«Le sovvenzioni non fanno bene alle valli. Serve altro»

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Archiviato il successo per la serata dedicata alla spedizione al K2, il Cai Biella ora invita a riflettere sulle montagne di casa, sulle valli che si inerpicano alle spalle della città e che ancora oggi garantiscono la fonte principale di quei beni ecosistemici indispensabile alla prosperità delle nostre società. L’appuntamento è venerdì alle 18 all’Auditorium Maurizio Sella, via Corradino Sella 6, con la cerimonia di Premiazione del Premio Biella Letteratura e Industria, sezione montagna. “il Biellese” ha intervistato l’autore del saggio vincitore, il giornalista e scrittore, Marco Albino Ferrari.

Il suo libro “Assalto alle Alpi” è il vincitore del Premio Biella Letteratura e Industria, sezione montagna. Il Premio vuole premiare quei lavori che mettono in luce una correlazione tra industria, in senso lato, economia, e cultura. Il benessere economico non può essere visto indistintamente dal livello culturale della società. Il suo libro racconta di un impoverimento della montagna. Un fenomeno causato anche dal turismo di massa?

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Dal Secolo Romantico il turismo – è cosa ben nota – ha segnato fortemente l’economia della montagna. Le valli che ne hanno beneficiato si sono emancipate da condizioni di povertà o da un’economia di sussistenza che penalizzava soprattutto i territori più lontani dalla pianura. Lo sci, fin dal tempo del Boom economico, ha tamponato l’emorragia dello spopolamento. Ora però assistiamo al fenomeno contrario, dove ci sono grandi concentrazioni di turismo si crea lo spopolamento. Il problema del turismo contemporaneo è quando supera una certa soglia. Ovvero, quando i residenti sono costretti a rivolgersi ai servizi – bar, ristoranti – pensati per i turisti, ovviamente sempre più cari. Gli affitti vanno alle stelle, il costo della vita è insostenibile e le condizioni per una vita “normale” vengono meno. Oggi gli albergatori di Trentino, Alto Adige, Valle d’Aosta e di altri centri, non si preoccupano più di rintracciare turisti – c’è la fila fuori che aspetta – ma la manodopera. In più, se i paesi di montagna si reggono sulla monocultura del turismo iniziano ad essere apparecchiati per soddisfare le aspettative del vacanziere, che sono spesso frutto di immaginari stereotipati, finti. Un’idea astratta e sentimentale della montagna, una patina tutta estetizzante che trova nel cosiddetto “tipico” il suo fondamento.

Siamo quasi alla vigilia delle Olimpiadi di Milano-Cortina. Se è vero che il precedente storico di quelle di Torino ha segnato una rivitalizzazione della città, non si può dire altrettanto per le valli che, con sfoggio di retorica, ancora oggi vengono definite olimpiche. Quali sono i rischi e le opportunità del grande evento che si disputerà tra un anno?

Le Olimpiadi sono una grande vetrina internazionale e l’Italia avrebbe potuto sfruttarla, rinunciando volontariamente ad alcuni nuovi impianti (in primis la pista di bob di Cortina) per tener fede ai propositi di realizzare un evento sostenibile. Sarebbe stata una scelta coraggiosa e persino astuta: avrebbe permesso di mostrare la potenza di un’Italia che si fa portavoce del mondo che cambia. Invece si è deciso di rimanere nel solco di una continuità con il passato che è indice di arretratezza di vedute.

Torno al tema della cultura. Negli ultimi anni sono emersi interessanti studi che mettono in evidenza come, in passato, il tasso di istruzione fosse più diffuso nelle valli, che in pianura. Come si spiega questo fenomeno?

È un fenomeno ampiamente studiato dall’antropologo Pier Paolo Viazzo. Lui stesso lo ha definito “paradosso alpino”. Sue ricerche compiute nel Queyras e nei Grigioni ribalterebbero posizioni assodate montanaro=retrogrado. In montagna, soprattutto nelle zone meno raggiungibili, vi era un più alto grado di scolarizzazione rispetto alle masse analfabete delle pianure, in quanto era più diffusa l’emigrazione stagionale. Emigrare costringeva il montanaro ad “aprire gli occhi” a mettersi di fronte a esigenze che la stanzialità non gli avrebbe imposto. Leggere diventava un modo per poter viaggiare e trattare il lavoro.

Rispetto dell’ambiente, dei territori, non vuol dire impoverimento. Quanto le nuove tecnologie, penso a quelle della comunicazione, possono essere importanti per garantire un nuovo futuro ai comuni montani, alle aree interne? Del resto già Quintino Sella, scriveva, nell’800, ai suoi colleghi parlamentari per invitarli a investire per assicurare collegamenti telegrafici anche nei più piccoli comuni montani…

Un cittadino che abita nelle zone interne deve poter avere gli stessi diritti di chi abita altrove. Mi chiede delle nuove tecnologie? Oggi è fondamentale superare i divari digitali che sfavoriscono grosse fette di Paese: va implementata la possibilità di connettersi. Già lo si è fatto con Bando ultra larga partito nel 2016, con il Piano Italia 5G. E il Piano Italia 1 Giga finanziato dal Pnrr. Ma il punto è che bisogna avere la forza politica di imporre un contributo ai giganti del web. Questo dovrebbe fare una nuova legge seria sulla montagna.

In Valle Cervo, sopra a Biella, si sta assistendo a una “colonizzazione” di stranieri, spesso nord europei che comprano case e si stabiliscono a vivere qui. Sono giovani con un tasso di istruzione elevato e con figli al seguito. Cosa ci può raccontare questo fenomeno? Come la politica può incentivarlo?

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È un fenomeno positivo. La politica dovrebbe favorire il ritorno alla montagna, indipendentemente da chi torna, stranieri del nord, del sud o italiani. La linea demografica in costante discesa va ribaltata. Non è possibile immaginare una fetta del Paese dove non nasce più nessun. Una ricerca recente dell’Istat ci dice che nel 2023 non è nato nessun bambino in 358 comuni.

Una politica che però spesso è sorda ai problemi delle aree interne. L’ultima finanziaria riduce i fondi ai comuni e anche il Cai ha visto un taglio considerevole di risorse da parte del Ministero del Turismo. Il new green deel è destinato a fallire?

C’è in discussione la nuova Legge sulla montagna firmata da Calderoli. Vedremo cosa partorisce. Io penso verranno stanziati nuovi sussidi, che vanno bene. Ma non è quello il punto. Il punto è che politiche di sostegno alle terre alte non dovrebbero essere più attuate a scopi caritatevoli, o per aiutare gli ultimi che vivono in condizioni difficili. Le montagne dell’abbandono non vanno più viste con benevolenza e rassegnazione come fossero un rimorchio passivo, da assistere. No, bisogna invertire lo sguardo e capire che dentro quel mondo dormiente giace in potenza un’idea di futuro pronta a fiorire.

Il Premio Biella Letteratura e Industria – sezione montagna è alla sua seconda edizione. Negli anni dispari vengono premiate opere di narrativa – la prima edizione è andata a Il Duca di Matteo Melchiorre – la seconda a lei. Che significato possono avere i premi nell’opinione pubblica?

Sono contento di succedere a Matteo Melchiorre, scrittore che stimo molto. Oggi la lettura è sempre più sostenuta dal contatto tra autore e lettore. Festival, presentazioni di libri, reading, premi letterari fanno parte di questo tendenza mondano-culturale. Il fine è promuovere la lettura. Dunque benissimo. Sono grato ai giurati per questo riconoscimento importate, nella città natale del fondatore dell’alpinismo istituzionale italiano.

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