ricorda il Cigno verde – Si tratta di un gap culturale prim’ancora che tecnico che richiede un duplice slancio in avanti. Il primo sull’impiantistica innovativa, che porti davvero alla transizione ecologica, il secondo relativo a una sempre più necessaria attenzione e cura non solo alle quantità di differenziata ma anche – e soprattutto – alla loro qualità».

Basti osservare che ad oggi in Toscana vengono generati annualmente 9,7 mln ton di rifiuti speciali, per il 34,2% costituiti da “rifiuti da rifiuti”, ovvero inevitabili scarti dell’economia circolare; è in un certo senso una buona notizia, perché significa che il trattamento rifiuti e la depurazione continuano ad avanzare. Ma diventa una cattiva notizia quando si osserva che non abbiamo abbastanza impianti di prossimità per gestire questi rifiuti, tant’è che l’export di rifiuti speciali è cresciuto del 38% nell’ultimo anno. Peggiorando i bilanci ambientali ed economici della Toscana.



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