Sicurezza urbana, la percezione dei mass media

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La percezione mass-mediatica della sicurezza urbana
 

Il ruolo dei mezzi di comunicazione

La tematica della (in)sicurezza urbana costituisce un cavallo di battaglia ossessivo per i mass media, composti da quotidiani in formato cartaceo, radio, ma soprattutto reti televisive e web. La maggior parte dei notiziari tende ad amplificare a dismisura gli allarmi sulla criminalità. Si parla molto do insicurezza dei cittadini all’interno degli spazi aperti al pubblico, ma, in ultima analisi, si tratta di timori ansiosi ed ansiogeni privi di un reale riscontro scientifico-criminologico. Inoltre, non manca mai, nella cronaca nera, una notevole dose di xenofobia, che ricorda da vicino la propaganda nazionalsocialista dei primi decenni del Novecento. Similmente, Baudrillard (1996) afferma che “le sezioni di cronaca dei quotidiani, dei tg e dei siti web […] non producono affatto una rappresentazione fedele di tutti gli avvenimenti di cronaca che accadono […] I media selezionano le notizie, omettendone alcune ed enfatizzandone altre, e compiono quotidianamente scelte grafiche e di contenuto sul modo di pubblicarle, scelte che non restano senza conseguenze rispetto alla vera  e propria costruzione della realtà comunicata”.

Dunque Baudrillard (ibidem) mette in guardia dai procurati allarmi dei mass media, i quali si abbandonano ad una trattazione iperbolica dei reati, anche quando si tratta di episodi isolati e bagatellari. P.e., da molti decenni, le televisioni parlano di un allarmante aumento della criminalità giovanile, ma questa crescita numerica è algebricamente smentita dai dati statistici. Oppure, si ponga mente alla diminuzione, nel contesto italiano, dell’omicidio volontario. All’opposto, i mass media in malafede omettono di coniugare eziologicamente la liberalizzazione della pornografia con la sempre maggiore incidenza delle violenze sessuali di gruppo pp. e pp. ex Art. 609 octies CP.

Ormai il giornalismo è, in prevalenza, politicizzato e strumentalizza qualsivoglia notizia nel nome della comodità di questa o quell’altra fazione partitica. P.e., pochi quotidiani e dibattiti televisivi evidenziano che, in Europa, il femminicidio è agito da uomini autoctoni di pelle bianca. Analogamente, non si rimarca che lo stupro viene commesso anche da ragazzi ben inseriti e non solo da giovani cittadini extracomunitari. Tale è pure l’autorevole parere di Chomsky (2000), il quale nota che “l’interesse dei media nei confronti di un qualsiasi argomento è soggetto all’influsso di dinamiche esterne (ad esempio, l’inserimento del tema nell’agenda politica)”. Come si nota, pure Chomsky (ibidem) mette in risalto il costante e più che evidente pericolo di un giornalismo politicizzato che non è legato alla scientificità ed al rigore della Criminologia. Asservire il Diritto Penale alla politica significa, nel lungo periodo, comprimere quelle libertà fondamentali tutelate dalla Costituzione e dalla CEDU. Inoltre, una Giuspenalistica abnorme, onnipresente ed eccessivamente severa reca alla negazione di quella clausola rieducativa di cui al comma 3 Art. 27 Cost. (“le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”).

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Del pari, l’introduzione della propaganda ideologica nei mass media è denunziata dagli italiofoni Milanesi & Naldi (2004), ovverosia “per quanto attiene al tema del rapporto tra mass media e sicurezza, appare evidente come queste dinamiche esercitino la loro influenza sia sulla selezione delle notizie di cronaca da pubblicare sia sul modo in cui i media costruiscono la relazione tra cronaca e sicurezza. In particolare, in questi ultimi anni, si è assistito, da parte dei mass media italiani, ad un’enfatizzazione del discorso sulla sicurezza che passa attraverso l’adozione di una particolare accezione del termine stesso sicurezza: quella di uno stato individuale e collettivo da tutelare dai rischi derivanti dalla criminalità e dalla devianza”. Pertanto, Milanesi & Naldi (ibidem)pronunziano anch’essi il loro “j’accuse” nei confronti di un securitarismo esasperato derivante dalle distorsioni comunicative di una cronaca sganciata completamente dalla scientificità della tecnica giuridica.

Il giornalismo contemporaneo adultera le verità statistiche al fine di compiacere questo o quell’altro partito politico. In tal modo, si crea una Criminologia a-tecnica ove l’Ordinamento risponde alle presunte devianze antigiuridiche con il carcere, ove, a sua volta, il trattamento penitenziario annichilisce il reo anziché riabilitarlo. L’intero Ordinamento si trasforma in una macchina mostruosa che mette a tacere anche la più bagatellare delle condotte antisociali. Sicché, la Giuspenalistica diviene onnipresente ed onnipotente, in palese violazione di quella umanità pedagogica ribadita dall’Art. 3 CEDU nonché, nel caso dell’Italia, dal comma 3 Art. 27 Cost. . Al detenuto viene tolta ogni possibilità di riscatto ed il carcere domina con la propria funzione di contenitore squallido di scarti sociali da neutralizzare senza quella pietà e quella dignità predicate dai tempi dell’Illuminismo settecentesco.

Bauman (2002) rimarca che esistono, anche dal punto di vista mass mediatico,  tre distinte nozioni del lemma “sicurezza”. In primo luogo, si parla di “sicurezza esistenziale” (security), ossia della “certezza che il mondo è stabile ed affidabile”, libero, quindi, da individui dediti al crimine. In secondo luogo, oggi si cerca una “sicurezza cognitiva” (certainty), la quale individua, dal primo istante, qualunque segno di criminogenesi. Anche in tal caso, la certainty esige un Diritto Penale che sazia, senza indugio, i malumori popolari a fronte di potenziali disturbi in danno della pace sociale. In terzo luogo, il neo-retribuzionismo contemporaneo aspira ad una “sicurezza personale” (safety), che coincide con la tutela materiale dei beni del cittadino e della propria incolumità fisica. Come ovvio, la ratio della “safety” comporta un incremento del potere e della presenza delle forze dell’ordine.

Inoltre, a parere di chi redige, il summenzionato trinomio security-cetainty-safety è sempre presente nella genesi dei regimi dittatoriali, come dimostra l’esempio storico della Germania nazista del Novecento. Bauman (2003) sottolinea che, nella cronaca televisiva, è esasperata la sola “safety”, ma detto Autore aggiunge pure che “se in un passato recente la parola sicurezza faceva anche riferimento al concetto di sicurezza sociale, alla tutela dei diritti e delle garanzie attese da un sistema di welfare, oggi l’insicurezza è ricondotta al fatto che i luoghi in cui viviamo (in particolare gli spazi urbani) sono pericolosi […] in questi luoghi si compiono frequentemente reati che mettono in pericolo l’incolumità nostra, dei nostri beni e dei nostri affetti […] Questi luoghi sono abitati da soggetti che compiono reati e che appartengono quasi sempre a determinate categorie sociali; quindi, in sé e per la loro stessa presenza, [tali soggetti] costituiscono una minaccia per la nostra sicurezza”. Similmente, in Bauman (2006 e 2008) si mette in evidenza che una concezione iperbolica della sicurezza urbana conduce sempre all’adozione, da parte del Legislatore, di un Diritto Penale ferreo, intransigente ed onnipresente. La Giuspenalistica si trasforma in una chiave di lettura finalizzata a reprimere ogni contestazione anti-ordinamentale. P.e., in Italia, il fascismo sottolineava, sino alle estreme conseguenze, il valore della sicurezza personale e collettiva, con il risultato di qualificare come “pericolosa” qualunque forma di opposizione al regime. L’iper-securitarismo è foriero di sistemi dittatoriali che strumentalizzano il Diritto Penale per la conservazione dell’Ordine pubblico. In particolar modo, l’esaltazione della “safety” induce ad una deminutio di quella inviolabilità della libertà personale attualmente sancita nell’Art. 13 della Costituzione italiana. Analoga osservazione vale pure per la libertà di opinione e di stampa ex Art. 21 Cost. .

In sostanza, in Italia esiste un giornalismo politicizzato e fuorviante che estremizza ogni minimo episodio di violenza, creando allarmismi inutili, soprattutto con afferenza alla tematica della devianza giovanile. P.e., Maneri (2001) asserisce che “questo modo di costruire il tema della sicurezza, apparentemente così lineare, merita, invece, una problematizzazione più approfondita, a partire proprio dal legame tra criminalità e sicurezza. In molti hanno notato come la questione della sicurezza così tematizzata sia entrata prepotentemente nell’agenda pubblica del nostro Paese solo negli ultimi anni […] Vi è stato un preciso momento di svolta […] nel modo di affrontare giornalisticamente questo problema sia dal punto di vista semantico sia dal punto di vista quantitativo”. Dunque, Maneri (ibidem), giustamente, punta il dito su chi produce una cronaca nera improntata al sensazionalismo e priva di legami seri con le analisi criminologiche.

P.e., a partire dagli Anni Novanta del Novecento, ovverosia quando l’Italia ha iniziato ad essere terra di immigrazione, sono sorti molti falsi miti sulla figura dello straniero “sporco e delinquente”, mentre le Statistiche dimostrano che gli autoctoni commettono reati in misura non inferiore rispetto agli extracomunitari africani ed asiatici. Oppure ancora, si pensi all’etichettamento delle minoranze rumene e, più latamente, slavo-balcaniche. La xenofobia abbonda nei mass media contemporanei e le poche voci dissidenti sono messe a tacere in nome di ideologie politiche qualunquistiche che esaltano un Diritto Penale esemplare ed eccessivamente retribuzionista. Del pari, Baudrillard (ibidem) nota acutamente che, nel giornalismo europeo, “si osserva un netto aumento dell’attenzione mediatica al tema [della sicurezza], a partire dal maggiore utilizzo della parola sicurezza e dei suoi derivati […]. [Esiste] uno slittamento semantico, per cui il termine ha assunto esclusivamente, o quasi, l’accezione di sicurezza urbana, in associazione ad altri termini, quali degrado, devianza, criminalità e simili”.

Chi scrive concorda appieno con gli asserti di Baudrillard (ibidem), in tanto in quanto, specialmente nella rete web, il nuovo linguaggio della cronaca nera utilizza a piene mani espressioni legate alle immagini collettive dello “sporco negro” o del “drogato puzzolente”. Molti hanno dimenticato (rectius: vogliono dimenticare) le gravi violenze etero-lesive perpetrate da ordinari cittadini integrati di pelle bianca. P.e., il femminicidio è un fenomeno meno presente presso le minoranze extracomunitarie. Analoga osservazione vale pure per il troppo sottovalutato white collar crime. D’altra parte, pure Chomsky (ibidem) evidenzia che il vero fulcro del problema è “capire se la nuova ed accresciuta attenzione al tema della sicurezza registrata in questi ultimi anni coincida effettivamente con un aumento della quantità e della gravità dei fenomeni criminali registrati”.

In effetti, in Europa, Killias e Schwarzenegger hanno messo in risalto che le Statistiche criminologiche di lungo periodo spesso danno risultati completamente difformi da quelli volgarmente creati dalle televisioni e dai quotidiani online. Sotto il profilo algebrico, la Criminologia degli Anni Duemila ha sovente smentito i marchi infamanti attribuiti da giornalisti qualunquisti in cerca di consensi ideologici. A tal proposito, dal punto di vista oggettivo e numerico, Milanesi & Naldi (ibidem), con estrema sincerità tecnica, hanno affermato che “i dati sulla criminalità sono quanto di più difficile da leggere ed interpretare, [ma] è oltremodo difficile sostenere che, in Italia, negli ultimi anni, si sia assistito ad un incremento nella commissione dei reati.

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Sicuramente, per quanto riguarda i reati più gravi, a partire dagli omicidi volontari e dalle violenze contro le persone, i dati ufficiali mostrano un trend in calo. Più contraddittoria appare, invece, la lettura dei dati relativi ai cc.dd. reati predatori, dove, però, è noto come le Statistiche siano più pesantemente influenzate da fattori esterni”. A parere di chi commenta, il merito maggiore di Milanesi & Naldi (ibidem) consta nel distinguere tra l’oggettività statistica dei reati procedibili ex officio e la relatività numerica dei reati perseguibili a querela di parte. Infatti, la rinuncia a querelare della parte lesa non significa che l’infrazione anti-giuridica non si sia verificata, pur se essa sfugge alle raccolte statistiche.

Si tenga pure presente che, in Italia, l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ex Art. 131 bis CP provoca l’incremento dei Modelli 45, contenenti, come noto, fatti non costituenti reato, dunque statisticamente ininfluenti. Acutamente, per parte sua, Bauman (2002) aggiunge che le Statistiche variano di molto “in relazione alla tipologia di reati che vengono comunemente associati all’idea di sicurezza. E’ facile osservare come l’attenzione dell’opinione pubblica si concentra soprattutto sull’insicurezza derivante da alcune particolari fattispecie di reati e da alcune categorie sociali ben definite, sottovalutando, invece, altri e ben più gravi fattori di rischio per la safety individuale. Per un comune cittadino è, ad esempio, più facile restare vittima di un incidente stradale o sul lavoro che dell’azione violenta, ad esempio, di un immigrato o di un tossicodipendente. Tuttavia, i comportamenti individuali che originano tali rischi per l’incolumità individuale (e che costituiscono comunque dei reati […]) non vengono mai associati al discorso sull’insicurezza”.

Come si nota, gli asserti di Bauman (2002) risultano perfettamente applicabili al crimine dei colletti bianchi, che cagiona una grave destabilizzazione sociale, ancorché silenziosa e pressoché impercettibile nel breve periodo. Ognimmodo, le predette incertezze statistiche non autorizzano i procurati allarmi coltivati da mass media in malafede. L’approccio criminologico è l’unica via per impedire il sorgere del populismo penale e di un concetto distorto di general-preventività.

In maniera assai lucida, Maneri (ibidem) osserva che “sussistono due contraddizioni nel modo in cui è stato costruito il tema della sicurezza da parte dei media in questi ultimi anni: da un lato, l’impossibilità di giustificare l’aumento del sentimento di insicurezza con un aumento della criminalità che normalmente viene associato ad esso; dall’altro lato, la sottovalutazione di alcuni concreti fattori di rischio per la safety a favore di un’enfatizzazione eccessiva dell’insicurezza derivante da un particolare tipo di criminalità e dalla presenza di determinate categorie sociali”. Quindi, anche Maneri (ibidem) invita ad abbandonare qualsivoglia approccio a-tecnico alla Criminologia ed alla Giuspenalistica.

E’ necessario, negli Anni Duemila, ritornare alla vera scientificità delle Statistiche criminologiche, in tanto in quanto soltanto un’analisi competente e non politicizzata consente di tutelare da sospetti infondati quelle fasce della popolazione maggiormente esposte all’etichettamento e ad una giustizia sommaria. Senza una Criminologia a-partitica e metodica sono in pericolo i valori dell’eguaglianza e del giusto processo tutelati dagli Artt. 3 e 111 Cost. . Non esiste un Diritto Penale tecnico senza una Criminologia altrettanto tecnica ed imparziale.

 

l parere della Criminologia

I mass media provocano uno stato emergenziale perenne e creano insicurezza negli utenti degli spazi aperti al pubblico. Tuttavia, sotto il profilo oggettivo-fattuale, la criminogenesi è di gran lunga inferiore rispetto a quanto riportato da telegiornali, dibattiti televisivi e notiziari online. P.e., Goffman (1981) osserva che “la tematizzazione della sicurezza da parte dei media, in questi ultimi anni, è stata quasi sempre improntata ad un’ottica emergenziale. Non casualmente, nel lessico mediatico, la parola sicurezza viene spesso associata ad altri termini, come emergenza o allarme”. Nuovamente, dunque, pure Goffman (ibidem) rimarca la profonda discrasia tra le verità statistico-matematiche e quelle distorte del giornalismo.

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La politicizzazione della cronaca tende ad enfatizzare episodi bagatellari di delinquenza; ciononostante, piaccia o non piaccia, negli Anni Duemila è riscontrabile una sensibile diminuzione dei reati contro la persona. Anche la delinquenza giovanile contemporanea manifesta livelli meno allarmanti, se si pone mente a certune condotte minorili violente che hanno segnato gli Anni Settanta e Ottanta del Novecento. L’etero-lesività anti-giuridica è in netta diminuzione, pur se non mancano episodi sporadici di notevole gravità; da tali accadimenti occasionali si traggono, erroneamente, conclusioni affrettate ed ingiustamente generalizzanti e qualunquiste.

Del pari, non è statisticamente provata una maggiore delittuosità degli stranieri rispetto agli autoctoni. Similmente, Milanesi & Naldi (ibidem) sottolineano che “non esiste una condizione effettiva di accresciuta insicurezza, ma, piuttosto, una percezione più accentuata dell’insicurezza stessa”. P.e., nei primi decenni del Novecento, la propaganda nazista generava allarmi ingiustificati in danno della minoranza ebraica grazie a fakes news, oppure ingigantendo a dismisura episodi marginali che non rispecchiavano la vera realtà fattuale. Dal canto suo, Bauman (2002) ribadisce pur’egli che il giornalismo deviato cagiona “sentimenti di insicurezza e di paura”. A parere di tale Dottrinario, l’ansiogenesi dei mass media deriva, in ultima analisi, “dalla precarietà  che caratterizza sia la condizione esistenziale del singolo individuo, sia il suo rapporto con il sistema sociale in cui egli è inserito”.

Pertanto, come si nota, il cittadino sfoga le proprie frustrazioni su capri espiatori particolarmente vulnerabili, quali l’extracomunitario o l’infra-18enne. Televisioni, quotidiani e web cavalcano i malumori popolari adulterando la verità delle Statistiche criminologiche. D’altra parte, tale demagogia è presente in tutti i regimi dittatoriali, sempre alla ricerca di un “nemico della collettività” da annientare attraverso una Giuspenalistica a-tecnica ed onnipresente; il carcere, per conseguenza, diviene lo strumento principale finalizzato alla eliminazione di chi turba la pace sociale (rectius: di chi è sospettato di turbare la pace sociale). Utile è forse citare McQuail (1997), secondo cui “l’intero studio delle comunicazioni di massa si basa sul presupposto dell’esistenza di effetti provocati dai mezzi di comunicazione, argomento sul quale esiste il minor numero di certezze e la minor concordanza di pareri.

E’ proprio questa evidente incertezza a suscitare la sorpresa maggiore, dal momento che l’esperienza di ogni giorno ci fornisce innumerevoli esempi di piccoli effetti. Sono pochi coloro che non assumono nessuna informazione o opinione dalla fonte dei media, e si spendono molto denaro e molti sforzi per orientare i mezzi di comunicazione al raggiungimento di questi effetti”. Pertanto, anche McQuail (ibidem). Già negli Anni Novanta del Novecento, mette in evidenza il ruolo di mass media inficiati dalla demagogia e dal populismo. L’essenziale, per molti giornalisti, non è riportare fedelmente un fatto di cronaca, bensì inserire l’episodio dentro ad un vortice mediatico che esaspera qualunque minimo episodio nel nome di questa o quell’altra ideologia. Il sensazionalismo prende il posto dell’oggettività e la notizia è distorta per finalità politiche. Il giornalista, in tal modo, si trasforma in un servo del potere o, quantomeno, di chi aspira ad un nuovo ordine. D’altronde, Wolf (1992) affermava che “esiste un rapporto diretto tra l’esposizione del singolo individuo ai messaggi propagandistici e la capacità di influenzare le masse da parte del potere politico”. Gli asserti del testé menzionato Autore sono stati concretizzati nelle dittature del Novecento, ma valgono pure all’interno dei sistemi politici contemporanei, specialmente durante la raccolta di consensi elettorali.

Di nuovo, in Wolf (ibidem), torna la necessità, per fini di propaganda, di materializzare, attraverso i mass media, un “nemico” della giustizia e dell’equità. Di solito, tale avversario da combattere e neutralizzare fa parte delle minoranze etniche e religiose più emarginate, come accaduto durante l’Olocausto ebraico o il genocidio armeno. Anzi, sempre Wolf (1985) precisa che la Criminologia degli Anni Duemila sta riscoprendo il disvalore del populismo, ovverosia “si è assistito, negli ultimi tempi, ad un recupero dell’attenzione agli effetti dei media. In questi ultimi anni, abbiamo, infatti, assistito ad una rivalutazione dell’idea che i media esercitino effettivamente un potere di influenza sul loro pubblico; tuttavia, l’attenzione si è spostata sugli effetti che si manifestano, soprattutto al livello delle credenze e delle rappresentazioni sociali, non nell’immediato, ma nel lungo periodo, e non direttamente sul singolo individuo, ma sull’intero sistema sociale o su alcune sue parti”. Quindi, Wolf (1985) esplicita senza remore l’effetto prolungato e devastante delle fakes news sulla communis opinio popolare. P.e., il neo-nazismo degli ultimi anni si nutre delle medesime tematiche trattate dalla propaganda nazionalsocialista del Novecento, in tanto in quanto l’etichettamento di certune minoranze reca conseguenze che si spingono ben oltre il breve termine. Il giornalismo politicizzato genera veri e propri omicidi morali irreparabili ed irreversibili.

Pure l’italiofono Cheli (1994) insiste sul potere, nel bene e nel male, del circuito mass mediatico, giacché “[sussistono] molte conseguenze derivanti da un’esposizione costante e prolungata ai messaggi mediatici, soprattutto in termini di percezioni e rappresentazioni, vale a dire di quella che possiamo definire l’immagine della realtà. […]. I mezzi di comunicazione di massa sono un sistema comunicativo globale capace di trasmettere messaggi di svariati generi: informazioni, propaganda, pubblicità ed intrattenimento. Tali messaggi non sono necessariamente ispirati a finalità di persuasione del pubblico, ma, presi nella loro globalità, finisco inevitabilmente con l’esercitare, nel tempo, un impatto notevole sia sul singolo individuo sia sulla società nel suo complesso”. Cheli (ibidem), già prima dell’avvento di Internet, ha lodevolmente percepito che televisioni, radio e quotidiani possono veicolare messaggi conformi al populismo penale, per il quale la Giuspenalistica e l’uso massiccio della detenzione intra-muraria costituiscono l’unico mezzo efficace al fine di neutralizzare ogni forma di dissenso nei confronti dell’Ordine costituito. I mass media diventano, dunque, un mezzo per veicolare messaggi di odio e di intolleranza nei confronti delle minoranze reputate responsabili del malfunzionamento delle strutture sociali. Analogamente, McCombs & Shaw (1972) impiegano i lemmi “costruzione mediatica” del discorso su sicurezza ed insicurezza, in tanto in quanto, nella maggior parte delle fattispecie, gli allarmismi securitari non possiedono alcun fondamento oggettivo, come accade nei temi della devianza minorile e della delinquenza presuntivamente agita dagli stranieri. Secondo i testé citati Dottrinari anglofoni non conta l’incidenza materiale della criminalità, bensì l’auto-(dis)percezione della delinquenza. Le televisioni ed i tg divengono il fondamento anti-scientifico di convinzioni politiche aggressive e non statisticamente e criminologicamente provate.
 

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