Lei non vedente, lui in carrozzina, sono rimasti senza medico di base l’1 gennaio 2025. Dopo l’intervista rilasciata a Fanpage.it qualcosa si è smosso, ma quello che dovrebbe essere un diritto garantito a tutti sembra il frutto di una battaglia lunga e sfiancante.
Claudio Giglio e Monica Baion, residenti in zona Baggio (Milano).
Dal primo gennaio 2025 Monica Baion e Claudio Giglio sono rimasti senza medico di base per dieci giorni, dopo che la loro dottoressa è andata in pensione senza essere sostituita, perché nella zona di Baggio in cui risiedono non ce ne sono disponibili e adatti alle loro esigenze.
Monica è non vedente, suo marito Claudio è in carrozzina e affetto da diverse patologie che necessitano di farmaci e controlli frequenti. A Fanpage.it hanno segnalato la loro situazione e, dopo la pubblicazione del nostro servizio, l’Azienda Socio Sanitaria Territoriale Santi Paolo e Carlo ha attenzione la loro situazione e ha fatto sapere di essere a lavoro per trovare una soluzione.
La situazione di Monica e Claudio
Come scritto precedentemente Monica è non vedente e suo marito Claudio è in carrozzina ed è affetto da diverse patologie. Claudio deve assumere quotidianamente molti farmaci che necessitano di prescrizione: alcuni per il diabete, altri per l’ipertensione, psicofarmaci per la nevralgia del trigemino e altri ancora per la respirazione. Prima che la loro dottoressa andasse in pensione, le hanno chiesto di prescriverne la quantità massima per avere delle scorte, ma c’è un numero limite che non si può sforare: “Alcuni farmaci ci bastano ancora per un mese, altri solo per 15 giorni“, ha spiegato Monica.
Claudio, oltre ad avere una grave disabilità motoria, ha difficoltà legate alla respirazione. Tutte le notti ha bisogno di un respiratore, di ossigeno e di un farmaco specifico. Un’influenza per lui “non è uno scherzo e va affrontata con attenzione“. Proprio in questi giorni si è manifestata e non avere un medico a disposizione è stata una preoccupazione: “Fortunatamente non è in forma grave e riesco a trattarla, ma l’assistenza a domicilio inesistente è un altro problema“.
Mettere piede fuori casa da malato nella sua situazione potrebbe essere già un problema, “figuriamoci se il medico è distante. Essendo non vedente io non posso portarlo in macchina, quindi andare lontano a piedi o dover prendere i mezzi è rischioso in questi casi“.
Per questi motivi, una settimana prima di rimanere senza dottore, Monica ha chiamato l’Asst Santi Paolo e Carlo per spiegare il problema e chiedere di verificare quali fossero gli ambulatori accessibili tra i pochi disponibili presenti sul Fascicolo Sanitario Nazionale. La risposta sarebbe stata: “Signora, noi non sappiamo quali sono accessibili. Si dovrebbe verificare personalmente”.
Successivamente il 2 gennaio, dopo l’intervista a Fanpage.it, Monica ha deciso di inviare un’email all’ufficio “Scelta e Revoca” in cui ha ribadito che il problema è “oltre un’inesistente scelta di medici di base nelle immediate vicinanze della nostra abitazione, il non sapere tra i medici disponibili nel Fascicolo Sanitario chi ha un ambulatorio accessibile per chi si muove in sedia a rotelle”.
Aveva concluso chiedendo “la possibilità di avere un medico di base per entrambi con accesso disabili e possibilmente nelle immediate vicinanze della nostra abitazione, in quanto io non vedente ho difficoltà a muovermi”.
Il problema delle strutture accessibili
La risposta, arrivata l’8 gennaio, è stata: “Stiamo cercando tra i pochi medici più prossimi alla sua abitazione, un ambulatorio che non abbia le barriere architettoniche e qualche posto disponibile. Purtroppo non è facile per la carenza di medici che abbiamo sul nostro territorio. La contatteremo al più presto per aggiornamenti sull’esito delle nostre verifiche”.
Il problema, come sottolineato da Monica, è che non sarebbe stato assegnato loro “un medico d’ufficio nell’attesa che ce ne fosse uno disponibile in zona”. Questo però, come è stato spiegato successivamente da Asst a Fanpage.it, è purtroppo la prassi: nel momento in cui si rimane senza medico, se ne deve scegliere uno nuovo in autonomia dal Fascicolo Sanitario Nazionale. Nel caso di Monica e Claudio il problema è che sulla piattaforma non viene indicato quali medici siano accessibili in sedia a rotelle.
Subito prima della chiamata in cui ha raccontato a Fanpage.it questi aggiornamenti e dopo la pubblicazione del nostro servizio, Monica sarebbe poi stata contattata telefonicamente dall’Asst che le avrebbe ribadito di essere ancora alla ricerca: la maggior parte degli ambulatori più vicini alla loro abitazione non sarebbero accessibili, mentre di altri non sarebbero a conoscenza delle caratteristiche della struttura.
Solo uno sembrava essere comodo a livello di distanza, ma anche in questo caso sarebbe stato necessario verificarne l’accessibilità. La stessa Monica, alla quale era anche apparso sul Fascicolo Sanitario Nazionale, avrebbe provato a chiamarlo moltissime volte per avere informazioni, senza ricevere mai risposta. Successivamente sarebbe stata Asst a comunicarle che questo ambulatorio non era accessibile.
A quel punto le avrebbero quindi proposto una soluzione “tampone”: una dottoressa che non è presente sul Fascicolo perché “avrebbe sforato i massimali” ovvero ha raggiunto il numero massimo di pazienti, ma che si era detta disponibile ad accoglierli. Il suo studio è a una fermata di autobus e quindici minuti a piedi, ma è accessibile per persone in sedia a rotelle.
In quel momento però aveva solo un posto disponibile. A quel punto Monica ha chiesto di inserire il marito. Da Asst le è stato risposto che avrebbero provveduto a inserirla appena si sarebbe liberato un altro posto e che entrambi sarebbero stati contattati per farli entrare nel Progetto di Sorveglianza Domiciliare (PSD), che offre due visite a domicilio al mese. “Il 20 gennaio abbiamo appuntamento”, dice Monica.
Le risposte dell’ASST
Alla luce di quanto raccontato da Monica, Fanpage.it ha poi contattato l’Asst per avere spiegazioni in merito. Dario Laquintana, direttore socio sanitario dell’Asst Santi Paolo e Carlo, ha precisato che da un lato “c’è un problema di carenza di medici a livello nazionale per errate valutazioni fatte in passato”. Il riferimento è ai finanziamenti delle borse disponibili per il costo dei medici di medicina generale e la mancata valutazione del numero di dottori che sarebbero andati in pensione negli anni seguenti.
“È un problema che si sta risolvendo in questi anni, perché dal 2020 le borse di studio sono quasi triplicate grazie a un importante finanziamento dallo Stato. Realisticamente nei prossimi tre, quattro anni si dovrebbero iniziare a vedere i risultati”, ha precisato.
Nel caso specifico di Milano, invece, il tema è principalmente la distribuzione sul territorio. “I bandi a cui i medici partecipano per convenzionarsi con il Sistema sanitario Nazionale sono suddivisi per distretti, che sono equivalenti ai municipi. Dobbiamo immaginarli come fette di torta che vanno dal centro alla periferia”.
Nel Municipio 7, dove risiedono Monica e Claudio “mancano solo due medici, il problema è la suddivisione anomala”, ha sottolineato Laquintana. Questo succede perché quando un medico vince una convenzione, entro 90 giorni può scegliere di aprire uno studio “in qualsiasi punto del distretto” e, di solito, “tendono a stare nelle zone centrali, dove c’è utenza che ha più disponibilità economiche, meno problematiche sociali, meno difficoltà di accesso alle cure e, in alcuni casi, meno pericoli”.
Pochi scelgono di andare in periferia, “abbiamo storie di medici che hanno rinunciato alla convenzione perché minacciati dagli utenti per prescrizioni di farmaci stupefacenti o altre storie simili”.
Questa suddivisione territoriale crea situazioni come quella in cui si sono trovati Monica e Claudio. In qualità di Direttore socio sanitario dell’Asst, Laquintana ha affermato che è in corso una discussione con il Dipartimento delle Cure Primarie “affinché si faccia un bando per quartieri, non per distretti. Aiuterebbe a far emergere le zone carenti e nelle quali, magari, dovrebbe essere riconosciuto anche un maggiore impegno economico al medico”.
Per quanto riguarda il problema dell’accessibilità degli ambulatori, invece, spiega che non dipende dall’Asst perché i medici di base sono “liberi professionisti che hanno una convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale, ma possono scegliere autonomamente uno studio” e la Convenzione non prevede, tra gli standard richiesti, l’abolizione delle barriere architettoniche: “Una delle cose che si stanno facendo per intervenire sul tema è portare i medici, per alcune ore, all’interno delle Case di Comunità, dove non ci sono i problemi di accessibilità che ci sono negli studi”.
“In casi simili, che sono rari – ha detto il Dott. Laquintana -, perché il medico uscente dovrebbe segnalare situazioni di fragilità di questo tipo, affinché vengano attenzionate prima che il paziente sia in difficoltà” la continuità assistenziale è garantita attraverso altri servizi, che però sono sconosciuti ai più. “Ci sono moltissime case di comunità sparse per il territorio – le ex guardie mediche –, attive dalle 8 alle 24, di notte, sette giorni su sette e anche per visite domiciliari, quindi non si rimane mai effettivamente senza medico”: queste strutture servono per sostituire il medico di base per prestazioni e prescrizioni urgenti. Non possono prescrivere esami specifici, come una TAC o una risonanza, ma si possono occupare di tutte le altre funzioni che svolge un medico di base: “Vicino casa di Monica e Claudio ce n’è una, per esempio”.
Per quanto riguarda la mancata indicazione degli ambulatori accessibili sul Fascicolo Sanitario Nazionale, Laquintana ha detto:“Fino a quando non c’è stata carenza di medici non c’è stato questo problema, perché c’era più scelta. Adesso è un miracolo se si trova un libero professionista per le prescrizioni”.
La soluzione più immediata, “visto che da questo punto di vista gli strumenti legislativi ci sono già tutti” sarebbe portare i medici nelle case di comunità che sono sempre accessibili e in cui sono presenti anche altri specialisti. “Che si riesca a far cambiare il fascicolo è difficile, però è una proposta che vale la pena prendere in considerazione e mi impegnerò per sottoporla all’attenzione del Dipartimento delle cure primarie milanese”, conclude.
Il Progetto di Sorveglianza Domiciliare (PSD) proposto a Monica e Claudio dopo il servizio di Fanpage.it, “prevede due visite al mese a domicilio per tenere monitorato lo stato di salute dei pazienti fragili”. Si può richiedere tramite il proprio medico di base o attraverso “il punto unico di accesso”, ovvero uno sportello gestito da assistenti sociali che serve a comunicare situazioni complicate e bisogni specifici “per trovare soluzioni mirate”.
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