13 anni dopo il film, presentata la nuova serie Netflix che punta tutto sui conflitti dei personaggi

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Debutterà il 15 gennaio in streaming su Netflix la serie che espande l’universo dell’opera letteraria di Carlo Bonini: il cast, il regista e gli addetti ai lavori ci hanno parlato di ACAB. Ecco cosa dobbiamo aspettarci.

Una serie che cerca di andare oltre gli stilemi di generi pure fortissimi in tv come l’action e il crime e che, però, si nutre di contrasti e conflitti: l’ordine e il caos, la violenza e la quiete, il pubblico e il privato dei protagonisti. Sono queste le parole che gli attori e chi ha lavorato dietro le quinte di ACAB hanno usato, più di altre, per descrivere la serie in arrivo su Netflix il prossimo 15 gennaio. Il nuovo progetto, targato Cattleya, espande l’universo del libro di Carlo Bonini che pure aveva ispirato l’apprezzato film uscito nel 2012 e diretto da Stefano Sollima (che qui ricopre il ruolo di produttore esecutivo, mentre il regista è Michele Alhaique). Tredici anni dopo, la sensibilità degli spettatori e la realtà della polizia sono parzialmente cambiati, ma certi temi – la violenza, la rabbia, la paura, le ferite che si porta dietro chi incarna lo Stato – sono sempre attuali, come ha sottolineato la vicepresidente per i contenuti italiani di Netflix Tinny Andreatta.

ACAB: Perché una serie dopo il film

ACAB segue una squadra del Reparto Mobile di Roma che resta orfana del suo capo, gravemente ferito durante una notte di feroci scontri in Val di Susa. Come una famiglia, questa squadra di poliziotti è abituata a usare metodi al limite e a supportarsi a vicenda, almeno fino a quando non deve fare i conti con il nuovo comandante, Michele (Adriano Giannini), figlio invece di una polizia riformista che vuole superare il metodo della violenza a tutti i costi. Rispetto al film, la serie ha modo di approfondire maggiormente la psicologia dei personaggi e il loro privato. Per Tinny Andreatta è questo uno dei punti di forza del progetto: una scrittura moderna che mette al centro proprio personaggi complessi. Sullo sfondo “una storia coraggiosa che sfida il pubblico non dando risposte ma, al contrario, lasciando molte domande”, una caratteristica in linea con la strategia editoriale di Netflix.

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Riccardo Tozzi, fondatore e CEO di Cattleya, ha parlato delle potenzialità di un franchise che aveva ancora molto da dire: “ACAB ci sembrava un terreno molto fertile ancora, con al centro un grande tema che è la società civile che affida allo stato il monopolio della violenza. I personaggi sono sempre su un crinale e le loro scelte morali assumono una grande dimensione. Poi ci siamo affidati a Stefano Sollima che è garante di quel tipo di approccio senza retorica e senza ideologie”. Uno dei punto di forza delle storie portate sullo schermo da Cattleya è spesso proprio il superamento delle categorie buoni/cattivi. “Oggi questo esercizio è fondamentale. Oltre la cronaca spicciola, il racconto che va oltre è necessario per capirne le ragioni”, ha riflettuto Tozzi.

L’evoluzione della polizia e il sentimento di paura dei nostri tempi

I fatti del G8 di Genova e della scuola Diaz sono stati il terreno su cui sono stati costruiti il libro e, di conseguenza, il film. Nel frattempo, come ha riflettuto Carlo Bonini, alcune cose sono cambiate in polizia, anche se il tema di fondo è rimasto lo stesso: l’uso legittimo (o meno) della forza. “Sono temi che attraversano qualunque società democratica, il rapporto tra sicurezza e libertà, tra caos e ordine. L’idea di poter esplorare tutto questo a distanza di tempo con un racconto seriale era stimolante, soprattutto perché permette di capovolgere il punto di vista. Nel frattempo la polizia ha fatto un percorso che ha portato, per esempio, all’utilizzo delle bodycam, all’ingresso delle donne nei reparti mobili e alla nascita della scuola di ordine pubblico a Nettuno”, ha osservato lo scrittore. Filippo Gravino, ideatore e sceneggiatore di ACAB, è convinto che il racconto della serie tragga moltissimo dai nostri tempi e dal sentimento di paura e sgomento che ci accomuna un po’ tutti, anche per il contesto internazionale che ci circonda.

I personaggi e i loro conflitti interiori

Tutti i personaggi di ACAB – La serie, dunque, sono attraversati da forti conflitti interiori e da una frattura tra pubblico e privato che rende molto difficile schierarsi. Infatti, secondo Stefano Sollima, “il pubblico non devi forzarlo ma devi porgli le domande giuste. E più sono complicate, più funziona. E questo aspetto lo abbiamo ritrovato nella serie”. Marco Giallini è tornato nei panni di Ivano Valenti aka Mazinga, ma questo Mazinga – ha detto – lo ha interpretato come se fosse un nuovo personaggio, con nuove consapevolezze. Adriano Giannini è Michele Nobili, rappresentante di una polizia nuova e democratica, che segue le leggi senza abbandonarsi alla violenza fine a sé stessa. Per il suo interprete “è un personaggio che incarna il conflitto. Ha un pensiero diverso sulla gestione dell’ordine, ma così si isola anche dalla famiglia. Nel corso nella serie, comunque, mette in discussione il suo modo di essere”.

ACAB

Valentina Bellè è Marta Sarri, una delle poche donne del Reparto Mobile. Per interpretarla, l’attrice ha fatto un lavoro di sottrazione, eliminando gli elementi di femminilità. “Sono ancora poche le donne che fanno questo mestiere. Ho cercato di eliminare la mia parte femminile, non integrarla. Il suo conflitto deriva anche da una relazione tossica, violenta, del suo passato. Abbiamo immaginato che la soluzione lei ha pensato di adottare era avvicinarsi al maschile”, ha spiegato l’attrice. Pierluigi Gigante, infine, è Salvatore Lovato, poliziotto devoto che sembra tutto d’un pezzo ma che nasconde una grande fragilità. “Da un lato ha una totale devozione verso il suo lavoro, dall’altro gli manca qualcosa che cerca di colmare nel corso della serie”, ha anticipato l’interprete.

E a chi ha fatto notare l’estrema attualità di una storia che sembra avere molte analogie con certi fatti di cronaca che proprio in questi giorni tengono banco sui giornali (in particolare gli scontri dopo la morte del giovane Ramy Elgaml), Carlo Bonini ha risposto riflettendo sul fatto che, spesso, la realtà è un passo avanti. “Se c’era un dubbio sull’aver fatto la cosa giusta, la cronaca è venuta in soccorso”, ha concluso l’ideatore della serie.

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Foto: Virginia Bettoja/Netflix





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