Dietro l’apparenza di grandi cambiamenti globali, in realtà stiamo assistendo alla protezione dei potenti di sempre. E nel paese anestetizzato, che per metà non va a votare, mantenere tutto fermo è quanto garantisce durata al governo
Protervo? Retorico? Pacchiano? Ridicolo? Sinistramente profetico? Non si sa più come definirlo il Tempio craxiano di Rimini in questo pomeriggio politico di fuoco. Voglia di un Leader, voglia di un Capo, voglia di un Uomo capace di fare del Psi qualcosa di simile a questo tempio congressuale. Qui hanno già superato il presidenzialismo. E perfino il leaderismo. E financo il ducismo. Sì, nel campo del Garofano sono già arrivati al padreternismo».
Osservavo Giorgia Meloni durante la conferenza stampa del 9 gennaio e mi è tornato in mente questo articolo di Giampaolo Pansa (Giampa se n’è andato il 12 gennaio di cinque anni fa). Un attacco magnificamente pansiano, Repubblica, 1° aprile 1987, per raccontare l’apertura del congresso socialista di Rimini. Da imparare a memoria in questi giorni di rievocazioni di Bettino Craxi, a 25 anni dalla morte, e di miele mediatico nei confronti della presidente del Consiglio in carica. A leggere quanto affermano in questi giorni gli adulatori che a testate unificate, o quasi, si contendono il favore della “donna-più-potente-d’Europa”, divisi tra ultras emeriti, ultras di seconda mano, ultras da guardia, ultras da caccia, ultras da riporto, ultras da passeggio, la premier, parafrasando Pansa, ha superato il presidenzialismo. È arrivata al madreternismo.
Eppure la differenza c’è. In quello scorcio finale di anni Ottanta, con la legislatura dei governi Craxi che terminava («La recita si è fatta scadente, abbassiamo il sipario», annunciò Mino Martinazzoli), il tempio per la scenografia del congresso del Psi progettato da Filippo Panseca (scomparso poche settimane fa) sembrava anticipare la modernità, era il bagliore di un tempo nuovo.
In quel sistema politico bloccato, stava cambiando tutto. Classi sociali, modo di produzione, comportamenti individuali, il rapporto della politica con la società. C’era una rivoluzione in corso, dietro l’immobilismo della politica.
Oggi siamo nella situazione opposta. In Europa e nell’Occidente c’è l’apparenza di una rivoluzione, tecnologica, geopolitica, che travolge gli schemi, e c’è la sostanza della protezione, della difesa dei gruppi di sempre, gli ereditieri e i new comers che insieme abbracciano il nuovo potere, come fin da piccoli sono educati a fare. Dietro l’ostentazione della rottura con l’establishment, Trump e Musk sono il mainstream, solo più sfrontato e maleducato. E raccolgono l’omaggio dei loro pari, e dei loro viceré.
Nel contesto a lei più favorevole, Meloni è abilissima nel dare al pubblico e al suo elettorato l’impressione del movimento, restando in realtà ferma. Il premierato viene rimandato al giorno del mai, perché la leader di FdI non ha più alcuna convenienza, anzi, potrebbe rivelarsi una beffa, limitare i suoi poteri anziché rafforzarli.
Sparisce l’urgenza di dare al paese un governo stabile che giustificava lo stravolgimento della Carta del 1948, perché il governo stabile già c’è, è questo, chi è più stabile di Meloni in Europa? Dopo decenni di studi sul sistema Westminster, il semi-presidenzialismo della Quinta Repubblica francese, il modello tedesco, scopriamo che a Londra i governi cadono come le foglie, in Francia Emmanuel Macron non sta molto bene e in Germania si va a elezioni al buio.
Mentre l’elasticità del sistema italiano consente al premier di essere, come affermava Gianni Brera di Maradona, il dio in terra della pelota, almeno finché non arriva un brocco qualsiasi nella tua maggioranza a toglierti la pelota. È stata la rovina di premier stellari che cadevano per un pugno di traditori. Quel brocco, però, oggi non c’è. E a Costituzione invariata, senza compiere come Renzi il più spettacolare suicidio politico della storia repubblicana, senza toccare nulla, né maggioranza né opposizione, Meloni può andare oltre il premierato, verso un potere sconosciuto e indefinito, eppure antico.
Il ritorno delle guerre e degli imperi e degli stati nazionali porta a scavalcare le reti formali (le istituzioni, gli apparati) e informali (il deep state), la politica internazionale ritorna una questione tra principi, re e regine, nel loro rapporto diretto e personale, come Silvio Berlusconi (chi era costui?) aveva potuto praticare soltanto con l’amico Putin. Siamo di fronte a una nuova forma di potere che come un tempo logora chi non ce l’ha, le opposizioni. Nel paese anestetizzato, che per metà non va a votare, simulare la rivoluzione e mantenere tutto fermo è quanto garantisce durata e consenso al governo di Giorgia Meloni. Almeno finché non arriverà il brocco.
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