L’evento era atteso, certo, ma è innegabile che quando si è verificato un piccolo brivido lo abbia provocato: l’Italia ha sfondato la soglia psicologica dei 3mila miliardi di debito pubblico. Più precisamente, secondo gli ultimi dati di Bankitalia, nello scorso novembre siamo arrivati a 3.005,2 miliardi. Il che significa che ogni italiano teoricamente si porta dietro un fardello da oltre 50mila euro, per l’esattezza 50.944 euro. Fardello per gli italiani di oggi e zavorra per quelli di domani: come chiunque gestisce un bilancio familiare sa bene, i debiti vanno a influenzare le spese e gli investimenti necessari per il futuro.
Detto questo, per l’Italia avere 3mila miliardi di debito non è la fine del mondo. Per almeno tre motivi. Il primo è un assunto abbastanza condiviso dalla scienza economica: non è tanto importante il valore nominale del debito per le finanze pubbliche ma soprattutto la capacità di un paese di farvi fronte. Anche qui ci può venire in soccorso un semplice paragone con le finanze personali: quando si contrae un debito non è tanto importante il valore in sé ma la capacità di ripagarlo, restituendo ogni mese la quota del capitale e gli interessi al nostro debitore. In altri termini, se abbiamo uno stipendio abbastanza capiente, possiamo anche contrarre un debito sostanzioso senza aver timore di finire sul lastrico. La stessa cosa vale per i singoli Stati, l’importante è avere un livello di Pil che permetta di pagare gli interessi e far andare il Tesoro sui mercati a fare nuove emissioni di titoli di stato. L’Italia come è messa? Tutto sommato bene, se si va a prendere l’indicatore fondamentale il rapporto debito/pil: siamo al 139,9%. Si tratta di un livello alto ma che non fa scattare l’allarme rosso, e che per inciso è più basso di qualche anno fa. Un’altra cosa che ci suggerisce l’indicatore è che il debito è tanto più sostenibile quanto più l’economia di un paese cresce. E per nostra fortuna gli anni post Covid sono stati buoni per il nostro pil (infatti qualche grattacapo ci verrà dall’arresto della crescita iniziato l’anno scorso e che proseguirà quest’anno). Insomma, come dice Bankitalia “solo per fare un esempio di una possibile discrepanza tra dinamica del debito in termini nominali e in rapporto al prodotto interno lordo, in Italia nel triennio post-pandemico 2021-23 il debito nominale è aumentato di quasi 292 miliardi; in rapporto al Pil è sceso di oltre 19 punti percentuali”.
Il secondo motivo è da ricercare nel comportamento dei mercati internazionali. Il costo del debito sale quando i mercati hanno poca fiducia di uno Stato o quando lo avvertono come rischioso. Invece scende quando gli investitori si sentono tranquilli nell’affidare i propri soldi a un governo. Ebbene, i mercati tutto sommato hanno finora promosso l’operato del premier Giorgia Meloni e del suo ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Le tre agenzie di rating – Moody’s, S&P e Fitch – hanno lasciato invariato il rating, confermandolo al livello dell’epoca Draghi; il tanto temuto spread, ossia il differenziale fra il rendimento dei titoli di stato italiani e quelli tedeschi, è sotto controllo, a un livello estremamente basso, 120 punti; l’Ufficio parlamentare di bilancio, organismo che monitora lo stato di salute dei nostri conti pubblici, ha previsto che ci saranno risparmi sugli interessi da pagare di 17 miliardi nel periodo 2025-2029. Insomma, l’Italia è considerata un debitore solvibile.
Infine il terzo motivo è sintetizzabile col vecchio detto “mal comune, mezzo gaudio”. Quello dell’aumento del debito pubblico infatti è un fenomeno che ormai non è solo specifico del nostro paese ma è un trend consolidato per quasi tutti i paesi occidentali, compresa la solitamente virtuosa Germania. Basta buttare lì qualche dato sparso per capire come sia tutto il mondo a navigare allegramente in un mare di debiti. La superpotenza Usa ha un debito/pil del 125%, la Francia del 109%, la Spagna del 105%, la Grecia del 153%, senza considerare la vetta inarrivabile del Giappone al 263%. Se gli altri reggono questi livelli, l’Italia non può essere da meno. Basta che a nessuno al governo venga in mente di sfondare la spesa pubblica, tuttavia Meloni e Giorgetti finora si sono mostrati abbastanza saggi da questo punto di vista. Peraltro, anche nel caso di un imponderabile attacco di pazzia, ci sarebbe sempre il nuovo Patto di stabilità europeo a proteggere i conti italiani – e in ultima analisi i conti correnti di tutti noi.
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