Una manifestazione per la liberazione degli ostaggi – Reuters
Entrerà in vigore entro due, al massimo tre, giorni dall’annuncio l’accordo per la tregua a Gaza, ormai dato per certo. Il primo giorno di sospensione delle ostilità verrebbero rilasciati tre ostaggi, dopo di che l’esercito israeliano si ritirerebbe dalle aree più densamente popolate. Dopo una settimana sarebbe previsto il rilascio di altri quattro, i restanti a seguire nelle prime sei settimane per un totale di 33 tra donne, minori, anziani e ammalati. Vivi, per la maggior parte. Ma non tutti.
Secondo fonti di Channel 12 usciranno per primi i fratellini Kfir e Ariel Bibas (9 mesi e 4 anni, gli unici bambini rimasti) assieme a tre donne civili. In cambio delle cinque soldate verrebbero scarcerati 250 detenuti, di cui 150 ergastolani. Dalle celle israeliane uscirebbero centinaia, forse migliaia, di donne, minori e ammalati. Un funzionario ha detto alla Cnn che il numero non potrà essere precisato «finché Hamas non dirà quanti ostaggi sono vivi». Contestualmente, verrebbe consentito il rientro dei palestinesi nel nord di Gaza e l’ingresso di 600 camion di aiuti umanitari al giorno. A questo scopo, l’Egitto sarebbe pronto a riaprire il valico di Rafah, chiuso da quando a giugno le truppe israeliane ne hanno occupato il versante palestinese. Secondo fonti egiziane sentite da al-Araby al-Jadeed, Il Cairo si prepara a ricevere nel Sinai gli ostaggi e gli ex detenuti. Esclusa la restituzione ad Hamas del corpo del leader Yahya Sinwar. Ed esclusi dalla scarcerazione quanti hanno partecipato al massacro del 7 ottobre. In questa fase, Israele manterrebbe il controllo del Corridoio Filadelfia al confine con l’Egitto ma si ritirerebbe dal Netzarim realizzato per dividere orizzontalmente la Striscia.
La devastazione a Gaza – Ansa
Il sedicesimo giorno di questa prima fase comincerebbero i negoziati sui dettagli della seconda, nella quale verrebbero liberati i rimanenti ostaggi (circa 65, vivi o morti). Incerti i tempi, dal momento che l’inizio del secondo round potrebbe slittare finché non si saranno trovate le intese. L’incertezza non piace ai familiari dei rapiti esclusi dalla prima lista. «Mi sento abbandonato e così tutti gli ostaggi e le famiglie lasciate fuori da questa fase. A mio parere, è una vergogna e un’umiliazione» ha denunciato Eli Shtivi, padre di Idan Shtivi, assassinato e rapito il 7 ottobre. I parenti degli ostaggi il cui decesso è stato accertato sono stati esclusi dall’incontro con il premier Benjamin Netanyahu, ieri nel suo ufficio di Gerusalemme. Insoddisfatti anche gli altri familiari: «Gli accordi sono solo per la prima fase, siamo preoccupati per la seconda e la terza». Da quindici mesi aspettano anche gli sfollati di Gaza, molti al secondo inverno in tendopoli. E ci sarebbero due bambini fra le 38 vittime denunciate ieri dalle autorità sanitarie controllate da Hamas: uccisi in una tenda a ovest di Nuseirat. Salirebbero a 46.645 i morti, oltre 110mila i feriti.
Nessuno potrà dire quante vite sarebbero state risparmiate se l’accordo fosse stato chiuso a fine maggio, quando Biden l’annunciò al mondo. Come osserva su Haaretz Alon Pinkas, dal momento che i termini per la tregua «sono gli stessi di otto mesi fa, perché Netanyahu li accetta ora?». Evidentemente, Trump è stato più convincente. È riuscito a scalzare gli argomenti dei ministri dell’estrema destra, che ieri si sono intestati la responsabilità di aver fatto fallire i precedenti tentativi: «Nell’ultimo anno, utilizzando il nostro potere politico, siamo stati in grado di impedire che questo accordo venisse concluso, più e più volte» ha scritto su X il responsabile della Sicurezza Itamar Ben-Gvir, leader di Potere ebraico. Consapevole che la sua uscita non farebbe cadere il governo, si è appellato all’altro ministro estremista, Bezalel Smotrich (Finanze), che ha bollato come «catastrofe» l’intesa. Un deputato del suo partito Sionismo Religioso, Ohad Tal, ospite del presidente americano eletto Donald Trump, gli ha chiesto di fermare l’«orribile» accordo «che è stato spinto dall’amministrazione Biden» e che «lascerà al potere quel male totale che è Hamas».
Ieri in tarda serata, Netanyahu ha convocato una riunione d’urgenza con i vertici di Mossad e Shin Bet e il capo di stato maggiore. A Doha, dove si tratta, è arrivata una delegazione di alto livello della Jihad islamica per discutere gli ultimi particolari. Capita che una trattativa che sembra chiusa s’incagli nei dettagli. Ma il tempo stringe: il 20 s’insedia Trump. E ha dato un ultimatum.
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