CREMONA – Torna lo spettro del caro energia, già manifestatosi nella prima decade dell’anno, dopo i rincari immediati di luce e gas, conseguenza dello stop alle forniture di quello siberiano imposto alla Russia. Rispetto alla crisi del 2022, quando l’Italia dipendeva in buona parte ancora dal gas della Russia, c’è una differenza: con il Tap in funzione il Paese riceve forniture, ma ciò non basta. Sui mercati internazionali giocano un ruolo anche le speculazioni. Ovviamente, a cascata, i rincari sono immediati, ben visibili anche al consumatore.
Il pieno di carburante dell’auto è salito subito, più avanti si potrebbero avere conseguenze negative sui prezzi di migliaia di prodotti, una ripresa inflazionistica dovuta alla speculazione e altri effetti negativi. Le previsioni fornite dalla Cgia di Mestre non sono incoraggianti: «Quest’anno, le bollette potrebbero costare all’intero sistema imprenditoriale italiano ben 13,7 miliardi di euro in più rispetto al 2024 – chiariscono dal centro studi – pari a un aumento del 19,2 per cento. In totale, la spesa complessiva dovrebbe toccare gli 85,2 miliardi: di questi, 65,3 sarebbero per l’energia elettrica e 19,9 per il gas. A pagare il conto più salato dovrebbero essere le imprese del Nord. A livello regionale i rincari di luce e gas interesseranno le aree che presentano i consumi maggiori: vale a dire la Lombardia con un aggravio di 3,2 miliardi di euro, l’Emilia Romagna con +1,6 miliardi, il Veneto con +1,5 e il Piemonte con +1,2».
Nel dettaglio, per l’elettricità la Lombardia dovrebbe sborsare 2,3 miliardi aggiuntivi. Per il gas 887 milioni. Numeri impressionanti, ma non la portata devastante del 2022-2023. «Anche se quest’anno ci aspettiamo un aumento importante dei costi – confermano dalla Cgia – questo sarà comunque molto inferiore a quanto abbiamo vissuto durante il periodo più critico della recente crisi energetica che ha colpito tutta Europa tra la fine del 2021 e i primi mesi del 2023. È importante ricordare che oggi non abbiamo più quelle misure pubbliche adottate all’epoca che hanno aiutato a contenere gli aumenti». Gian Domenico Auricchio, da novembre presidente della nuova Camera di commercio che comprende i tre territori provinciali di Cremona-Mantova e Pavia, conferma la centralità della questione per la competitività delle aziende del territorio.
«Sono le associazioni di categoria che sono in prima linea al fianco delle imprese nel tutelarle su un tema così importante come quello dei costi energetici, che per le realtà economiche locali, lombarde e nazionali, è significativamente superiore rispetto a Paesi concorrenti. L’impatto delle bollette è uno dei temi che sottolineiamo ogni volta quando presentiamo i dati congiunturali trimestrali sull’economia regionale, di concerto con l’assessore regionale Guido Guidesi, il presidente lombardo degli industriali Francesco Buzzella e gli artigiani. Monitoriamo costantemente anche su questo fattore le circa 4.000 aziende lombarde che compongono il campione della nostra indagine».
Non solo le imprese ovviamente potrebbero tornare a patire l’impatto del caro energia. «Quest’anno gli effetti dell’aumento delle bollette potrebbero farsi sentire pesantemente sui bilanci sia delle imprese che delle famiglie – aggiungono dalla Cgia –: ma c’è un altro aspetto negativo da considerare. Così come accaduto negli anni passati, potremmo trovarci davanti a un’impennata dei prezzi del gas e dell’energia che rischiano di provocare una spirale inflazionistica. Ricordiamoci che nel biennio 2022-2023, la crisi energetica ha causato una significativa perdita del potere d’acquisto per lavoratori dipendenti e pensionati; senza contare l’aumento dei tassi d’interesse e quindi il costo maggiore del denaro che ha messo in difficoltà investimenti e crescita del Pil. Ma c’è dell’altro. Gli esperti paragonano l’inflazione a una ‘tassa ingiusta’: infatti, riduce la quantità di beni e servizi acquistabili da tutti noi ed è particolarmente dura con chi è già economicamente fragile».
Per difendere il tessuto economico nazionale dalla Cgia invitano il governo a lavorare «per evitare il crollo dei consumi interni, obbiettivo che potrebbe non essere conseguito se l’inflazione, a causa di un forte impennata dei prezzi dei prodotti energetici, dovesse tornare a crescere. In secondo luogo è necessario spendere bene ed entro la scadenza (31 agosto 2026) le risorse del Pnrr ancora a nostra disposizione. Praticamente 130 miliardi di euro. Secondo la Bce, l’utilizzo di tutti i prestiti e le sovvenzioni che ci sono stati erogati da Bruxelles farà aumentare in via permanente il nostro Pil nello scenario migliore dell’1,9% fino al 2026 e dell’1,5% fino al 2031 rispetto a un Pil senza questi speciali sostegni post-pandemici».
Si dice «preoccupato» il presidente dell’Associazione industriali di Cremona, Stefano Allegri: «L’energia è già aumentata con la fine dell’anno, c’è una componente speculativa e una legata alla disponibilità della risorsa combustibile fossile, sulla quale l’Ue naviga a vista. Chiediamo una politica energetica che abbia un senso, orientata alla sicurezza della materia prima ma anche alla capacità di gestirne il prezzo e alla sostenibilità, che è l’unica cosa su cui l’Europa si è concentrata. Sebbene si investa molto sulle rinnovabili purtroppo il prezzo non si riesce a sdoppiare da quello del gas. Noi siamo messi peggio degli altri Paesi. Siamo preoccupati, soprattutto ripensando al 2022. Vero è che abbiamo scorte abbondanti, ma ciò non basta. Si stima che il prezzo del gas possa salire ancora di un 50% e poi si parte molto più alti rispetto a prima della crisi del 2022. E non c’è competitività senza sicurezza energetica». E gli imprenditori hanno le mani legate.
«Possiamo solo rimanere ottimisti – conclude Allegri – ma di fronte a questi aumenti non avremo altri strumenti che aumentare i prezzi, sperando di restare comunque competitivi».
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