Pensioni: il sistema regge ma troppi anticipi, età bassa e un peso dell’assistenza di 92,8 miliardi

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Si moltiplicano i trattamenti assistenziali: il 40,40% dei pensionati è «assistito»

Nel dossier si afferma che rispetto al precedente rapporto calano le pensioni indennitarie (-2,19%), mentre crescono sia le prestazioni Ivs (+0,24%) sia quelle di natura assistenziale (+2,70%), «cui va principalmente imputato l’aumento complessivo dei trattamenti somministrati». Una tendenza che trova conferma anche nell’analisi di lungo corso condotta di “Itinerari previdenziali”: «nel periodo compreso tra 2008-2023, si rileva una diminuzione di ben 787.407 prestazioni (-3,32% in sedici anni) cui ha contribuito però soprattutto l’andamento di pensioni Ivs (-4,69%) e prestazioni indennitarie (-34,07%); in netta controtendenza invece i trattamenti assistenziali, che hanno registrato una variazione positiva del 9,95% (pari a 410.855 unità) nello stesso arco temporale». Per “Itinerari previdenziali” i pensionati totalmente o parzialmente assistiti sono 6.556.991, «vale a dire il 40,40% del totale».

Cresce sensibilmente il peso dell’assistenza

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Per “Itinerari previdenziali” nel 2023, scorporando le voci assistenziali che hanno inciso per oltre 92 miliardi, la reale spesa complessiva per previdenza è stata di 267,107 miliardi, con un incremento di 19,53 miliardi (+7,88%) «sul quale hanno pesato in maniera sostanziosa sia l’aumento del numero di pensionati (+98.743 rispetto al 2022) sia la rivalutazione degli assegni di importo più basso all’inflazione (+7,3%, ricalcolato all’8,1% per le minime)». L’incidenza sul Pil del “conto pensionistico” sarebbe quindi del 12,55%, sensibilmente più bassa di quella indicata per l’Italia da Eurostat e Rgs. Una percentuale che, secondo “Itinerari previdenziali”, «scende all’11,48%, valore più che in linea con la media Eurostat, se si escludono dal calcolo Gias (la gestione interventi assistenziali dell’Inps) dei dipendenti pubblici, maggiorazioni sociali e integrazioni al minimo per il settore privato (22,809 miliardi in totale): spese che la stessa Inps classifica in realtà come assistenziali». Nel rapporto, inoltre, si fa notare che il capitolo “assistenza” continua a gravare fortemente sul bilancio del nostro welfare: nel 2023 sono stati 164 i miliardi a carico della fiscalità generale, con una spesa che dal 2008 a oggi è cresciuta «3 volte più rapidamente di quella per pensioni», tra l’altro «senza generare miglioramenti negli indicatori di povertà Istat».

Il Welfare assorbe più della metà della spesa pubblica

Un altro dato evidenziato nel report è l’impatto dei costi del Welfare sui conti pubblici. Nel 2023 l’Italia ha complessivamente destinato a pensioni, sanità e assistenza 583,712 miliardi, con un incremento del 4,32% rispetto all’anno precedente (24,2 miliardi). Nel dossier si afferma che la spesa per prestazioni sociali «ha assorbito oltre la metà di quella pubblica totale: il 50,93%», che risulta comunque inferiore al dato del 2022 (51,65%).

Rapporto attivi-pensionati buono, anche se non alla soglia di sicurezza: il sistema è ancora solido

Malgrado l’incremento del numero di beneficiari di trattamenti pensionistici, per effetto del miglioramento della situazione occupazionale a 1,4636 il rapporto attivi-pensionati si attesta, «valore fondamentale per la tenuta di un sistema pensionistico a ripartizione come quello italiano». A giudizio di “Itinerari previdenziali” si tratta del miglior dato di sempre tra quelli registrati, «benché ancora al di sotto di quell’1,5 già indicato nelle precedenti pubblicazioni come soglia minima necessaria per la stabilità di medio-lungo termine della nostra previdenza obbligatoria». Le previsioni per gli anni a venire sono quelle di un ulteriore, lento progressivo miglioramento, «ma, affinché queste stime si concretizzino, sarà innanzitutto necessario investire in politiche industriali che rilancino la stagnante produttività del Paese, capitalizzando le risorse del Pnrr, e migliorare quelle attive per il lavoro, soprattutto allo scopo di arginare il fenomeno del mismatch tra domanda e offerta».

Necessario un freno alle uscite anticipate

Il rapporto sottolinea che è «altrettanto rilevante tenere sotto controllo le uscite anticipate dal mercato del lavoro, garantendo la stabilità del sistema anche ai più giovani, nell’ambito di quel patto intergenerazionale che vede appunto le pensioni di quanti sono già in quiescenza pagate con i contributi versati dai lavoratori attivi».



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