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Cosa cambia in caso di dimissioni e licenziamento: ecco cosa sapere sul sussidio di disoccupazione
Da gennaio cambiano i criteri di accesso alla Naspi, l’indennità mensile di disoccupazione istituita dal decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22. Una prima novità, prevista dalla Manovra, dovrebbe limitare la tendenza a dimettersi e a trovare nuove occupazioni di breve durata o intermittenti per ottenere la Naspi. L’obiettivo per il governo è contrastare le frodi. Tuttavia, come hanno evidenziato alcuni sindacalisti ed esperti di diritto del lavoro, i nuovi criteri rischiano di penalizzare anche coloro che si sono dimessi in buona fede. Per la Cgil si tratta di una stretta «sbagliata e pericolosa».
Le nuove regole
La stretta introdotta dalla Manovra e in vigore dal 1°gennaio riguarda coloro che hanno presentato dimissioni volontarie da un’impresa e hanno trovato un nuovo lavoro. In caso di licenziamento dal secondo lavoro, il lavoratore può ottenere la Naspi solo se hanno almeno 13 settimane di contribuzione dal nuovo impiego, perso il quale si richiede l’indennità. In precedenza invece avrebbe potuto ottenerla anche senza questo vincolo.
Stop alla Naspi per i rimpatriati
Sempre la Manovra prevede lo stop alla Naspi per i rimpatriati. La legge 25 luglio 1975, n. 402 aveva stabilito che in caso di disoccupazione derivante da licenziamento o mancato rinnovo del contratto di lavoro stagionale da parte del datore di lavoro all’estero, i lavoratori italiani rimpatriati, nonché i lavoratori frontalieri, continuassero ad avere diritto al trattamento ordinario di disoccupazione, a patto che facessero rientro entro un periodo di 180 giorni. Dal 2025, invece, non sarà più così.
Dimissioni per assenze ingiustificate e Naspi
Dal12 gennaio 2025 entra in vigore il cosiddetto Collegato lavoro che interviene su numerose materie riguardanti i contratti. In particolare prevede che, dopo 15 giorni di assenza ingiustificata o il termine massimo stabilito dal contratto collettivo, il datore di lavoro può segnalare il caso all’Ispettorato del lavoro. Se, una volta fatte tutte le verifiche, la segnalazione risulta corretta, il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore. E l’ex lavoratore non avrà diritto alla Naspi.
Chi ha diritto alla Naspi
La Naspi spetta ai disoccupati, che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione e che dichiarino in forma telematica al portale nazionale delle politiche del lavoro la propria immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il centro per l’impiego. L’accesso, come ricorda l’Inps, è consentito anche nei seguenti casi:
- dimissioni per giusta causa, qualora le dimissioni non siano riconducibili alla libera scelta del lavoratore ma siano indotte da comportamenti altrui che implicano la condizione di improseguibilità del rapporto di lavoro e quelle rese dal lavoratore durante la procedura di liquidazione giudiziale;
- dimissioni intervenute durante il periodo tutelato di maternità
- risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, purché sia intervenuta nell’ambito della procedura di conciliazione presso la direzione territoriale del lavoro
- risoluzione consensuale a seguito del rifiuto del lavoratore di trasferirsi presso altra sede della stessa azienda distante più di 50 chilometri dalla residenza del lavoratore e/o mediamente raggiungibile con i mezzi pubblici in 80 minuti o più;
- licenziamento con accettazione dell’offerta di conciliazione di cui all’articolo 6, decreto legislativo 22/2015;
- licenziamento disciplinare.
Quanto vale la Naspi
L’importo della Naspi varia in base all’ammontare del reddito percepito nei quattro anni precedenti la domanda di disoccupazione. Se il reddito è inferiore all’importo di riferimento stabilito dalla legge, l’importo della Naspi è pari al 75% della retribuzione media mensile imponibile ai fini previdenziali degli ultimi quattro anni. Se, invece, la retribuzione media è superiore all’importo di riferimento annuo, la Naspi è invece pari al 75% dell’importo di riferimento annuo sommato al 25% della differenza tra la retribuzione media mensile e il suddetto importo.
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