Agrigento e l’incontro con il tedesco Hermann D., mercante di uomini

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Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per una ventina di giorni pubblichiamo le inchieste de “I Siciliani”, ringraziando la Fondazione Fava che ci ha concesso la divulgazione


Venne avanti un uomo che era un personaggio. Aveva una di quelle sagome che, una volta viste, non si possono dimenticare più. Anzitutto era altissimo, magro e pallido, ma la sua cosa più straordinaria era la fisionomia, cioè una testa quasi triangolare che cominciava con una grande fronte ed andava ad affilarsi in un lungo mento aguzzo.

Al centro di questo volto aveva un grande naso imperioso ed una bocca da bambino con dei minuscoli denti. Era quasi calvo ma alle tempie aveva due splendide bande di capelli lunghi e bianchi. Gli occhi erano azzurri e ridenti. Anche nel vestire era perfetto: un abito grigio, la cravatta rosa, un fazzolettino bianco al taschino, i polsini con i gemelli di oro. Mi fece un inchino: «Bittchen!» Avevo cercato quell’uomo per due mesi ovunque in Sicilia. A Palermo mi dicevano che era tornato a Taormina; a Taormina ch’era partito per Siracusa; a Siracusa ch’era ripartito forse per la Germania. Precisavano: «Viaggia con una Mercedes Bianca targata Stoccarda!» Altri mi guardavano in silenzio, con sospetto ed alla fine dicevano semplicemente: «Non lo conosco, non lo so!»

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Finalmente lo incontrai ad Agrigento ed ora mi stava dinanzi, molto calmo, con un impercettibile sorriso di ironia: «Bittchen!». Era l’uomo che vendeva gli uomini! Io posso dirvi solo il nome Hermann D., poiché egli consentì a parlare solo dietro mia promessa di tacerne l’identità e di non scattargli alcuna foto. In realtà non è importante il suo cognome o la sua fisionomia, quanto le cose che egli fa: vende i siciliani.

«Stabiliamo subito un fatto egli disse garbatamente. Quello che io faccio non costituisce reato per alcuna legge, né oggetto di contravvenzione ad alcuna norma o regolamento della repubblica italiana. Io sono un uomo perfettamente dentro la legge. Sia chiaro! Se io voglio assolutamente che non si faccia il mio nome è perché molti poveri siciliani potrebbero pensare che sia pericoloso trattare con me oppure semplicemente parlare. La povertà e l’ignoranza falsificano spesso le prospettive della vita, e questo accade dovunque in Sicilia. Se lei è un buon siciliano onesto, deve convenirne!» Parlava perfettamente italiano. Parlando modulava la voce, sorrideva e muoveva le mani proprio come un italiano, Ma, dalla testa ai piedi, non era italiano.

Prevenne sorprendentemente la mia prima domanda: «Le dirò anche come ho scelto questo tipo di lavoro. Io vendevo automobili tedesche in Italia. Ero stato tre anni in Italia nel periodo della guerra, a Siracusa, a Catania ed a Napoli, comandavo una batteria antiaerea di cannoni da 88. Sa? Quelli con la canna lunga, il miglior cannone del mondo, sei colpi al minuto, pam pam… ho tirato giù sette Liberator americani. Ero anche ufficiale di collegamento fra i comandi e perciò parlavo molto bene italiano, così dopo la guerra mi mandarono a vendere automobili in Italia, a Firenze, Napoli e Bari.

Un giorno parlando con alcuni operai appresi che volevano emigrare, ma non sapevano dove, erano confusi, erano ignoranti. Telefonai allora alla direzione in Germania e mi dissero di scegliere i più giovani e robusti e di mandarli su con il primo treno. Sbrigai io tutti i documenti, regalai loro i biglietti del treno e cinquantamila lire a testa, come anticipo sull’ingaggio. Dopo una settimana mi scrissero di trovare altri dieci emigranti, poi altri venti, poi altri venti ancora. Mi risarcirono tutte le spese e mi mandarono un premio in denaro e le congratulazioni della società. Quegli uomini che avevo spedito nella fabbrica, erano tutti lavoratori bravi e pazienti. Scoprii che era più facile che vendere automobili. Guadagnavo di più. Così cominciai: ora lavoro per tante società…» «Una specie di compravendita…» Fece un sorriso, un cenno educatissimo di diniego: «Non è esatto che io comperi e venda uomini. Io li aiuto a vivere, spesso anzi a salvarsi. Lei non dimentichi che noi viviamo dentro una società dei consumi… di questi tempi è diventata una frase un po’ retorica e banale, lo so… ma la realtà è questa! Ora, io accetto la società dei consumi, mi ci trovo bene, mi soddisfa e dunque ne accetto le regole. Perché ci sia una società è necessario che ci sia una produzione sempre più imponente, e perché ci sia produzione cosa è necessario? Da una parte la fabbrica con le macchine e dall’altra coloro che la fanno funzionare! Per essere più precisi: da una parte il cervello dirigente, cioè colui che ha l’idea, inventa la macchina, organizza, offre il lavoro e paga, e dall’altra l’esecutore, cioè colui che lavora e si fa pagare. Ebbene io prendo gli uni e li metto a contatto con gli altri. Sono un ingranaggio, sono un benefattore…»

«Come sceglie gli uomini?»

«Anzitutto debbono essere giovani. I giovani sono forti, vigorosi, non hanno famiglia e perciò nemmeno molte nostalgie, si divertono, sono, allegri, hanno i riflessi pronti, lavorano più a lungo, caricano un traino più pesante. In secondo luogo gli uomini che scelgo debbono essere sani: un uomo malato è un mezzo uomo, rende la metà, si stanca subito, si assenta spesso, si lamenta; crea il caso di coscienza e soprattutto costa molto di più. Infine, terza norma importantissima: gli uomini che scelgo non debbono essere mai né analfabeti, né intellettuali perché l’analfabeta è spesso solo un animale a due gambe che combina danno, ed a sua volta l’intellettuale, voglio dire l’uomo che si sente intelligente, che ha letto libri, che legge troppo i giornali, che ragiona troppo, è quasi sempre fastidioso, specialmente se è povero. Peggio se è anche giovane. Discute su tutto, pretende, parla, protesta, fa paragoni, disturba gli altri, ha la testa malata, intralcia la produzione. Non ci sono molti siciliani così, ma ne ho conosciuti. Non valgono niente sul mercato, sono come quei cavalli belli a vedersi ma un po’ pazzi, non sai mai da quale parte decidano di andare, si fermano quando debbono tirare, cominciano a tirare quando invece dovrebbero stare fermi. Io li riconosco ormai a colpo d’occhio… basta una frase… basta che io dica: «Ti offro un contratto di quaranta marchi al giorno» e lui risponda: «Secondo contratto me ne toccano cinquanta…!» Basta, finito! Inquadrato il tipo! Addio amico…»

«E non sbaglia mai?»

«Quasi mai! Io ho studiato molto gli uomini italiani. Debbo subito capire quanto vale un uomo anche per quei fatti che non dipendono dalla sua volontà. Per esempio bisogna stare attenti a quelli che si trascinano dietro la moglie ed i figli. Lei ha visto le mogli degli italiani poveri: grasse, disfatte dalle maternità, ignoranti, soffrono di una gelosia animalesca, diffidano di tutti, si lamentano, perseguitano il marito. Si vedono spuntare in Germania queste lugubri famiglie: un pover’uomo, una moglie che gli si trascina appresso, tre, quattro bambini coperti di stracci, non capiscono una parola, dopo una settimana si ammalano e vogliono subito tornare nel Sud. Io però sostengo che l’uomo di minor valore, l’uomo che dal punto di vista del rendimento vale zero, è il siciliano tradito: è ossessionato da incubi osceni, sogna tragiche vendette, non dorme, non mangia, sul lavoro è un ebete…»

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«Riesce persino a valutare l’infelicità di un uomo…?»

«A prima vista! Il buon umore o la infelicità modificano il valore di un individuo. Io ho un sesto senso: io potrei scegliere con una sola occhiata in mezzo alla folla l’uomo più adatto per emigrare. Potrei chiamarlo con un fischio…»

«Dove trova gli uomini da comperare…?»

«Lei continua a usare parole sbagliate…!»

«Diciamo allora gli uomini da reclutare…»

«Dovunque! Nei quartieri delle città, nelle campagne, tante volte magari nel bar di un paesino dove tanti uomini ancora giovani si istupidiscono a giocare a carte e non hanno nemmeno i soldi per un caffè o le sigarette. Sognano ad occhi aperti altri luoghi del mondo, città fantastiche… poter fuggire per sempre… A volte li trovo fra gli emigranti stessi che stanno per partire in una stazione: «Bravi siciliani, dove andate…? Wiedenbruck… Wesel…? Siete sfortunati: cittadine miserabili, un clima spaventoso… Conoscete Stoccarda…? Una città meravigliosa, piena di fabbriche, 150 cinema e teatri…»

«Quanto guadagna facendo questo lavoro?»

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«Oh, non creda che io guadagni molto. Un guadagno giusto, secondo il mio merito! Io ho il sette per cento sull’ingaggio annuale, cioè sulla somma che il lavoratore percepirà complessivamente nel primo anno di lavoro. Mettiamo che il suo salario sia di quattrocento marchi la settimana, cioè quasi duecentomila lire, cioè ottocentomila lire al mese, circa dieci milioni l’anno. Ebbene la mia quota è di circa settecentomila lire, non è molto come vede, è un prezzo modico, un guadagno onesto poiché l’uomo che io offro non è un piccolo uomo, ignorante, gracile, litigioso, malato, ma un uomo capace di lavorare duramente e di buona salute, di buon carattere, un uomo selezionato. E non è facile trovarlo! Inoltre tenga presente che debbo viaggiare, cercare, spendere denaro, scrivere lettere, visitare la gente. Per vivere decentemente debbo trovare quindici, venti uomini al mese…»

«Però io ho saputo che qualche volta su un treno, in una stazione, in un piccolo paese, lei è riuscito ad ingaggiare anche dieci emigranti in una giornata…»

«Si qualche volta anche dieci, dodici… In realtà gli affari vanno bene, ma è un lavoro di alta specializzazione, debbo conoscere perfettamente la lingua, avere contatti almeno con cinquanta aziende industriali…»

«Quali ditte per esempio?»

«Oh molte, moltissime! In tutti i campi della produzione. Imprese di costruzione edile, aziende autostradali, fabbriche meccaniche, cantieri, alberghi, miniere, grandi magazzini…»

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