Tempestoso, una storia d’altri tempi – Pugliapress

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Carta di credito con fido

Procedura celere

 


La storia di una famiglia e l’origine della tradizione casearia pugliese

In Puglia, nel cuore della Valle d’Itria, precisamente a Martina Franca, risuona un nome divenuto simbolo della tradizione casearia: Tempestoso.

Il capostipite

Sebastiano Tempestoso, nasce nel 1936 (anche se all’anagrafe compare come 1937) e ama definirsi semplicemente “un casaro”. In verità, dietro questa modestia, si cela una notorietà che ha oltrepassato i confini regionali, trasformando la lavorazione del latte in una vera e propria arte riconosciuta a livello nazionale.

Finanziamo agevolati

Contributi per le imprese

 

Oggi, all’età di ottantotto anni, Sebastiano Tempestoso avrebbe potuto godersi la pensione già da parecchi decenni, considerando che iniziò a fare il casaro da ragazzino. Eppure, per lui, questa parola non ha alcun significato, poiché il suo “cuore” — candido come il latte e denso come la burrata — continua a pulsare nel laboratorio, dove ogni giorno si dedica a osservare, insegnare e consigliare i suoi lavoratori.

Il pallone bucato

Conosco Sebastiano da quando ero bambino: negli anni ’70, ed io e i miei amici giocavamo a pallone proprio davanti al suo laboratorio, a Martina Franca.

Spesso il pallone finiva all’interno, fra gli odori di latte fresco e formaggi in lavorazione. A volte ce lo restituivano subito, altre volte c’era un piccolo rimprovero. Fino al fatidico giorno in cui Sebastiano, spazientito, bucò quel Supertela, che all’epoca costava 300 lire, una cifra considerevole per noi ragazzini.

Oggi, approfitto di quel pallone che ci aveva bucato — e che in tutti questi anni gli ho puntualmente ricordato di doverci restituire nuovo — come pretesto per andarlo a trovare a casa sua e farmi raccontare la sua storia.

Suoniamo al campanello. Indovinate un po’ dove? A dieci metri dal suo laboratorio, oggi portato avanti da suo figlio Piero.

Preavvertito della mia visita, Sebastiano mi accoglie con un sorriso che sa di riconciliazione e confessa: “Ricordo quel pallone. Eravate un gruppo di ragazzini scatenati. Un giorno ho perso la pazienza e l’ho bucato. Mi dispiace se ci rimaneste male.” Poi, con uno sguardo complice, aggiunge: “Tra poco ho una sorpresa per te.”

È il 22 Novembre 2024, la mattina di Santa Cecilia, quel giorno che segna una svolta verso l’inverno e, almeno secondo le antiche credenze, porta con sé la musica del cambiamento.

All’interno della casa di Sebastiano Tempestoso si respira un calore che ti coinvolge. Una lampada da tavolo diffonde una luce morbida sulla tappezzeria chiara, riflessa su un grande arazzo alle spalle della coppia.

Microcredito

per le aziende

 

Mi accomodo sul salotto vicino a Sebastiano e alla moglie Margherita, una stanza che unisce armonia e comfort.

Il mobilio antico, la cura nei dettagli, gli oggetti che raccontano una vita intera: foto di famiglia, una statuina in ceramica sul comò, un centrino di pizzo sul bracciolo della poltrona.

Mi soffermo su un quadro dipinto, un ritratto ad olio di Sebastiano e Margherita. Riconosco immediatamente la mano dell’artista. “Quel quadro cì è stato regalato tanti anni fa, da un pittore che abitava difronte al laboratorio”

“E’ stato dipinto da mio zio”, gli rispondo. “Il fratello di mio padre che si firmava Rugiov.. Era un grande pittore”. Sorpresa, stupore, e non poteva esseci un approccio migliore a questa intervista che non dimenticherò.

In questo scenario domestico, spicca la raffinata eleganza dei padroni di casa: Sebastiano, capelli chiari e sguardo deciso, indossa un abito scuro di taglio classico, una camicia bianca inamidata e una cravatta color pastello, perfettamente annodata.

Margherita, con i suoi capelli chiari, un sorriso limpido e occhiali dalla montatura leggera, sfoggia una camicetta nera a pois bianchi sopra una maglia chiara, un piccolo ciondolo al collo. Entrambi hanno un portamento signorile, un’eleganza d’altri tempi, come se oggi fosse un giorno da celebrare con stile e dignità.

La sensazione è quella di un rito di passaggio: siamo qui per raccontare una storia, una storia lunga decenni, fatta di latte, sacrifici, famiglia, amicizia e quella dose di testardaggine che solo i veri pionieri possiedono.

Carta di credito con fido

Procedura celere

 

Fuori è Santa Cecilia, patrona della musica. E forse non è un caso: la musica del suo mestiere – lo sbattere del latte nelle cisterne, il gorgoglio del siero, il rumore delle mani esperte che filano la pasta – oggi risuona come un’eco lontana, una sinfonia di ricordi che ha segnato la vita di Sebastiano.

Intanto, Margherita mi serve un caffè caldo in una tazzina di porcellana sottile. Il profumo si mescola all’aroma del mobilio antico, mentre lei mi sorride con quella grazia che, mi dicono, un tempo conquistava i clienti al bancone del caseificio.

Sebastiano mi sorride mentre con calma si aggiusta il nodo della cravatta, come se volesse mostrarsi al meglio per questa intervista che riprendo con una telecamera.

Il suo braccio destro è leggermente appoggiato sulla spalla di Margherita, un gesto che parla di complicità, protezione, intesa. Una coppia unita, che oggi, nel giorno di Santa Cecilia, sembra pronta a raccontare la propria sinfonia di vita.

La storia Tempestoso

A Sebastiano basta dare un là ed inizia il suo racconto. “Sono nato a Gioia del Colle, in una famiglia numerosa: eravamo in quattordici figli, e a tavola, contando i genitori, potevamo essere in sedici. Tempi duri, la vita non era facile. Alcuni dei miei fratelli non ce l’hanno fatta, si moriva per malattie banali che oggi si curano con facilità.”

La voce di Sebastiano è calma, profonda, come chi ha già fatto pace con il passato. Margherita lo guarda con un sorriso malinconico, lei lo ha conosciuto da ragazza, quando aveva 17 anni e lui 21.

Cessione crediti fiscali

procedure celeri

 

“Non fu amore a prima vista,” ammette, “io ero timidissima, figlia unica, lui mi sembrava così adulto, mi chiedevo se non stesse scherzando con l’età. Ma poi ho capito che non era un gioco. Sebastiano aveva la testa dura e guardava lontano.”

Dopo la scuola, Sebastiano cominciò a lavorare dai fratelli Capurso, a Gioia del Colle. Era una piccola azienda che poi divenne la “Gioiella”, oggi rinomata.

“All’inizio andavo in bicicletta a raccogliere il latte,” racconta, “poi passai al Motom, al Balilla a tre marce, all’1100E con il cambio allo sterzo. Ogni mezzo segnava un progresso. Erano anni in cui tutto si faceva a mano, la mozzarella la si filava con le mani immerse nell’acqua bollente, i nodini non erano ancora diffusi.

Margherita annuisce, guardando amorevolmente il marito: “L’ho visto crescere, imparare, soffrire, ma anche sorridere quando la cagliata veniva perfetta. Era un’arte, non un mestiere come un altro.”

Nei primi quattro anni del matrimonio, Sebastiano fece anche un periodo a Parigi, lavorando per un imprenditore con quattro ristoranti e quattro pizzerie.

“Lì ho capito quanto può essere preziosa la nostra tradizione. All’estero la mozzarella fresca era una sorpresa. Mi dicevo: se portassi questa qualità nella mia terra, potrei far innamorare chiunque.” Margherita sorride: “Parigi per me fu uno shock, ero abituata al mio paese, alle mie abitudini. Ma quella esperienza fece maturare Sebastiano, rafforzò la sua volontà di creare qualcosa di unico.”

Nel 1968 arrivò la svolta: aprì il proprio caseificio a Martina Franca. “Martina allora era vergine come zona di trasformazione,” ci spiega, “io ero convinto che avrei potuto fare la differenza. Non fu facile: mancava l’acqua, la corrente saltava, rischiai di chiudere più volte. Ma grazie anche al sostegno del sindaco Motolese e del dottor Silvestro Chiarelli, andai avanti. A trent’anni ero un imprenditore con poche risorse, ma tanta voglia di riuscire.”

Cessione crediti fiscali

procedure celeri

 

I loro occhi brillano di complicità mentre ricordano. E io rammento quel periodo in cui, ragazzino, giocavo a pallone davanti al laboratorio. Era un modo per stare insieme, la strada era il nostro campo da gioco. Mai avrei immaginato che dietro quelle mura si stava scrivendo la storia di una famiglia, di un marchio che avrebbe attraversato i decenni.

“Ricordo bene quel Supertela,” sorride Sebastiano, “voialtri eravate terribili, sempre a lanciare il pallone dentro. Un giorno, stanco, lo bucammo. Ora mi dispiace, ma allora ero giovane e nervoso. Oggi, cinquant’anni dopo, ho una sorpresa per te.”

Margherita ridacchia: “Non scherza, l’ha preparata da tempo. Ti restituirà il pallone con gli interessi.” Mi lascio incuriosire, ma non è ancora il momento. Prima voglio capire di più della loro evoluzione, della loro famiglia. Sebastiano parla dei figli: Matteo, Piero, Giulia.

“Matteo purtroppo ha dovuto abbandonare l’attività per motivi di salute, ma dà una mano in amministrazione. Piero adesso conduce l’azienda, mentre Giulia gestisce un punto vendita. A Natale ci riuniamo tutti, ho nipoti, pronipoti, una famiglia numerosa e unita. Questo è il mio vero tesoro.”

E mentre parla, noto che Sebastiano non è solo un casaro: è un uomo che ha saputo adattarsi. Ricorda come la qualità del latte fosse diversa: “Allora le mucche erano Brune Alpine, meno produttive ma di latte eccellente. Oggi si usano razze più produttive, i mangimi sono pronti, tutto è cambiato. Ma la passione resta, così come la sfida di garantire la qualità in un mercato globalizzato.”

Margherita interviene con la grazia di chi conosce bene l’argomento: “La buona mozzarella si riconosce assaggiandola senza sale. Se è buona, il sale non serve. Questo è il segreto di Sebastiano, un consiglio che da anni tramanda a chi vuole capire la differenza tra un prodotto mediocre e uno d’eccellenza.”

Parliamo del periodo storico in cui il caseificio Tempestoso si impose come punto di riferimento.

Carta di credito con fido

Procedura celere

 

“Negli anni ’70 è stata dura,” spiega Sebastiano, “l’acqua mancava, la corrente andava e veniva, e io avevo bisogno di condizioni stabili per lavorare il latte. Ma non ho mai mollato. La qualità mi ha salvato, i clienti apprezzavano la differenza. Venivano da tutta la Valle d’Itria, e poi da fuori regione, e poi ancora più lontano.”

Margherita sorride: “Ricordo quando tu ci portavi gli artisti di Portici d’Estate ad assaggiare le nostre mozzarelle.

La prima fu Dalila Di Lazzaro che consegnò anche un premio a Sebastiano,, poi artisti, musicisti, personaggi dello spettacolo, qualche anno fa Peppino Di Capri.

Spesso qualcuno si fermava a comprare formaggi dopo aver sentito parlare di Sebastiano. Una burrata offerta con il cuore e un sorriso, e quel cliente si ricordava di noi per sempre.”

Il nome Tempestoso, dunque, divenne sinonimo di qualità. E quando gli operai formati da Sebastiano aprivano i loro caseifici, creando concorrenza, lui non si arrabbiava troppo:

“È la vita. Tutti coloro che hanno aperto dei caseifici a Martina Franca hanno imparato il mestiere da noi. Io non ho mai rubato operai a nessuno, altri magari lo hanno fatto. Poco importa, chi mi rispetta è rispettato. In fondo, se oggi la Puglia è piena di ottimi caseifici, è anche perché ci sono state scuole e maestri come me capaci di tramandare il mestiere.”

Gli chiedo se abbia ricevuto riconoscimenti istituzionali. “Qualche targa, qualche attestato, niente di eclatante. La più grande soddisfazione è vedere che il mio nome è ancora sinonimo di bontà. Dopo oltre cinquant’anni, la gente cerca i miei prodotti. Mai avuto un problema con la legge, mai un verbale. Tutto in regola. Questo vale più di una medaglia.”

Finanziamenti personali e aziendali

Prestiti immediati

 

Margherita aggiunge: “La nostra è sempre stata una famiglia unita, seria, pulita. Il lavoro non si improvvisa, richiede dedizione, ordine, documenti in regola. Questo ci ha evitato problemi, ci ha fatto dormire sonni tranquilli. Abbiamo attraversato decenni di cambiamenti, ma senza mai scendere a compromessi sulla qualità o sulla legalità.”

Mi ri torna in mente il pallone. Voglio capire di più di quella promessa.

Sebastiano, mi hai detto che oggi mi restituirai il pallone con gli interessi.

Lui ridacchia: “Aspetta, non avere fretta.” Si alza dalla poltrona con calma, anche se l’età è avanzata, e si dirige verso un armadio. Lo apre, e torna con un oggetto avvolto in una retina: “Non è un Supertela, ma un Santos. Ai tuoi tempi era quasi un lusso. Eccolo, per te. Consideralo il risarcimento di quel torto di cinquant’anni fa.”

Prendo il pallone tra le mani, lo osservo. Non è solo un oggetto sportivo, è un ponte tra passato e presente, tra un bambino che giocava per strada e un uomo che ha vissuto un’intera esistenza costruendo un impero caseario.

Il calore che sento adesso è immenso. Ripenso a quei pomeriggi degli anni ’70: ginocchia sbucciate, pallone che rotolava ovunque, e Sebastiano dietro a un bancone di legno a creare mozzarelle.

Allora eravamo mondi diversi, oggi siamo sullo stesso piano: due persone adulte che si rispettano, che ridono di una marachella infantile e che sanno di aver fatto un lungo percorso.

Lentamente, l’intervista assume i toni di una chiacchierata tra due vecchi amici. Sebastiano racconta di come, negli anni, l’azienda si sia strutturata: “Non è più tutto manuale come una volta. Ora ci sono macchinari moderni, fermenti lattici selezionati, controlli rigorosi.

Ma bisogna saperli usare, non basta la tecnologia se non hai l’esperienza e il palato allenato. Prima di tutto c’è la materia prima: se il latte non è buono, non c’è macchina che salvi il prodotto. È come il vino: se l’uva è scadente, puoi essere il miglior enologo, ma farai un vino mediocre.”

Interviene Margherita “Ci vuole sensibilità. Sebastiano riconosceva la qualità del latte da un’annusata, da un sorso. Era una magia.

E questa magia ha contagiato anche Piero, che oggi porta avanti l’attività. Giulia, con il suo punto vendita, accoglie i clienti come facevo io, con un sorriso sincero e un consiglio. Matteo resta parte della famiglia, sempre. Non tutti i figli seguono la stessa strada, ma l’importante è restare uniti.

Mi torna in mente la giornata di oggi, Santa Cecilia (Siamo a Novembre).

Sapete che Santa Cecilia è la patrona della musica

Sebastiano sorride: “Lo so. Ed è divertente, perché anche il nostro mestiere aveva un sottofondo musicale. Il rumore del latte che si mescola, lo strizzare della cagliata, il ticchettio degli orologi al muro, le chiacchiere degli operai. Era una sinfonia quotidiana. Oggi è cambiata, forse è più silenziosa, ma la sostanza rimane: trasformare il latte in formaggio è un’arte, e ogni arte ha una sua melodia.”

Margherita pensa alle mani che filavano la pasta come fossero violinisti che accarezzano le corde. “Sebastiano era un maestro di quell’orchestra invisibile. E il risultato finale, la mozzarella, era la sua aria più bella. Se le persone assaggiandola trovavano piacere, era come un applauso finale.”

Chiedo se c’è qualcosa che cambierebbero, tornando indietro. Sebastiano scuote la testa: “Col senno di poi, rifarei tutto. Ogni difficoltà mi ha insegnato qualcosa. Ho conosciuto persone che mi hanno aiutato, altre che mi hanno ostacolato, ma senza quei passaggi non sarei qui, con questa cravatta elegante, a raccontarti la mia storia.”

Margherita sorride e lo guarda come se fosse il primo giorno che lo incontra: “Io, tornando indietro, forse avrei avuto meno paura. Ero figlia unica, spaventata dal mondo. Ma grazie a Sebastiano, ho capito che le radici sono forti e le ali possono portarti lontano. Oggi sono fiera di aver viaggiato, vissuto, partecipato a questa avventura.”

La storia dei Tempestoso non è solo una storia di un’azienda, ma di una famiglia che ha saputo integrare tradizione e modernità.

Oggi i giovani hanno altre aspirazioni, il mondo è grande, la tecnologia offre mille possibilità.

Pensi che ci sarà qualcuno che seguirà le tue orme?

Sebastiano sospira: “Non lo so. Forse sì, forse no. L’importante è che chiunque prenda in mano il timone lo faccia con lo stesso rispetto. Piero è bravo, Giulia ha il contatto umano giusto. Se un giorno i nipoti o i pronipoti vorranno continuare, le porte sono aperte. Se preferiranno fare altro, non sarò io a impedirlo. L’azienda è un’eredità, ma non un obbligo.”

In questo momento, mi sembra di vedere davanti a me non solo una coppia di anziani eleganti, ma due figure che rappresentano un ponte tra passato e futuro, radici e ali, terra e latte, mani e cuore. Il giorno di Santa Cecilia, con il suo freddo esterno, appare come un contrasto perfetto: fuori c’è il rigore dell’inverno che avanza, dentro il calore di una storia umana che scalda l’anima.

La conversazione va avanti per un tempo che non saprei misurare. Parliamo di come sia cambiata Martina Franca, del turismo, dei nuovi locali, della gente che va e viene.

Mi viene da pensare a tutte le storie simili che non vengono mai raccontate. Artigiani, contadini, pastori, uomini e donne che hanno fatto la storia della nostra gastronomia senza finire sotto i riflettori dei media.

Oggi, grazie a questa chiacchierata, posso rendere omaggio a uno di loro. “Sembri un personaggio uscito da un romanzo“, dico a Sebastiano, “con la tua cravatta, i tuoi ricordi, il pallone restituito. Forse sei un simbolo di qualcosa che non vogliamo perdere”.

Lui sorride e stringe la mano di Margherita: “Non so se sono un simbolo, ma so che ho fatto il possibile per vivere con dignità. Ho dato lavoro, ho creato prodotti onesti, ho rispettato le leggi. Ho cresciuto i miei figli con la convinzione che l’onestà paga. Oggi, vedere che il mio nome è ancora associato a quel gusto genuino, è la mia più grande vittoria.”

Ci avviciniamo alla conclusione della nostra chiacchierata. Ho raccolto tante informazioni, emozioni, suggerimenti, segreti che mi permetteranno di pubblicare l’intervista su nostro Puglia Press Mag di Dicembre Il giornale che il prossimo anno festeggia 25 anni.

Sebastiano, con la sua abitudine all’ordine, vuole lasciare un messaggio finale: “Se devo dire qualcosa a chi leggerà larticolo che scriverai, dico: assaggiate le cose senza coprirle di sale. Imparate a distinguere un prodotto buono dalla sua materia prima. Rispettate chi lavora, chi produce. Non cercate sempre lo sconto, la scorciatoia. Il lavoro dietro ogni alimento è immenso e merita considerazione.”

Esco dalla casa con il pallone sottobraccio. È ora di pranzo. Mentre mi allontano, ringrazio il destino per avermi concesso questa conversazione.

Oggi, in un giorno freddo con pochi raggi di sole, ho scoperto un calore inesauribile nella casa dei Tempestoso.

È la dimostrazione che, nonostante tutto, c’è ancora un posto per l’eleganza d’altri tempi, per il rispetto, per il gusto genuino delle cose fatte bene e per la musica interiore che accompagna chi ha vissuto con passione.

Così si chiude questo lungo racconto, tra passato e presente, tra latte e parole, tra un pallone bucato e uno nuovo fiammante, tra un casaro che si definisce “vecchio” ma che in realtà è più giovane di molti altri nello spirito, e sua moglie Margherita, custodendo insieme una storia di amore, famiglia e lavoro, degna di essere ricordata e tramandata della quale sono onorato di esserne stato testimone


Visto da: 954




Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link