Gli israeliani stanno ritirando i propri soldati e mezzi dal Libano, che dopo due anni di impasse ha un nuovo presidente. È Joseph Aoun, comandante cristiano maronita dell’esercito libanese. Nel Paese c’è un alternarsi di gioia e tristezza. La speranza per avere colmato questo vuoto istituzionale. La preoccupazione vissuta durante le festività appena trascorse: nella capitale Beirut il ronzio dei droni militari ha risuonato senza sosta anche a Natale e Capodanno. Un rumore ormai entrato dentro la testa della popolazione. Tuttavia, la tregua con Tel Aviv ha retto, nonostante alcune violazioni del cessate il fuoco. E pensare che Palestina e Israele, insieme a Siria, Libano e Giordania potrebbero costruire un’entità politico-economica che porterebbe pace e sviluppo nell’intero Medio Oriente. Un’utopia che il politologo francese Dominique Moïsi, figlio di Jules, un ebreo sopravvissuto ad Auschwitz, fantasticava potesse realizzarsi proprio nel 2025.
Vivere a Beirut
“Qui la situazione è davvero grave”, racconta a TPI la giornalista libanese Souraya Assi. L’abbiamo raggiunta telefonicamente a Beirut. Ogni tanto la sua voce è interrotta da profondi sospiri: “Ecco, adesso sento i droni israeliani che sorvolano il mio palazzo. È tutto il giorno che va avanti così”. Dice che “quella di Israele a Gaza non è una guerra, ma un genocidio”. Anche Papa Francesco ha chiesto di indagare se nella Striscia sia in atto un tale crimine, condannando anche ogni forma di antisemitismo. “Israele ha attaccato tutti i Paesi vicini”, aggiunge la giornalista. “In Libano ha colpito da nord a sud, con bombardamenti a tappeto in oltre 40 villaggi, distruggendo le strade, chiudendo le frontiere e bersagliando l’aeroporto”. Questa è solo l’escalation di un dramma che il Paese vive da almeno sei anni. Eppure, il peggio sembra alle spalle. “Negli anni passati hanno già distrutto le centrali energetiche, le industrie, le case, i mercati. Oggi manca un sistema bancario e hanno rubato i soldi alla gente”, prosegue Assi. Spiega che adesso nella capitale la corrente elettrica viene erogata quattro ore al giorno, mentre in precedenza una o due ore al massimo. “Con la scusa di piegare la resistenza di Hezbollah – sostiene la giornalista – Israele ha colpito il popolo libanese e i rifugiati, fra i quali ci sono donne e bambini, come hanno fatto nel raid contro l’ospedale di Hariri a Jnah a Beirut”.
Nel futuro c’è Hezbollah
“Israele accusa Hezbollah di portare avanti una ‘guerra di solidarietà’ con la popolazione di Gaza”, spiega il giornalista Camille Eid, nato a Beirut ma residente in Italia da molti anni. Altri in Libano sostengono la resistenza palestinese, tra cui la comunità musulmana sunnita. Più critici i cristiani, in particolare i maroniti. Va ricordato che oltre 140 Paesi nel mondo riconoscono lo Stato palestinese. “Per molti libanesi Hezbollah non è solo una milizia, ma rappresenta una forza di difesa contro le aggressioni di nemici israeliane”, aggiunge Assi. Il movimento islamista, infatti, nato durante la guerra civile (1975-90), ha guadagnato autorevolezza durante l’invasione di Tel Aviv del 1982, poi con la cacciata di Israele nel 2000 e nella guerra nel 2006. Hezbollah si pone quindi come deterrente contro gli attacchi dello Stato ebraico. Negli ultimi mesi Tel Aviv ha reagito lanciando cinque missili per ogni razzo sparato dalle milizie libanesi. La situazione era precipitata il 30 settembre 2024, quando i soldati israeliani sono penetrati nel sud del Libano. Oltrepassando la Linea Blu, che stabilisce il confine tra i due Paesi, le truppe con la stella di David sono entrate in una zona smilitarizzata presidiata dalle forze di pace Unifil, violando la risoluzione 1701 adottata nel 2006 dalle Nazioni Unite. Adesso Tel Aviv si sta ritirando, ma “in questi tre mesi il conflitto contro Hezbollah si era trasformato in una guerra contro tutto il Libano – sostiene il Eid – perché gli israeliani hanno colpito anche zone lontane dal confine, ed erano disposti ad accettare la morte di 20-30 civili come danno collaterale pur di uccidere un membro della milizia libanese”. È difficile quindi pensare un futuro del Paese senza Hezbollah, una organizzazione non solo militare ma politica. “Alle ultime elezioni a maggio 2022 è stato il partito più votato con il 19,7%. Tra i 20 più votati 13 erano di Hezbollah. Il risultato parla da solo”, sottolinea Eid.
Quale pace è possibile?
Attaccare Israele non è stata una decisione presa dal governo libanese. Per questo motivo “non mancano voci critiche contro Hezbollah, soprattutto fra i politici delle comunità cristiana e drusa. Però è difficile dire in senso assoluto se è maggiore il fronte a favore o contro il partito di Dio”, aggiunge Eid. Secondo il giornalista Tel Aviv avrebbe pianificato da tempo un’offensiva in Libano: “Quando il Mossad ha fatto esplodere circa 5000 cerca-persone in dotazione principalmente ai miliziani di Hezbollah, quella era un’operazione i cui preparativi andavano avanti da sei anni”. Una fonte racconta a TPI che alcuni giorni prima che la coalizione palestinese guidata da Hamas attaccasse Israele, il 7 ottobre 2023, l’indiscrezione era filtrata già su vari media e blog in lingua araba. Sull’argomento gli analisti di questioni internazionali si dividono: c’è chi sostiene che l’intelligence israeliana abbia sottovalutato l’allerta, altri ritengono che Hamas abbia colto Tel Aviv di sorpresa. In ogni caso, la durissima campagna di messa in sicurezza del Medio Oriente attuata dallo Stato ebraico conferma l’idea che Israele ha di se stesso: un ‘grande ghetto’, un rifugio per gli ebrei di tutto il mondo, uno spazio di salvezza da difendere a tutti i costi. Un luogo in cui ogni attacco contro la Terra Promessa è la negazione esistenziale di un progetto plurimillenario. Dall’altra parte del confine il neopresidente Aoun nel suo discorso inaugurale ha detto che lo Stato libanese monopolizzerà l’uso delle armi. In realtà, sarà difficile vedere il disarmo di Hezbollah.
Il piano di sicurezza americano
“Il vuoto istituzionale è stato generato dalla primavera araba del 2019. Durante le proteste andarono anche contro la resistenza, chiedendo l’applicazione della risoluzione Onu 1559 del 2004 che invita Hezbollah ad abbandonare le armi”, sottolinea Assi. “Una rivoluzione” che secondo la giornalista è in parte un’azione di destabilizzazione portata avanti da Israele e dagli Stati Uniti. La risoluzione 1559 fa anche appello alla “sovranità” e “indipendenza politica” del Libano e chiede “il ritiro delle forze straniere”. Per questo motivo il 2025 potrebbe essere l’anno della svolta con Donald Trump alla Casa Bianca. Il presidente americano promette una pace immediata in Ucraina e a Gaza. Questo impegno fa parte del piano di disimpegno statunitense dai teatri di guerra globali. Resta difficile dire se sarà una tregua efficace. Alcuni analisti temono che una maggiore propensione americana a isolarsi entro i propri confini, dando priorità agli affari interni, possa condizionare negativamente la politica estera di Washington. “Più che un’effettiva opera di pacificazione quello del presidente americano è il tentativo di creare una sicurezza globale, ma con costi umani inaccettabili”, sostiene il politologo Antonio Maria Baggio. Il professore di Filosofia dell’università di Loppiano prevede “una tendenza all’allargamento dei conflitti, sia quelli diretti combattuti con le armi che quelli indiretti”, come per esempio gli attacchi informatici e le ingerenze politiche di vario genere negli affari interni di altri Stati.
L’orizzonte libanese
Il Libano è uno Stato piccolo come la regione Marche. Conta 5,7 milioni di abitanti, 1,5 milioni di profughi siriani e oltre 300.000 rifugiati palestinesi. Dopo la guerra civile (1975-1990) il Paese era diventato la Svizzera del Medio Oriente, un Paese accogliente e pacifico. Ancora oggi il Libano non ha un servizio di leva militare obbligatoria. L’Esercito è composto da soli 80.000 soldati, la Marina e l’Aeronautica dispongono di pochi mezzi vetusti. Questo perché “i governi che si sono alternati nei decenni hanno gestito lo Stato in base alla tradizionale triade governo-popolo-resistenza (leggi Hezbollah, nda). Il risultato non è stato dei migliori”, dice Eid, commentando l’incapacità del Libano di difendersi dagli attacchi di Israele. “A malapena l’esercito ha risposto al fuoco e non riesce a difendere la popolazione civile. Il punto è che gli americani non hanno permesso la costruzione di una forza armata vera e propria, dotata di armamenti moderni, poiché concedevano i fondi di magazzino. Ciò alimenta le tesi di Hezbollah che difende il popolo perché l’esercito non ha una forza di deterrenza”. In tutto ciò “il Libano insieme a Gaza fa parte di una strategia più ampia che coinvolge tutto il Medio Oriente”, ribadisce Assi. Hezbollah ha assicura sostegno militare alla causa palestinese, ricevendo aiuto dal braccio armato di Hamas nella campagna in Siria. Le milizie libanese e palestinese ricevono armi dall’Iran, perché secondo Teheran, come dichiarato a TPI dall’ambasciatore iraniano a Roma MohammadReza Sabouri, “la resistenza è l’unico modo per contrastare l’aggressione” di Israele. In questo contesto “bisogna trovare una soluzione globale”, sostiene Eid, secondo il quale Israele ha attuato però una politica della ‘pace separata’ culminata con gli Accordi di Abramo. “Ha raggiunto la pace con l’Egitto per neutralizzare la forza militare più consistente del mondo arabo. Poi con la Giordania ha messo in sicurezza la sua linea di confine più lunga. Infine ha cercato di fare accordi con i paesi del Golfo e l’Arabia Saudita”. Oggi il Libano è in una crisi economica profonda. Tel Aviv sta ritirando le truppe e secondo gli accordi per il cessate il fuoco l’esercito libanese dovrebbe sostituirsi a Hezbollah nel presidio della Linea Blu. Sul confine però ci sono decine di aree contese fra Beirut, Tel Aviv e Damasco. Il che dimostra che quello fra Libano, Gaza e Israele sarà un piano di sicurezza più che una pace. Inoltre, una tregua duratura senza Hezbollah sarà difficile. Al di là dei discorsi ufficiali del presidente Aoun il Libano non può dissociarsi completamente dalla questione palestinese.
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