Usa: America First, dalla Groenlandia al Messico

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Se mai se ne fosse andato davvero, Donald Trump è decisamente tornato. E chiunque avesse dubbi sul fatto che la sua seconda presidenza porterà con sé un bagaglio di caos e bruschi cambi di direzione, simili a quelli che ne hanno caratterizzato la prima, da oggi dovrà ricredersi. A meno di due settimane dal suo insediamento alla Casa Bianca, infatti, è un Trump senza freni quello che si è presentato ieri una conferenza stampa esplosiva da Mar a Lago. Tra le altre cose, il tycoon ha spaziato da un’ipotetica conquista “con la forza militare” del Canale di Panama e della Groenlandia, a minacce nient’affatto velate riguardo a un’annessione “per via economica” del Canada, che diventerebbe “il 51° stato americano”, alle bordate ai paesi Nato che dovrebbero portare la spesa per la Difesa al 5%. E dopo che le sue dichiarazioni a proposito della Groenlandia avevano suscitato vibrata protesta della Danimarca - che controlla il territorio da due secoli e ha deciso di modificare lo stemma reale per renderne più evidente il possesso – ha detto di valutare anche l’imposizione di dazi doganali come possibile ritorsione. In pochi minuti, le sue dichiarazioni hanno messo in allarme le cancellerie internazionali, offrendo un promemoria di cosa potrebbe aspettarci nei prossimi quattro anni. Se da un lato, infatti, le parole di Trump sembrano contraddire quanto sostenuto in campagna elettorale sul fatto che gli Stati Uniti dovrebbero evitare nuovi coinvolgimenti in conflitti e crisi internazionali, dall’altro vanno al nocciolo del motto “America First” nel modo in cui lo intende il presidente eletto: la salvaguardia della sicurezza e dell’interesse americano sopra ogni cosa, anche a costo di travolgere alleanze e violare la sovranità degli stati indipendenti e con essi, il dritto internazionale. 

Dalla dottrina Monroe a quella Trump? 

In oltre un’ora di intervento a ruota libera, il presidente che il 20 gennaio tornerà nell’Ufficio Ovale ha apparentemente promesso di ridisegnare la mappa dell’emisfero occidentale per rendere l’America non solo ‘great’ ma molto più grande. E senza escludere l’uso della forza militare. Trump ha detto di non poter escludere il ricorso all’uso della forza per riprendersi il Canale di Panama, perché “ormai lo gestisce la Cina”, criticando il defunto presidente Jimmy Carter, i cui funerali si terranno domani a Washington, poiché “aveva sbagliato a darlo indietro ed è venuto il momento di riprenderlo”. Dilatando la dottrina Monroe – che prevede la supremazia degli Stati Uniti nel continente americano – il presidente eletto è arrivato a ipotizzare di rinominare il Golfo del Messico “Golfo dell’America”, oltre a imporre dazi al Paese confinante perché consente il traffico di droga e l’ingresso di immigrati illegali. Quanto al Canada, ha detto: “Non si capisce perché dobbiamo regalargli oltre 200 miliardi di dollari all’anno, per ricevere cose che non ci servono. Immaginate quanto diventerebbe forte il Paese se togliessimo il confine artificiale che ci divide”. In questo caso però non ha minacciato di invadere il vicino del nord, ma si è detto convinto che gli stessi canadesi sarebbero felici di diventare cittadini americani. Discorso simile per l’Europa, che non pretende di annettere, ma è pronto a colpire con pesanti dazi perché “abbiamo un grande disavanzo commerciale e non comprano i nostri prodotti”. Non è mancato un riferimento al Medio Oriente, in cui Trump ha preteso la liberazione degli ostaggi di Hamas prima dell’Inauguration Day. “Se non saranno tornati entro quando tornerò in carica – ha dichiarato – nella regione si scatenerà l’inferno”. 

Make Greenland great again? 

Canada, Panama e Groenlandia erano già finiti nel mirino di Trump che aveva promesso di “fare di nuovo grande la Groenlandia” e di sapere che “la gente della Groenlandia è Maga”. E se non è chiaro quanto di vero ci sia nelle sue parole, il fatto stesso che continui a menzionarle suggerisce che non si tratti necessariamente di idee passeggere. “Se Trump facesse anche solo una parte di ciò che ha descrittoosserva il Wall Street Journal – questo potrebbe comportare cambiamenti di vasta portata nel ruolo globale dell’America, incoraggiando gli avversari e costringendo gli alleati non più certi del sostegno di Washington a cercare nuovi accordi di sicurezza ed economici”. Ma cosa spinge il presidente eletto a fare dichiarazioni che turbano la diplomazia e contrariano l’opinione pubblica internazionale? Con la Dottrina Trump, gli Stati Uniti sembrano determinati a recuperare terreno, utilizzando tutti gli strumenti a loro disposizione per garantirsi un ruolo di primo piano nei nuovi equilibri geopolitici. Un radicale riorientamento della politica estera americana d’altronde, sarebbe reso necessario da un insieme di convinzioni che il tycoon ha più volte esposto: nell’attuale sistema di relazioni – a suo avviso – persino gli alleati più stretti starebbero approfittandosi degli Stati Uniti, mentre la Cina – impegnata a spodestare gli Usa dalla leadership globale – si starebbe insinuando nel loro ‘giardino di casa’. 

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La posta in gioco per l’Europa? 

Le esternazioni del presidente eletto non potevano non provocare la reazione immediata dei paesi coinvolti. Se il governo del Canada ha reso noto che non si farà intimidire da nessuno, il primo ministro dimissionario Justin Trudeau ha aggiunto che “mai e poi mai” il paese farà parte degli Stati Uniti. Dal canto suo, Panama ha chiarito che “le uniche mani che controllano il Canale sono quelle panamensi” e la premier danese Mette Frederiksen  ha ribadito che “la Groenlandia non è in vendita”. Non solo: a sottolineare la gravità delle dichiarazioni del tycoon, il ministro degli Esteri francese, Jean-Noël Barrot ha ricordando che la Groenlandia – in qualità di territorio autonomo della Danimarca –  è un territorio dell’Unione europea. E che è escluso che l’Ue consenta “ad altre nazioni, quali che siano, di violare i suoi confini sovrani”. Il ministro degli Esteri francese ha aggiunto che non si aspetta che gli Stati Uniti invadano la Groenlandia, ma ha affermato che l’Europa deve ”svegliarsi” e rendersi conto di vivere in un mondo più insicuro. Le sue parole riecheggiavano quelle del presidente francese Emmanuel Macron, che parlando agli ambasciatori francesi, riuniti all’Eliseo per delineare le sue priorità di politica estera per l’anno in corso, aveva invitato l’Europa ad accelerare il suo risveglio strategico. “Se decidiamo di essere deboli e disfattisti – aveva detto Macron – avremo poche possibilità di essere rispettati dagli Stati Uniti d’America del presidente Trump”. 

Il commento 

Di Mario del Pero, ISPI e Sciences Po 

“Difficile immaginare che i marines sbarchino a Panama per riprendere il controllo del canale o che la Danimarca sia soggetta a pressioni commerciali e securitarie per cedere agli Usa la Groenlandia. Eppure le dichiarazioni di Trump vanno prese sul serio. Perché del Presidente della più importante potenza mondiale si tratta. Perché le sue parole hanno un peso e possono ridefinire il perimetro di quel che è immaginabile. E, soprattutto, perché sono rivelatrici dell’ideologia e della cultura politica del prossimo Presidente: di un aggressivo nazionalismo che rivendica diritti e responsabilità neo-imperiali, che piega i diversi contesti alla competizione di potenza con la Cina e che interpreta in termini contingenti e transnazionali i rapporti con gli altri attori, alleati o avversari essi siano”. 



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