Perché nessuno ha mai pensato di allargare la platea dei punti di vendita?
Il 9 gennaio il ‘Corriere dell’Umbria‘ pubblica il primo grande servizio sulla crisi dell’informazione legata alla chiusura delle edicole.
Ci sono testimonianze dal territorio e un editoriale del direttore Sergio Casagrande in cui chiede attenzione alla ‘politica’ anticipando l’ impegno delle testate del gruppo a portare avanti la battaglia di sensibilizzazione su un problema che rischia di fare morire i l sistema dell’ informazione. Tanti gli interventi e i segnali di interesse.
Pubblichiamo il contributo informato e interessante di Giuseppe Cerasa, ex caporedattore centrale di La Repubblica, e adesso direttore di ‘La Repubblica – Le Guide ai Sapori e ai Piaceri’, una iniziativa editoriale del Gruppo Gedi diffuse sul territorio nazionale.
Egregio direttore,
Innanzitutto complimenti. Aver acceso i riflettori sulla progressiva rarefazione delle edicole italiane e’ da sola una scelta meritoria e coraggiosa. Vederle chiudere progressivamente e inesorabilmente mette una stretta al cuore. Noi antichi cronisti abituati a quell’appuntamento quotidiano necessario per cercare di comprendere gli avvenimenti di questo travagliato mondo rimaniamo sempre più disorientati e amareggiati. Le ragioni? L’arrivo di Internet, l’esplosione dei social, la massificazione delle banalità, il trionfo delle regole fake, il disimpegno degli editori, la scarsa propensione alla lettura, il progressivo invecchiamento degli edicolanti? Ci può stare tutto ma così non centriamo il cuore del problema e non diamo il valore alla centralità dell’informazione in una società veramente democratica e liberale.
E allora proviamo a dare delle indicazioni e cerchiamo di andare al capo dell’acqua. E quindi alla reale volontà degli editori e del governo di risolvere il problema.
Quanti si sono attivati veramente per stroncare alla radice il fenomeno delle “mazzette” digitali clandestine e abusive? In giro ci sono migliaia di siti illegali che offrono a costo zero la possibilità di leggere su computer, tablet e cellulari tutti i giornali del mondo. Ogni tanto si avvertono inchieste della magistratura che individuano i responsabili, chiudono i siti, ma subito dopo ne rinascono sempre di più e la piaga della clandestinità nel frattempo ha sottratto centinaia di migliaia di copie ai corretti canali di vendita delle informazioni sia di carta che digitali. Perché nessuno affronta seriamente il problema, risolvendolo una volta per tutte?
2) Gli editori stanno in seria difficoltà, e’ vero. Chiudono spesso i bilanci in rosso, ridimensionano i loro giornali, rendono complessa la vita di direttori e giornalisti. Invocano sacrosante provvidenze statali. Ma ci si può contentare solo di interventi sul costo della carta, dell’energia, puntando tutto sui prepensionamenti di giornalisti, tipografi e amministrativi? Forse non è sufficiente. Perché allora non immaginare delle misure più diversificate che ridiano vero fiato al settore e alle categorie? E qui entra in campo il ruolo del Governo e del Parlamento.
3) Pensiamo per il momento a cosa potrebbe rappresentare una scelta rivolta a dare respiro alle edicole investendo risorse per trasformarle in autentici centri servizi, moderni punti di riferimento per affiancare la pubblica amministrazione nella quotidiana missione di rendere più semplice e meno caotica la vita dei cittadini alla ricerca di un contatto semplificato per risolvere una marea di incombenze burocratiche quotidiane. Ci sarebbe l’imbarazzo della scelta. Quindi servizi e giornali e riviste. Non figurine, bambole, gadget e giornali e riviste.
4) Perché nessuno ha mai pensato di allargare la platea dei punti di vendita, rendendo un vero servizio ai lettori e alle aziende? Lo Stato, i comuni e le regioni sono titolari della concessione di licenze e permessi. Ipotesi da verificare: perché non rendere obbligatoria la vendita in tutte le tabaccherie italiane dei giornali, un tempo si diceva sale e tabacchi, oggi si potrebbe dire tabacchi e giornali. Lo stesso discorso potrebbe valere per gli autogrill autostradali (dopo il covid hanno chiuso tutti i corner in cui si potevano acquistare i quotidiani e le riviste); lo stesso potrebbe valere per i supermercati, qualcuno lo fa ma bisognerebbe estendere l’obbligo a tutti. La pubblica amministrazione vi consente di vendere sigarette, benzina, patatine, pannolini,etc? E allora potrebbe obbligarvi ad essere luoghi in cui la cultura viene diffusa e resa accessibile a tutti. La libertà del commercio? Nessuno la violerebbe, si tratterebbe solo di aggiungere un obbligo, cioe: non ti chiedo di pagare altre tasse di impongo di rendere un vero servizio alla comunità e anche di guadagnarci, Non è possibile infatti costringere chi ha voglia di avere in mano un giornale, una rivista a fare chilometri per trovare una edicola ancora aperta.
5) Questi due interventi permetterebbero di investire fondi pubblici per il riammodernamento e ampliamento della rete nazionale delle edicole (ritornerebbero ad essere strumenti lavorativi veri e non crepuscolari luoghi senza futuro) e nello stesso tempo farebbero ritornare la carta stampata strumento di prossimità: dovunque avendo voglia si potrebbe acquistare uno prodotto pensato per la diffusione della cultura. E questo potrebbe avvenire proprio adesso che tutte le piattaforme mondiali social hanno deciso di togliere ogni forma di controllo per la correttezza e la verità delle informazioni, abolendo ogni modalità che possa in qualche modo proteggere gli utenti dalle fake news.
6) Tutto questo potrebbe bastare? Forse si, ma anche no. Perché vanno bene gli investimenti pubblici e privati, ma per rilanciare il ruolo della stampa in un sistema democratico bisogna tornare a dare credibilità ai giornali e dignità ai giornalisti, direttori, capi scrittura e cronisti. I giornali cioè bisogna saperli fare meglio, bisogna ritornare ad una modalità di informazione approfondita, libera, coraggiosa, protagonista dell’ammodernamento di una società che rischia così di andare davvero alla deriva.
Giuseppe Cerasa
Direttore delle Guide di Repubblica
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