“Non c’è più confine tra politica italiana ed estera, l’invio di armi serve anche a tutelare vita e consumi degli italiani”

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La capacità comunicativa, la conquista del consenso, l’appeal dei leader in campo oggi. Ne volevamo parlare con Daniel Fishman, esperto di comunicazione pubblica ed istituzionale che con la sua Consenso ha seguito alcune delle ultime campagne elettorali. Poi ci siamo messi a parlare di Iran, paese che Fishman ha visitato più volte. La nostra conversazione parte da lì.

Non si può che partire dal caso di Cecilia Sala…
«Lo chiamiamo così per sintesi giornalistica, ma Cecilia Sala è solo la sfortunata protagonista di un gioco di rapporti di forza che poteva avere altri protagonisti, altri italiani di passaggio nella Repubblica Islamica dell’Iran. Sono affascinato dalla cultura persiana ed anch’io ho avuto modo di visitare l’Iran in un periodo di apparente apertura del regime. Già all’aeroporto sorprende il ferreo controllo su tutto e tutti. I funzionari, i pasdaran, le guardie religiose… Chi va in Iran anche solo per turismo deve prima dichiarare esattamente dove si recherà. Negli hotel ci sono sempre dei sorveglianti che ti verificavano. In sintesi, siamo così abituati alla nostra libertà, che a volte ci scordiamo che ci sono paesi dove già all’aeroporto ti possono sottrarre il passaporto e puoi perdere i tuoi più elementari diritti».

Come può essere avvenuta la trattativa?
«Ci sono elementi discrezionali che sicuramente verranno resi noti solo tra qualche anno. È normale che sia così. Anche perché c’è di mezzo un terzo attore protagonista, gli USA. Dobbiamo tenere conto che si confrontano non solo diverse posizioni ma anche diverse mentalità. Se si ha una conversazione con un iraniano, di solito si parla educatamente uno alla volta (non come facciamo di solito noi italiani), ma succede anche che invece di un chiaro bianco-nero ci venga proposto un significativo numero di sfumature di grigio, e di frasi che hanno tante possibili interpretazioni. Non è perciò detto che nella trattativa per il caso Sala-Abedini, la sintesi e l’accordo non sia invece stato trovato su altri piani e temi, magari in ottica futura e con poca attinenza con l’attuale ordine del giorno».

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Non sarà evidente a breve, dice?
«No, proprio perché gli iraniani sono abituati a ragionare su tempi lunghi, mentre noi occidentali sempre di più sul qui, ora e subito. E sanno giocare su più tavoli. Perché, essendo uno stato teocratico, mischiano convenienza politica e religione. Mandando per esempio a Papa Francesco una targa con le riflessioni su Gesù da parte della Guida suprema iraniana, l’Ayatollah Ali Khamenei, lo stesso leader religioso che fa sì che il suo Paese detenga il record di pene capitali. È una mentalità che dovremmo conoscere meglio per saper meglio decifrare gli atti e parole della leadership sciita».

La politica estera è ormai interconnessa con quella nazionale?
«Lo è e lo sarà sempre più. In un mondo globalizzato, se gli Houthi, che in Italia quasi nessuno conosce, bloccano e taglieggiano i commerci internazionali sulla rotta del Mar Rosso tra Asia ed Africa, de facto bloccano il 30% dei commerci internazionali, inclusi i nostri. La borsa della spesa degli italiani ne risente. Pertanto, i “no alla guerra e all’invio di armi” che vengono a volte espressi con facilità pensando che si tratti di “non intervenire in cose lontane da noi e che non ci riguardano” in realtà ci riguardano eccome e direttamente, con reali conseguenze sulla vita ed i consumi degli italiani. I TG e gli editorialisti dovrebbero meglio collegare gli accadimenti internazionali alle vicende quotidiane italiane. Anni fa ci furono delle polemiche sulla TAP in Puglia. Ora, dopo la crisi russo-ucraina nessuno mette più in dubbio questa scelta. Sembrava un problema pugliese. Invece è stata una soluzione di carattere geopolitico internazionale».

Quale sarà il tema centrale della politica nazionale?
«Farei una riflessione più ampia. Proprio perché come prima dicevamo non vi è confine tra la politica nazionale e quella internazionale, vale la considerazione che in tutte le ultime elezioni in tutto il mondo il tema dell’immigrazione è diventato quello centrale. In realtà si dice immigrazione per non infrangere il grande tabù che permea la società occidentale. Mi riferisco al fatto che mentre abbiamo ottimi esempi di comunità immigrate perfettamente integrate, abbiamo invece il serio problema di un islam radicale che ha dichiarato guerra all’Occidente. E che non è interessato ad integrarsi, perché “c’è un disegno superiore” antitetico a quello della nostra civiltà. È di questi giorni lo scandalo avvenuto in Inghilterra dove numerosi casi di violenze e stupri sono stati insabbiati per vent’anni per paura di dire chi erano gli autori e per il timore di aprire un confronto con l’islam radicale. Qualsiasi progetto di integrazione, anche quello più avanzato e progressista, fallirà se la controparte non la desidera. E c’è una parte dell’islam che ci ha dichiarato guerra».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.

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