Chi guadagna e chi perde davvero con l’autonomia differenziata

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La recente sentenza della Corte Costituzionale n. 192/2024 ha scosso le fondamenta del processo di autonomia differenziata in Italia, mettendo in discussione alcuni capisaldi della Legge Calderoli e aprendo nuove prospettive sul finanziamento delle funzioni devolute alle regioni. Questo articolo analizza chi ci guadagna e chi ci rimette in questo delicato equilibrio, basandosi sul briefing paper “L’autonomia differenziata: chi paga e quanto?” redatto dal professor Dario Stevanato, esperto di diritto tributario presso l’Università di Trieste. Lo studio è stato segnalato dall’Istituto Bruno Leoni (IBL) – Idee per il libero mercato.

Una riforma che divide il Paese

La Legge Calderoli, approvata nel 2024 come quadro normativo per l’attuazione dell’autonomia differenziata, mirava a definire le modalità di finanziamento delle funzioni trasferite alle regioni. Tuttavia, la Corte Costituzionale ha cassato alcune disposizioni fondamentali, imponendo criteri più stringenti. Come sottolinea Stevanato, “la Corte ha imposto il criterio della spesa standard anziché della spesa storica e ha richiesto che le regioni siano responsabili degli scostamenti tra la spesa effettiva e il costo delle funzioni devolute”.

Questa interpretazione genera effetti asimmetrici tra le regioni: mentre alcune potrebbero beneficiare della nuova metodologia, altre rischiano di essere penalizzate. In particolare, le regioni del Nord, come Veneto e Lombardia, dove la spesa storica è inferiore ai fabbisogni standard, potrebbero ottenere maggiori risorse. Al contrario, le regioni del Sud, storicamente beneficiarie di trasferimenti più generosi, rischiano di vedere una riduzione delle risorse.



Neutralità finanziaria o squilibrio territoriale?


La Corte ha ribadito il principio di neutralità finanziaria, secondo cui il trasferimento di funzioni non deve generare costi aggiuntivi per lo Stato. Tuttavia, l’adozione dei fabbisogni standard potrebbe portare a un aumento complessivo della spesa pubblica, creando squilibri territoriali. Come osserva Stevanato, “l’adozione dei fabbisogni standard potrebbe paradossalmente determinare un aumento degli oneri per la finanza pubblica, paralizzando l’intero processo autonomista”.

Le regioni del Sud potrebbero essere particolarmente penalizzate in uno scenario in cui le risorse vengono redistribuite sulla base di criteri standardizzati. Ad esempio, alcune regioni potrebbero perdere finanziamenti storici significativi, mentre altre, come Lombardia e Veneto, potrebbero beneficiare di risorse aggiuntive grazie alla convergenza verso i fabbisogni standard.

Il nodo delle fonti di finanziamento

Un nodo cruciale del dibattito riguarda le fonti di finanziamento. La Corte ha confermato la legittimità dell’utilizzo delle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali, respingendo l’idea che le regioni dovessero finanziare le funzioni devolute attraverso un aumento della fiscalità locale. Tuttavia, questa soluzione non è priva di criticità.

Le bozze di intesa siglate in passato tra Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna prevedevano una compartecipazione calcolata sulla spesa storica, successivamente aggiornata ai fabbisogni standard. Ad esempio, il Veneto aveva inizialmente richiesto di trattenere il 90% dei tributi erariali riscossi sul proprio territorio, ispirandosi al modello del Trentino-Alto Adige. La Corte aveva già in passato ammonito sulla necessità di una corrispondenza tra gettito fiscale e maggiori impegni di spesa, escludendo proposte che avrebbero comportato squilibri tra regioni.

Secondo il professor Stevanato, il rischio è che il continuo allineamento tra aliquote di compartecipazione e fabbisogni trasformi le compartecipazioni in trasferimenti statali mascherati, snaturando il principio di autonomia finanziaria.



Responsabilità e incentivi all’efficienza


Un aspetto centrale della sentenza è il principio di responsabilità. La Corte ha stabilito che eventuali deficit dovuti a una cattiva gestione o a scostamenti tra fabbisogni e gettito resteranno a carico delle regioni. Questo implica che le regioni saranno costrette a ricorrere a misure correttive, come l’aumento della fiscalità locale o la riduzione dei servizi.

Al contrario, eventuali eccedenze di gettito resteranno nelle casse regionali, rafforzando il legame tra autonomia e responsabilità gestionale. Questo approccio potrebbe incentivare le regioni a migliorare l’efficienza nella gestione delle risorse, ma rischia di accentuare le disparità territoriali, con le regioni più ricche che accumulano vantaggi e quelle più deboli che faticano a garantire livelli adeguati di servizi.

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Chi guadagna e chi perde

Dall’analisi emerge che:

Chi guadagna: Veneto e Lombardia, dove la spesa storica è inferiore ai fabbisogni standard e dove la maggiore autonomia potrebbe tradursi in maggiori risorse disponibili. Queste regioni potrebbero trattenere più gettito fiscale, migliorando i servizi senza aumentare la pressione fiscale locale.

Chi perde: Le regioni del Sud, come Calabria e Campania, che storicamente ricevono trasferimenti più generosi. La riduzione delle risorse potrebbe tradursi in un peggioramento dei servizi pubblici o in un aumento della pressione fiscale locale.



Le prospettive future


La sentenza della Corte Costituzionale n. 192/2024 segna un punto di svolta per l’autonomia differenziata. Come conclude Stevanato, “il percorso dell’autonomia deve ripartire da qui, rafforzando gli incentivi all’efficienza e garantendo una reale opportunità di responsabilizzazione per le regioni”.

Resta da vedere se il nuovo quadro normativo saprà bilanciare le esigenze di equità territoriale con quelle di efficienza e responsabilità. Ciò che è certo è che il dibattito sull’autonomia differenziata continuerà a occupare un ruolo centrale nel panorama politico italiano, con implicazioni che andranno ben oltre il semplice riparto di competenze tra Stato e regioni.



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