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A Modena, nel carcere Sant’Anna, i detenuti si uccidono inalando gas. Per quei morti non c’è alcun responsabile, le indagini condotte dalla procura locale sono finite con una richiesta di archiviazione poi accolta dal giudice del tribunale, il caso però è approdato in Europa alla corte di giustizia, dove c’è aperto ancora un fascicolo
«Tutte le mattine vengo al cimitero, non ci riesco a rassegnarmi: lui era la cosa più bella che mi era rimasta. Urlo, urlo di rabbia perché non si può perdere un figlio mentre è nelle mani dello stato». Mentre la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in conferenza stampa, presentava la solita ricetta fallimentare per affrontare l’emergenza carceri, negli istituti di pena italiani altri reclusi si toglievano la vita. «Negli ultimi giorni si sono uccisi altri due detenuti come mio figlio, perché in quel carcere si muore sempre così? Chi sono i responsabili, per la storia di mio figlio aspetto ancora giustizia».
A parlare è una mamma, Mariana Bunadimineata, che racconta una storia che ci porta a Modena nel carcere Sant’Anna. Suo figlio si è ucciso nel 2018 inalando gas da una bomboletta di quelle che si usano per prepararsi un caffè, un piatto di pasta, una bevanda calda. E proprio in quell’istituto nell’ultima settimana altri due reclusi sono morti nello stesso modo. L’ultimo è un detenuto di 50 anni che si è tolto la vita, il 31 dicembre, invece, era stato un ragazzo di 37 anni a morire inalando gas sempre nel carcere emiliano Sant’Anna. Così era accaduto anche a un altro detenuto nel 2023. Tre in due anni, due in una settimana, più il caso di Marinel.
Tutti morti inalando gas, sempre nello stesso carcere. «Al di là delle polemiche che riguardano le carceri, sovraffollamento in primis va messo ora in discussione il sistema di prevenzione dei suicidi in carcere, sia sul fronte dell’amministrazione penitenziaria che della sanità regionale. È anomalo che ci sia una successione così rapida di morti per gas considerando che quello di Modena è il quarto carcere in Italia per gesti autolesionistici», dice il garante regionale, Roberto Cavalieri.
Il detenuto e i tentativi ignorati
L’inalazione del contenuto delle bombolette di gas è considerato il secondo mezzo maggiormente utilizzato per mettere in atto condotte suicidarie all’interno degli istituti di reclusione, ma Modena rischia di diventare un caso. Il carcere Sant’Anna è tristemente noto per la morte di nove detenuti che assaltarono la farmacia durante le proteste nel periodo dell’emergenza pandemica.
Per quei morti non c’è alcun responsabile, le indagini condotte dalla procura locale, guidata da Luca Masini, sono finite con una richiesta di archiviazione poi accolta dal giudice del tribunale, il caso però è approdato in Europa alla corte di giustizia. Per quelle ore drammatiche, di morte e e violenze, c’è aperto ancora un fascicolo, quello a carico dei detenuti per la devastazione del carcere, ma anche il procedimento sulle presunte torture ai danni dei reclusi per il quale la pubblica accusa aveva chiesto l’archiviazione, respinta dal giudice che ha chiesto nuovi approfondimenti che dovrebbero chiudersi a breve.
Ma torniamo ai suicidi, il gas resta mortale al Sant’Anna. Nel febbraio 2023 Fabio Romagnoli si toglie la vita nello stesso modo. La famiglia chiede giustizia, ma anche in questo la procura ha chiesto l’archiviazione perché non si evidenziano condotte emissive da parte di chi lo aveva in cura, le analisi non hanno escluso che si possa essere trattato di un incidente. Contro la richiesta hanno fatto appello gli avvocati dei congiunti, Luca Sebastiani e Stefania Pettinacci, lamentando una carenza negli approfondimenti investigativi svolti. In particolare, nel caso Romagnoli, familiari e legale pongono un interrogativo: è normale consegnare un fornello a gas, senza limitazioni di tempo, ad un soggetto fragile e complesso?
Il detenuto, infatti, quando aveva fatto il suo ingresso in carcere era stato immediatamente collocato nella zona I-care per certificati problemi di salute mentale. Qualche settimana dopo lo staff medico aveva qualificato Romagnoli come detenuto a rischio medio di suicidio in ragione di pregressi tentativi «autolesivi ed autosoppresivi». Emerge, infatti, dalla lettura degli atti che in passato aveva già posto in essere due tentativi di suicidio, tramite impiccagione, impediti solamente grazie all’intervento delle forze dell’ordine. Per questo è stato chiesto al tribunale di riaprire l’indagine e accertare eventuali responsabilità, la giudice dovrà sciogliere la riserva a breve. «Sono arrabbiato perché avevamo avvisato tutti, avevamo mandato una pec al carcere di Modena, era magrissimo. Avevamo chiesto di farlo visitare. La sua è una morte annunciata», dice Michele Romagnoli, padre di Fabio.
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