Maduro inizia il terzo mandato. L’ira della destra, ma non solo

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Ha giurato su un esemplare della Costituzione, annunciando un periodo di «pace, prosperità, uguaglianza e nuova democrazia». È iniziato così il terzo mandato di Nicolás Maduro, su cui pende l’accusa di aver calpestato – con la mancata pubblicazione degli atti elettorali – esattamente la Costituzione su cui ha giurato, voluta da Hugo Chávez, alla cui eredità ha ribadito ieri «lealtà assoluta».

AD ASSISTERE al suo insediamento sono venuti, secondo i dati forniti dal governo, circa duemila invitati di 125 paesi e organismi internazionali, tra cui anche una delegazione di Rifondazione Comunista. Se di presidenti ne sono arrivati solo due, Díaz-Canel (Cuba) e Daniel Ortega (Nicaragua), Maduro conta tuttavia ancora molti amici tra i movimenti popolari, latinoamericani e non solo. Come, ad esempio, il Movimento dei Sem Terra e Via Campesina, «molto fermi – ha spiegato João Pedro Stedile – nella difesa di Maduro e del Venezuela»: «Chi è che oggi è anti-imperialista in America Latina? Pochi governi e pochi paesi, tra cui, oltre chiaramente Cuba, il Venezuela. Per cui, tutti coloro che si professano anti-imperialisti devono unirsi a loro».

A SINISTRA, però, c’è anche chi al contrario ha preso nettamente le distanze dal governo bolivariano, soprattutto di fronte all’emarginazione e alla persecuzione di molti militanti di provata fede chavista o di esponenti politici dalle indubbie credenziali democratiche. E del resto è evidente che la repressione non colpisce solo i rappresentanti della destra più estremista.

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Dopo l’arresto dell’ex candidato presidenziale (appoggiato dal Partito comunista) Enrique Márquez, leader del partito Centrados, e quello del difensore dei diritti umani Carlos Correa, entrambi accusati di coinvolgimento in un piano golpista, e dopo le pesanti intimidazioni nei confronti dell’ex sindaco di Caracas Juan Barreto, al tempo fedelissimo di Chávez e oggi militante di Centrados, nel mirino delle autorità è finita anche l’avvocata costituzionalista María Alejandra Díaz, anch’essa accusata di cospirare insieme a Márquez. Era stata lei, per conto del Frente Democrático Popular, una coalizione della sinistra non madurista di cui fa parte anche l’ex candidato presidenziale arrestato, a presentare al Tribunale supremo di giustizia (Tsj), nel più stretto rispetto della Costituzione, un ricorso contro la mancata pubblicazione dei risultati delle elezioni da parte del Consiglio nazionale elettorale. E, per tutta risposta, il Tsj non solo aveva giudicato inammissibile il ricorso, ma aveva ordinato la sua sospensione dall’esercizio della professione, infliggendole anche una multa salata.

QUELLA COSTITUZIONE esaltata da Maduro, nata, ha detto «dalle nostre mani, quelle delle donne e degli uomini comuni», potrebbe del resto andare incontro a profonde modifiche, se il presidente terrà fede all’impegno, ribadito anche ieri, di dar vita a una commissione incaricata di promuovere una riforma costituzionale in direzione di una maggiore democrazia diretta.

Obiettivo che si era posto, in realtà, anche l’Assemblea nazionale costituente del 2017, la quale, tuttavia, aveva terminato il suo mandato senza modificare un solo articolo.

L’annuncio di Maduro ha in ogni caso destato non poco allarme nel Partito comunista, secondo cui, come ha spiegato il dirigente Pedro Eusse, «in questo momento la Costituzione del 1999 è lo strumento più importante su cui può contare il popolo venezuelano per difendersi dallo smantellamento dei diritti e delle conquiste democratiche».

ED È PROPRIO rispetto all’erosione dei diritti che piovono sul governo le denunce anche di chi, in passato, ha sostenuto con convinzione la rivoluzione chavista. Come per esempio Thaís Rodríguez Gómez, autrice di una serie documentale sul «Comandante Chávez», e oggi «indignata» che in Venezuela vi siano «persone che lavorano 12 ore al giorno con contratti che non offrono alcun beneficio legale» e il cui salario «permette a fatica di sopravvivere». Un salario minimo tra i più bassi al mondo, fermo ai 130 bolívares del 2022, che all’epoca valevano 30 dollari ma oggi appena 2,50 al mese, e chiaramente non compensato dai vari “bonus di guerra”. Il popolo venezuelano, denuncia la giornalista su Facebook, «affronta oggi molti nemici: la classe politica dominante (sia al governo che all’opposizione, due facce della stessa medaglia), gli imperialisti statunitensi e gli imprenditori che pagano salari da schiavi, tutti interessati a lucrare sul nostro lavoro e sulle ricchezze del nostro paese».

E ALTRETTANTO DURI sono il sociologo venezuelano Luís Bonilla-Molina e la dirigente brasiliana del Psol Ana Cristina Carvalhaes, che, in un articolo pubblicato sulla rivista di sinistra Sin Permiso, accusano Maduro di aver non solo incoraggiato «l’arricchimento di un nuovo settore imprenditoriale nel paese», ma anche calpestato i diritti dei lavoratori, vietando gli scioperi e mandando «in prigione i dirigenti sindacali impegnati a lottare per un aumento di stipendio e l’assicurazione sanitaria». Il governo, concludono, «applica le ricette economiche della destra, solo con una retorica di sinistra».



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