Cambiare rotta per trasformare il debito in speranza

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«Il debito dei Paesi poveri è un tema che appartiene ad ogni Giubileo» e, se già nel 2000 san Giovanni Paolo ii aveva portato con forza l’attenzione sulla questione delle ingiustizie economiche e sociali, «dopo 25 anni il problema del debito è grave: il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale stimano che il 60% dei Paesi poveri sia in crisi debitoria o sul punto di entrarci». È quanto afferma, parlando ai media vaticani, Massimo Pallottino, coordinatore dell’unità studi ed advocacy di Caritas italiana, in vista del lancio, oggi pomeriggio alla Pontificia Università Lateranense, di una nuova campagna per la cancellazione del debito intitolata “Cambiamo la rotta, trasformiamo il debito in speranza”. La campagna, che si iscrive nel solco del messaggio di Papa Francesco per la cinquantottesima Giornata mondiale della Pace, coinvolge un’ampia coalizione di enti e associazioni cattoliche: Istituto di diritto internazionale per la pace “Giuseppe Toniolo”, Acli, Agesci, Aimc, Azione Cattolica Italiana, Caritas Italiana, Comunità Papa Giovanni xxiii , Comunità di Vita Cristiana, Earth Day Italia, Focsiv ets , Fondazione Banca Etica, mcl , Missio, Movimento dei Focolari Italia, Pax Christi e Sermig. «Attualmente — sottolinea Pallottino — a detenere le quote maggiori del debito dei Paesi poveri sono i creditori privati, che imponendo pagamenti insostenibili ostacolano gli sforzi volti a ridurre le disuguaglianze. Il debito dei Paesi poveri è stato alimentato a dismisura a partire dalla crisi finanziaria del 2007, per poi aggravarsi con la pandemia da covid-19 e le guerre che stanno funestando il mondo». I Paesi poveri sono stati imprigionati in una spirale debitoria — spiega l’esperto — che a causa degli interessi molto alti si alimenta da sola, per cui sono stati costretti a rifinanziare continuamente un debito contratto per gestire delle crisi che, certamente, non dipendevano da loro. «È necessario tenere i riflettori accesi su questo tema, certamente sfruttando i prossimi eventi internazionali, ma anche a livello individuale ciascuno può fare qualcosa, come chiedere alle banche di non finanziare con i nostri risparmi l’economia fossile e le armi». Riccardo Moro, economista e membro del comitato scientifico dell’Istituto Giuseppe Toniolo, ha spiegato ai media vaticani come per molti Paesi del sud del mondo non vi sia alcun spazio di manovra per una possibile dilazionare il debito. «Oggi il debito internazionale dei Paesi poveri impedisce a questi ultimi di finanziare la sanità, la scuola e tutto ciò che potrebbe portare ad un miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini». Esiste, secondo Moro, «un’architettura finanziaria internazionale inadeguata a tener conto delle esigenze dei creditori e dei debitori», ovvero «come si disegnano i contratti di prestito internazionale e come si definisce la loro sostenibilità». In conclusione, Riccardo Moro, rispondendo alla domanda se sia o meno un’utopia la cancellazione del debito, ha sottolineato come già «nel 2000, con la prima grande campagna di cancellazione del debito, si riuscì a convincere la Banca mondiale ed il Fondo mMonetario internazionale a modificare le regole del prestito e le modalità con cui il debito veniva analizzato, ottenendo la cancellazione di debiti che nel tempo erano diventati insostenibili». «Il punto è — ha specificato Moro — che ora siamo in una situazione di emergenza e abbiamo bisogno di riformare questo sistema di regole».

«Il debito dei Paesi poveri rappresenta una forma di controllo delle ricchezze ambientali e delle materie prime da parte dei paesi creditori». A delineare il collegamento tra la questione del debito e quello dello sfruttamento delle risorse di questi paesi è Pierluigi Sassi, presidente di Earth day Italia. I Paesi del sud del mondo dal punto di vista del cambiamento climatico e della transizione ecologica devono, secondo Sassi, essere accompagnati ed sostenuti con modelli di riferimento sostenibili e tenendo conto che la crisi ambientale e climatica non è loro diretta responsabilità. Secondo Sassi uno degli obiettivi della campagna deve essere quello di cambiare il modello emerso lo scorso novembre alla Cop29 , di Baku, in Azerbaigian, ovvero «la sostanziale mancanza di volontà da parte dei Paesi ricchi di aiutare economicamente i più poveri nella transizione ecologica, al fine di mantenerli fondamentalmente sotto ricatto e proseguirne lo sfruttamento».

di Silvia Giovanrosa

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