le sue campagne moda più famose

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Prima della pubblicità c’è la fotografia, prima della fotografia la moda. Per quasi cinquant’anni, Oliviero Toscani è stato l’anello di congiunzione tra questi tre mondi, a cui a partire dagli anni Settanta ha impresso la sua chiave di lettura inequivocabile attraverso immagini dirompenti, disorientanti e scioccanti, ma sempre pregne di significato. Capaci di conficcarsi, come schegge, nella mente dell’osservatore, azionando un meccanismo di riflessione oltre la loro superficie patinata. Del resto, come diceva lui stesso: “Fare il fotografo non è fotografare, è costruire un’immagine con la testa prima che con la macchina”.

Oliviero Toscani è morto il 13 gennaio 2025 all’età di ottantadue anni, dopo aver lottato contro una malattia rara, l’amiloidosi, rivelata solo lo scorso anno. Provocatorio come pochi altri suoi contemporanei, ironico, intelligente, sempre curioso e controcorrente e, forse proprio per questo, sempre coerente: nel corso della sua lunga e prolifica carriera, Toscani ha stravolto il concetto stesso di campagna pubblicitaria, utilizzando la visibilità mediatica di affissioni e advertisement sulle riviste per parlare d’altro, affondando il dito nelle piaghe e nelle ossessioni della società di fine Novecento.

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Rosdiana Ciaravolo//Getty Images

Per definire il suo lavoro è stato coniato il termine shockvertising, cioè la tendenza a piegare l’eclatante a fini commerciali, ma in realtà quello che Oliviero Toscani ha sempre fatto è stato smuovere le coscienze e colpire l’immaginazione attraverso immagini che difficilmente lasciano indifferenti. “Se non provochi non servi a niente”, ha dichiarato il fotografo, consegnando al pubblico le radici della sua poetica iconoclasta, che ha rivoluzionato il senso della fotografia di moda e della comunicazione pubblicitaria. Più che una frase a effetto, un modus operandi a cui è stato fedele per tutta la vita e da cui oggi germina un lascito artistico che ha anche un profondo e inestimabile valore antropologico e sociologico.

italian photographer oliviero toscani photographs a group of children who are wearing benetton clothing toscani began his collaboration with the benetton clothing company in 1982 and became known for his controversial advertising campaigns photo by julio donososygma via getty images

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“Come ci hai insegnato tu, le parole non bastano per spiegare certe cose. Perciò ti ricordiamo con una foto che hai scattato per noi diversi anni fa, nel 1989. Addio Oliviero. Continua a sognare”. È il messaggio di commiato — corredato dalla famosa immagine della mano che regge un mazzo di fiori di tutti i colori — condiviso sui social da Benetton, l’azienda a cui più di tutte Toscani ha legato maggiormente il suo nome, grazie a una collaborazione prottrattasi dal 1982 al 2000, e poi, dopo una lunga e brusca pausa, dal 2018 al 2020. Gli scatti realizzati per il brand di abbigliamento si uniscono a quelli di mostre, riviste e progetti diversi che definiscono un percorso nell’editoria e nella moda, ma sempre legato a doppio filo con l’industria, dove centrale è la volontà di capire, e far capire, l’essere umano.

Una fotografia empatica quella di Oliviero Toscani, anche quando provocatoria ai limiti del blasfemo, oppure dolorosa e grottesca. Emanazione della sua capacità di cogliere la parte più intima delle persone, di raccontare una storia profonda attraverso il dispositivo dello sguardo. “Cercavo e cerco le persone”, ha raccontato a Elle. “Non ho mai fotografato una ragazza per più di due volte, al massimo tre, non ho mai puntato a costruire delle top. Una modella più si fotografa, più si svuota, invece a me piace quello che un volto comunica, io cerco l’anima. Questa autenticità la trovi nelle esordienti che si offrono all’obiettivo senza difese. Vorrei fare solo prime volte, mi ricordo ancora quelle di Claudia Schiffer, Naomi Campbell, Cindy Crawford”.

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La rivoluzione di Toscani non ha toccato solo il senso del fare pubblicità, ma anche l’interpretazione della moda stessa. “Ho sempre fotografato l’espressione culturale della moda, ora c’è solo l’espressione commerciale”, lamentava il fotografo al Corriere della Sera. E poteva permetterselo, perché è grazie a lui che la moda si è scoperta capace di prestare la sua forza mediatica a cause sociali più grandi, parlando poco o niente di abiti e più di emozioni che colpiscono dritte in pancia. Solo le campagne scattate per Benetton, con grandi budget e pressoché totale indipendenza creativa, danno un’idea della statura di questo gigante della fotografia.

La neonata ancora con il cordone ombelicale, il prete e la monaca che si baciano, le macerie della guerra, la sieropositività raffigurata come la vede la società, cioè come un marchio quasi stampigliato sulla pelle dei malati. Del 1996 è forse una delle campagne più memorabili di Toscani per Benetton, quella con i tre cuori umani, ritratti nella loro verità anatomica, e le scritte “White”, “Black”, “Yellow” che in realtà mostrano come siamo, in fondo, tutti uguali. Arrivano poi i ritratti potentissimi di veri condannati a morte nelle carceri degli Stati Uniti, per sollevare il tema della disumanità della pena capitale, o quello, altrettanto scioccante realizzato per il brand Nolita, della modella francese Isabelle Caro, consumata dall’anoressia.

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Bettmann//Getty Images

Lo shock, provocato muovendosi nei territori dell’inclusione e della diversità, è senza dubbio la testa di ariete che Oliviero Toscani utilizza per sollevare in chi guarda l’obbligo morale di interrogarsi su temi come l’uguaglianza razziale, l’omofobia, la guerra e la pace tra i popoli, l’inquinamento e la fame nel mondo, la corsa a ideali di bellezza inarrivabili. Niente maglioni, niente T-shirt, in due parole niente moda per come siamo abituati a pensarla: il prodotto del brand non c’è, esso è solo un mezzo per parlare di altro. Anticipatrice era stata la campagna per il lancio del marchio Jesus Jeans nel 1971, con lo slogan Chi mi ama, mi segua che commentava la foto del fondoschiena della modella Donna Jordan con un paio di shorts in denim. “Quella campagna cambiò tutto”, ricordava Toscani, e infatti grazie al suo scatto il brand divenne il simbolo dello spirito ribelle degli anni Settanta, delle lotte studentesche e della nuova libertà sessuale.

Tra i committenti di Toscani si contano anche Fiorucci, Esprit e Prénatal, insieme a Giorgio Armani e Chanel. Ma, come racconta lui stesso nell’autobiografia del 2022 Ne ho fatte di tutti i colori. Vita e fortuna di un situazionista: “Esprit è stato un pilastro nella moda industriale. Era quello il mondo che mi interessava. L’alta moda mi interessava per ridere, per fare le foto inutili”. Con un visionario a par suo come Elio Fiorucci, invece, l’incontro risale alla fine degli anni Sessanta, quando lo stilista cominciava a proporre il suo abbinamento anticonvenzionale, innovativo, pop. “Insieme abbiamo realizzato molte cose. Ne abbiamo pensate altre che non erano concrete, non sapevamo cosa volessero dire. È proprio dentro queste cose che si possono scoprire nuove dimensioni, ed era questa la bellezza di lavorare con Elio”, ricorda sempre nel libro Oliviero Toscani.

Più dell’alta moda “ferma e imbastita”, come la definiva Toscani a Il Giorno, a lui interessava quel mix vibrante, seducente, corporeo e carico di riferimenti che era il ready-to-wear nell’accezione di Fiorucci. Un matrimonio ben riuscito, di cui restano a testimonianza pubblicità come quella in cui dialogano tematiche care al fotografo, dalla nudità all’uguaglianza razziale, come quella che vede due donne di origini diverse coperte solo da un pantalone di pelle. Esempio di un modus operandi, spesso giudicato scandaloso, che a Oliviero Toscani è costato in vita malintesi, critiche, processi. E che invece, con la sua scomparsa, ci lascia tutto il valore di un artista e di un grande testimone del suo tempo, il cui merito è di non essere mai sceso a compromessi.

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