«Anche in Italia si emigra per il clima, un esodo interno destinato ad aumentare»

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Entro il 2050 almeno 216 milioni di persone saranno costrette a migrare a causa delle conseguenze del cambiamento climatico. A sostenerlo è la Banca Mondiale. Il nostro Paese non è escluso. L’ultimo rapporto Ipcc (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) ha evidenziato che l’Italia è tra i Paesi al mondo a maggiore vulnerabilità per quanto riguarda i cambiamenti climatici come confermato anche dai dati dall’Osservatorio Città Clima di Legambiente: nel 2024 ci sono stati 351 eventi che hanno provocato impatti e danni nei territori, un incremento del 485 per cento rispetto al 2015, quando ne furono registrati 60.

Quindi anche da noi ci saranno, o ci sono già, persone che emigreranno a causa dei cambiamenti climatici? L’argomento lo ha affrontato l’inchiesta giornalistica di Virginia Della Sala riportata nel libro Migrare in casa (Edizioni Ambiente, euro 19) che fa il punto su quello che già sta succedendo nel nostro Paese.

Della Sala, quando si parla di emigrazioni di persone a causa dei cambiamenti climatici lo riteniamo un fenomeno che non riguarda l’Italia. Con il suo libro ci dimostra che non è così.
L’idea alla base del mio libro e pensare alle migrazioni per cause climatiche anche all’interno del nostro stesso Paese, perché questo è ciò che sta accadendo ogni qualvolta delle persone sono costrette a lasciare la propria casa per precauzione o come conseguenza degli effetti disastrosi del cambiamento climatico. In entrambi i casi si sta generando una migrazione. Ciò è suffragato da alcuni dati dell’Idcm (Internal displacement monitoring centre) che monitora gli spostamenti interni, dentro i propri confini, degli abitanti dei diversi paesi. Un istituto creato nel 1998 come parte del Consiglio norvegese per i rifugiati. Se analizziamo i dati dell’Idcm riferiti all’Italia notiamo che negli ultimi anni, parallelamente all’aumento della frequenza dei fenomeni climatici estremi, vi è anche un incremento notevole degli spostamenti interni, degli sfollati perché di fatto di questo si tratta. Secondo l’Idmc dal 2008 al 2022 gli spostamenti sono stati 147 mila, gran parte dovuti ad eventi sismici; se invece per lo stesso periodo si va nella sezione «alluvione» e «movimenti di massa secca e bagnata» oppure «incendio e tempesta» siamo intorno ai 28.400 nel 2008 che raddoppia nel 2023 arrivando a 71 mila. Lo studio del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e dell’Irpi (Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica) nel Rapporto periodico sul rischio per frane e inondazioni indica, a conferma di quanto detto, che nel 2023 le persone evacuate e senzatetto erano poco più di 41 mila, mentre tra il 2018 e il 2022 erano poco meno 19 mila.

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Lei racconta le storie di chi ha perso tutto, casa e lavoro. Quali sono le loro prospettive per il futuro?
Non sono delle migliori, siano esse nel breve o nel lungo termine, per chi ha dovuto lasciare la casa improvvisamente e trovare un tetto presso amici o familiari nell’attesa di poter rientrare. Ho raccolto molte testimonianze in questo senso che poi, purtroppo, sono drammaticamente tutte simili. Devono attendere mesi prima di per poter far rientro a casa perché spesso non hanno le capacità economiche per sistemarle e devono farsi aiutare da amici o conoscenti o grazie alle raccolte fondi della macchina della solidarietà. Nella peggiore delle ipotesi però le persone sono costrette a lasciare la città. A tal proposito ho raccolto la testimonianza di una coppia che si è trasferita da Ravenna a Padova senza la possibilità di una entrata economica perché la loro attività commerciale in cui avevano investito tantissimo è stata rovinata definitivamente. C’è invece chi vive con la costante paura che quello che gli è successo possa accadere nuovamente, come chi è stato alluvionato per due o tre volte.

Molte aziende colpite dagli effetti disastrosi dei cambiamenti climatici con fatica riescono a risollevarsi, altre invece no.
È vero! Ho visto con i miei occhi la sorte di un’azienda completamente distrutta dagli effetti del cambiamento climatico e altre che hanno perso milioni di euro perché costrette a interrompere la produzione per acquistare nuovi macchinari. Altre, parlando di migrazione, hanno spostato i capannoni in un’altra zona con investimenti che non avevano immaginato di dover fare. Uno studio di Bankitalia dell’ottobre 2022 spiegava come le imprese localizzate nei comuni colpiti da frane e alluvioni avessero in media una probabilità di fallimento superiore del 4,8% rispetto alle altre. Per poter ricominciare o per potersi spostare servono molti soldi. Il governo ora sta cercando di porre rimedio a questa mancanza di denaro obbligando le aziende ad assicurarsi.

Quindi il futuro cosa ci riserva?
Sono sfide sempre più difficili da affrontare, sempre più emergenze a cui dover far fronte. Per non soccombere dobbiamo entrare nell’ordine di idee che non esiste un intervento immediato per contrastare gli effetti del cambiamento climatico. Dobbiamo imparare a guardare con onestà a quello che succede e attuare un cambiamento sin da oggi rivedendo la gestione del territorio alla luce degli effetti del cambiamento climatico. Bisogna progettare gli spazi verdi nelle nostre città che si allagano molto frequentemente perché quando furono costruite non si pensava, per esempio, a questa frequenza di eventi meteorologici estremi. Ora, l’imprevedibilità degli eventi, anche laddove appunto non si erano mai manifestati, sta cambiando tutto ed è quindi il tempo di cominciare a ripensare e a cambiare il nostro sistema urbanistico, delle acque e così via. Lo vediamo anche in termini di vite umane. Quindi la domanda provocatoria è: dove spostiamo l’Italia se non interveniamo subito? Ci vorrà tempo, impegno e non è detto che l’emergenza si risolverà nell’immediato. Se invece non ci sarà una comunicazione chiara ed efficace che implica anche una visione lucida e una volontà politica ferrea nel fare ciò che serve le prospettive non sono delle migliori. Mi dispiace essere disfattista.

Ci può fare qualche esempio di cambiamenti urbanistici che si sono intrapresi nel mondo a causa del clima?
Nel libro ho raccolto diversi esempi in giro per il mondo con l’aiuto degli approfonditi rapporti di Legambiente. Per esempio, nell’Isola di Jean Charles, che si trova sul delta del fiume Mississippi in Luisiana (Stati uniti), dove un tempo abitavano 400 persone, discendenti degli Indiani d’America, su 100 chilometri quadrati, ora, anche a causa dei cambiamenti climatici, è rimasto un chilometro e mezzo di terra emersa. La comunità è stata costretta ad andare sulla terraferma con nuove case costruite per resistere agli uragani. Hanno fondato di fatto una nuova città. Ci sono poi gli esempi delle città galleggianti a cui si sta pensando nelle Maldive, mentre per Giacarta, capitale dell’Indonesia, che sta sprofondando, è stato annunciato il suo spostamento, con le relative enormi complicazioni. Ci sono anche molti casi in cui si sta progettando il cambiamento della struttura della città, come a Manhattan, l’isola nel cuore di New York. Qui le proiezioni dicono che il centro città affonderà entro il secolo. Sono quindi in corso già i primi accenni di adattamento delle abitazioni di Staten Island, arretrandole per lasciare più spazio alla costa favorendo di fatto l’allagamento di alcune zone e la rinaturalizzazione. A Tokyo, poi, nel 2006 è stato creato un sistema anti allagamento sotterraneo collegato ad alcuni tunnel che allontana l’acqua dalle pianure alluvionali più vulnerabili della regione. Ci sono tanti esempi, ma in realtà le innovazioni ingegneristiche non possono essere affidate solamente alla buona volontà della singola amministrazione comunale o regionale. Serve un intervento forte dei governi. C’è bisogno di una pianificazione di tutto il territorio. Se tutto questo manca viene meno la visione del futuro legato ai cambiamenti climatici e resta di fatto la domanda: quando arriverà il momento di dover spostare l’Italia, dove andremo?



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