Great Place to Work Italia: ecco i trend 2025 del lavoro
Se il 2014 si è chiuso con una storica prima volta per il nostro Paese, come inizia l’anno nuovo e quali sono i trend 2025 del lavoro secondo Great Place to Work Italia?
Fiducia, equità, flessibilità, giovani. In senso più ampio cultura e quindi persone. Le riflessioni e i trend 2025 nel mondo del lavoro partono da qui e su questi si è concentrato Alessandro Zollo, CEO di Great Place to Work Italia. La società di ricerca, tecnologia e consulenza organizzativa in ambito HR ha visto per la prima volta un’organizzazione italiana, il Gruppo biofarmaceutico internazionale di Parma Chiesi, essere tra i 25 migliori ambienti di lavoro al mondo secondo il ranking 2024 “World’s Best Workplaces”.
Partiamo da un tema tornato alle cronache per un radicale cambio di rotta di alcune grandi realtà internazionali. Parlo dello smart working (e del back to office) che unisce il tema della flessibilità a quello della fiducia, centrale per Great Place to Work e per i 25 vincitori. Un dato significativo:
- quando i collaboratori dichiarano di avere fiducia nella leadership, hanno 4 volte più probabilità di partecipare in modo significativo allo sviluppo dell’innovazione all’interno dell’azienda.
Ma allora il tema della fiducia non è in contrasto con la scelta della revoca del lavoro agile/da remoto proprio da parte di settori e aziende molto tecnologiche (che stanno tornando sui loro passi, come vedremo, anche sul tema DE&I)?
“In realtà no, non c’è nessuno studio credibile al mondo che dimostra un calo di produttività all’aumentare dei giorni di smart working. Quello a cui stiamo assistendo, soprattutto da parte di big tech e qualche società appartenente alla finanza, mi pare un tentativo di ridurre le risorse senza pagarne il prezzo. Il problema però è che questa è una visione di brevissimo periodo. Chi saranno quelli che se ne andranno? Quelli che vogliono mantenere la propria flessibilità e possono scegliere, e di solito sono le persone con maggior talento. Non mi stupirei se queste stesse aziende, una volta terminata la dieta, tornassero a “riabbracciare” lo smart working“.
Resta quindi il tema della flessibilità, leva su cui devono puntare le aziende anche in ambito di talent attraction e retention.
“Dobbiamo renderci conto che le persone giovani e di talento si riducono per un fatto meramente sociale, nascono meno bambini e ci sono stime per cui nel 2040 il 33% della popolazione aziendale sarà formato da over cinquantenni. Cosa vuol dire questo? Che i giovani avranno un peso nella selezione molto più forte di quello che hanno oggi (che già è maggiore rispetto al passato). Sarano loro a dettare le condizioni, perché banalmente diventeranno rari e costeranno di più. Quindi, siccome sono anche quelli che garantiscono innovazione, le organizzazioni si dovranno, volenti o nolenti, organizzare per offrire la maggior flessibilità possibile, il welfare più innovativo e un benessere organizzativo che si basa sull’esperienza e sul feedback diretto dei collaboratori”.
Non solo flessibilità, nei trend 2025 del lavoro e non solo l’equità nell’avanzamento di carriera e in generale nel trattamento delle persone è cruciale. Al tempo stesso, però, è un tema ancora molto spinoso nel nostro Paese, come conferma Zollo “Questo è il vero nocciolo del problema italiano. Come ho già detto, il problema dell’equità di trattamento e delle carriere è il cuore del nostro ritardo di leadership nei confronti del resto d’Europa e degli USA. Fin quando continuano ad esistere manager che fanno del “command and controll” la propria cifra manageriale, non c’è possibilità di risolvere il problema della produttività. Oggi i ragazzi, e soprattutto le ragazze, hanno tutti gli strumenti per capire quanto valgono sul mercato del lavoro, non amano i grandi brand (che vedono come vecchi e arretrati) e sono dispostissimi a lasciare ambienti di lavoro tossici e retrogradi. Se le organizzazioni non affrontano il tema della trasparenza, della diversità e dell’inclusione, non attrarranno giovani, e quei pochi che arriveranno, se ne andranno in meno di un anno. Nelle aziende che lavorano con noi e che certifichiamo, questi temi sono tra i primi posti dell’agenda dei CEO e i risultati economici ne conseguono”.
A proposito di certificazioni, nel nostro Paese abbiamo un panorama molto variegato, ma quanto sono percepite rilevanti dalle aziende e dalle persone? Come deve evolvere questo trend così in voga nel mercato del lavoro nel 2025?
“Il mercato delle certificazioni, soprattutto sulla bontà dei luoghi di lavoro, non è ancora maturo e a volte fuorviante. Non passa giorno che non ci sia una classifica o una certificazione su qualche tema, poi se si spende un po’ di tempo a leggere le metodologie, basta il parere di 7 intervistati per fare titoli come: “I migliori luoghi di lavoro in Italia”. Fortunatamente, le persone che leggono le classifiche e giudicano le certificazioni, si informano, leggono e valutano. Sono i lavoratori il vero giudice finale della bontà dei “badge” e delle “coccarde” di cui si fregiano le imprese. Se la certificazione è credibile, le persone ne terranno conto, se non lo è, ne parleranno tra di loro e il valore della “pecetta” sarà inferiore al prezzo pagato dall’azienda per averla. Noi auspichiamo un mercato delle certificazioni che sicuramente sia uno dei principali strumenti di employer branding, ma che lo stesso employer branding sia il momento finale di un percorso di sviluppo interno e non l’obiettivo conseguito con una documentazione perfetta o investendo su questa o quella rivista“.
Questione quindi anche di leadership e management. Ma c’è una leadership modello?
“Non so se esiste un ritratto di un manager sensibile a queste tematiche, diciamo che ci sono culture aziendali che abbracciano i temi della diversità, dell’inclusione, della trasparenza, della flessibilità quindi della fiducia, e culture che non lo fanno. È di questi giorni la notizia che Zuckerberg abbia deciso di togliere il sistema di fact checking alle proprie piattaforme e che, insieme a Bezos e altre grandi aziende USA (Walmart e McDonald’s), abbia deciso di terminare i propri programmi di diversità e inclusione. Ci saranno manager che accetteranno queste decisioni e manager a cui non piaceranno e cercheranno altro. Credo che sia la sensibilità delle singole persone, dei singoli manager a definire i propri comportamenti e non un ritratto generico. Certo è che le nuove generazioni, soprattutto se di cultura elevata, sono molto sensibili a questi argomenti e vedo difficile pensare che non facciano parte delle loro scelte manageriali”.
Infine parliamo di voi e dei “buoni propositi” che avete all’inizio di questo anno nuovo. “Il primo obiettivo che ci poniamo nel 2025, ma lo è stato nel 2024 e lo sarà anche nel 2026, è quello di far capire alle organizzazioni italiane che l’analisi di clima è il bilancio delle persone. Così come il bilancio economico fotografa la situazione economica finanziaria delle aziende, allo stesso modo l’ascolto dei propri collaboratori deve essere visto come un bilancio delle decisioni organizzative nei confronti delle proprie persone.
In questo senso, la recente adozione da parte del governo italiano della Direttiva europea sul reporting di sostenibilità (Corporate Sustainability Reporting Directive – CSRD) testimonia come progressivamente tutte le aziende dovranno dotarsi di strumenti di Analisi di Governance, Ambientale e Sociale. Per ottemperare alla parte sociale, l’analisi delle esperienze delle persone sarà quindi ineludibile.
Pensiamo che la bassa produttività del nostro Paese sia anche causata dalla mancanza di fiducia delle persone nei confronti dei propri manager, dei propri colleghi e delle proprie aziende in generale; siamo infatti l’ultimo dei Paesi europei in termini di Trust Index medio di Paese (44%), questo dato fotografa in maniera impietosa quanta strada ci sia ancora da fare per rendere il nostro Paese un Great Country to Work“.
Forse è questo il trend (o meglio la sua inversione) che tutti vorremmo nel mercato del lavoro 2025.
World’s Best Workplaces 2024
Il ranking stilato da da Great Place to Work ascoltando i pareri e le opinioni espresse da oltre 7,4 milioni di collaboratori a livello globale. Alcuni insight dal ranking:
- il 56% delle top 25 ha la sede centrale negli USA; seguono la Germania con 4 realtà premiate, Regno Unito e Irlanda con due, Francia, Italia e Liechtenstein con una.
- Il gradino più alto del podio è conquistato da DHL Express, seguono Hilton e AbbVie.
“Non importa quale sia il paese o il continente di appartenenza delle diverse organizzazioni poiché ciò che conta è la fiducia che instaurano con i propri collaboratori – spiega in una nota Alessandro Zollo – Gli ambienti di lavoro ad alta fiducia ascoltano tutte le persone, innovano e si adattano, migliorando la qualità di vita dei collaboratori. Siamo quindi particolarmente orgogliosi di vedere, per la prima volta, la presenza di una grande realtà imprenditoriale italiana come Chiesi (…)
Ci auguriamo che questo storico traguardo raggiunto dall’Italia possa fungere da stimolo e monito anche per le altre realtà organizzative affinché possano capire l’importanza strategica dell’impegno quotidiano nella creazione di un ambiente di lavoro ideale, in grado di accogliere tutti”.
“Siamo estremamente orgogliosi di essere l’unica azienda italiana in questa lista così selettiva, che riunisce solo 25 aziende a livello mondiale – dichiara Giuseppe Accogli, CEO di Chiesi Group – Questo riconoscimento è il frutto del nostro impegno verso il benessere dei nostri collaboratori e del contributo diretto che ciascuno di loro porta nel fare di Chiesi una realtà in cui tutti noi amiamo lavorare. Il nostro team globale di oltre 7.000 persone, più della metà delle quali donne, è il fulcro del nostro successo. In ogni sede del Gruppo, ci impegniamo a diffondere una cultura in cui le persone possano esprimere appieno se stesse e le proprie potenzialità. Grazie a politiche mirate che rendono concreti i cambiamenti, stiamo lavorando ad un futuro più luminoso, con un impatto duraturo, insieme ai talenti che abbiamo già in azienda e a quelli che verranno.”
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