Con l’ordinanza n. 32072 dello scorso 12 dicembre, la III sezione della Corte di Cassazione si è pronunciata sulla domanda presentata dal marito di una infermiera che era stata violentata sul luogo di lavoro, al fine di ottenere il risarcimento dei danni personali che aveva subito e che erano derivati dalla sofferenza patita dalla moglie per la violenza sessuale subita.
Gli Ermellini hanno evidenziato come il marito, per tutelare un danno proprio, aveva esperito un’azione volta a far valere la responsabilità del datore di lavoro della moglie, così azionando una tutela extracontrattuale (e non già quella contrattuale che il datore di lavoro ha nei confronti del solo lavoratore), con la conseguenza che non valevano le regole sul riparto dell’onere della prova proprie della responsabilità contrattuale.
Si è difatti precisato che la responsabilità contrattuale del datore di lavoro, per violazione degli obblighi di sicurezza sui luoghi di lavoro, è predicabile nei soli confronti del lavoratore, poiché costui è parte del contratto con il datore di lavoro: quest’ultimo non ha obbligazioni contrattuali di protezione nei confronti dei terzi.
Nel caso sottoposto all’attenzione della Cassazione, il marito di una infermiera, vittima di una violenza da parte di un paziente ricoverato presso la struttura ospedaliera ove lavorava, citava in giudizio la proprietaria dell’ospedale, accusandola di non aver predisposto idonee misure di sicurezza volte ad impedire la violenza sessuale ai danni della moglie; con l’atto introduttivo del giudizio l’uomo chiedeva il risarcimento dei danni personali derivati dalla sofferenza patita dalla moglie per la violenza sessuale subita.
Il Tribunale di Pescara accoglieva la domanda sul presupposto che il datore di lavoro avrebbe dovuto predisporre adeguate misure di prevenzione del comportamento doloso del paziente.
La Corte di appello dell’Aquila riformava tale decisione sostenendo che l’attore non aveva assolto all’onere ad esso incombente di dimostrare e indicare quali fossero le misure idonee a prevenire il danno che la casa di cura aveva l’obbligo di predisporre.
Ricorrendo in Cassazione, il marito dell’infermiera eccepiva la violazione degli articoli 2087 e 1218 c.c., sostenendo come la Corte d’appello avesse ribaltato i principi sull’onere della prova.
A tal riguardo l’uomo, richiamando gli arresti della giurisprudenza formatasi sugli obblighi di protezione del datore di lavoro, evidenziava come, secondo le regole della responsabilità contrattuale, fosse suo onere solamente allegare il danno subito, danno come tale indicativo dell’inadempimento, gravando poi sul datore di lavoro l’onere di dimostrare di aver predisposto tutte le misure necessarie ad evitare il danno.
La Cassazione non condivide le doglianze sollevate dal ricorrente.
La Corte ricorda che il danno fatto valere iure proprio dai congiunti di un lavoratore, anche qualora il danno a quest’ultimo sia derivato da inadempimento del contratto di lavoro, non ha fonte per l’appunto nel contratto, ma ha titolo in una responsabilità extra contrattuale del datore di lavoro, con la conseguenza che gli oneri probatori sono quelli tipici della responsabilità extracontrattuale e non già quelli della responsabilità da inadempimento.
Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini rilevano come in giudizio agiva il marito della lavoratrice per un danno proprio, dunque agiva un danneggiato che non era parte del contratto con il datore di lavoro.
Ne derivava quindi che, nel caso di specie, l’azione intentata dall’uomo non postulava la specifica ipotesi di responsabilità contrattuale nella quale il datore di lavoro può incorrere verso il lavoratore per la violazione degli obblighi di sicurezza sul lavoro e, di conseguenza, non valevano le regole sul riparto dell’onere della prova proprie della responsabilità contrattuale, ma – piuttosto – vigeva la regola per cui il danneggiato doveva provare la colpa del danneggiante nella determinazione dell’evento dannoso, oltre che il nesso di causa.
In conclusione, la Cassazione rigetta il ricorso.
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