Musk, l’Italia e la tecnocrazia: quali sono i rischi

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“La fornitura di servizi di telecomunicazioni sicure per le istituzioni” – notizia lanciata da Bloomberg, smentita da Palazzo Chigi (per quanto riguarda la firma dell’intesa con Space X di Elon Musk per l’uso dell’apparato di comunicazione satellitare Starlink) con la conferma di una discussione in corso che prenderebbe in considerazione anche delle alternative – ripropone all’attualità politica il tema del tecnopotere. Certo non nuovo, ma che assume oggi particolare rilievo con l’applicazione dei sistemi di intelligenza artificiale. Con sempre nuove prospettive e altrettanto pressanti interrogativi inerenti alla tutela della democrazia e dei diritti fondamentali.

Il progetto in questione garantirebbe all’Italia per cinque anni, con un costo di 1,5 miliardi di euro, la fornitura di servizi avanzati di sicurezza nelle telecomunicazioni. Un pacchetto completo di connessione crittografata di alto livello a uso di governo, esercito e forze dell’ordine.

Pur tralasciando le molteplici e assolutamente non secondarie ripercussioni riconducibili alla sicurezza e alla privacy, risulta opportuna una qualche riflessione di sistema sul rapporto tra innovazioni tecnologiche, economia e potere.  

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Secondo le prime stime per il 2025, il mercato dell’IA è destinato a crescere del 26% circa in tutto il mondo. Per Gartner for Information Technology (IT) Executives, l’IA trainerà ancor più la spesa per le IT in Europa raggiungendo nel 2025 ben 1.280 miliardi di dollari. Un +8,7% rispetto al 2024, che dovrebbe chiudersi a 1.180 miliardi di dollari. Con una prevalenza degli investimenti soprattutto per le IA generative nelle sue varie applicazioni e finanziamenti aumentati vertiginosamente secondo l’Artificial Intelligence Index Report della Standford University. La quota di mercato più grande per settore dell’IA è la sanità che già rappresenta il 15,70% seguito da finanza e produzione per il 13,65%. 

Risulta evidente il considerevole accentramento di potere economico nelle mani delle c.d. Magnificent Seven: Alphabet (Google), Amazon, Apple, Meta (Facebook e Instagram, WhatsApp e Messenger nonché Oculus Rift), Microsoft, Nvidia, Tesla. Una vera e propria élite di aziende che dominano il mercato globale. Con una ingente disponibilità di risorse e potere di mercato tale da consentire enormi investimenti. Come nel caso di Microsoft, tra i principali partner commerciali di OpenAI, che ha annunciato un piano per ottenere energia elettrica necessaria ai propri data centers con la riapertura di uno dei reattori della centrale nucleare di Three Mile Island. Impianto in Pennsylvania diventato famoso alla fine degli anni Settanta per il più grave incidente nucleare nella storia degli Stati Uniti.

Over the top Elon Musk. Con i suoi asset principali (Tesla, SpaceX e xAI noto soprattutto per il chatbot Grok) è la persona più ricca al mondo. Un patrimonio stimato di 428 miliardi di dollari secondo Forbes. SpaceX risulta la società privata di maggiore valore al mondo, davanti a ByteDance (società madre di TikTok) e a OpenAI (sviluppatore di ChatGPT). Nella classifica dei supermiliardari, dopo Musk, che vanta un patrimonio superiore di circa 230 miliardi di dollari, segue Jeff Bezos, fondatore e presidente di Amazon.

Sul versante dell’Europa, invece, si rileva un gap tecnologico rispetto ad altri Stati come Stati Uniti e Cina. Nel Rapporto Draghi sulla competitività europea in relazione alle innovazioni tecnologiche dei sistemi di IA, si segnala che dal 2017 il 73% dei modelli di IA è stato sviluppato negli Stati Uniti. Considerando le principali start-up di IA a livello mondiale, il 61% dei finanziamenti globali va a imprese nate in Usa, il 17% a quelle cinesi e solo il 6% a quelle dell’Ue. Di queste ultime un terzo è migrata poi negli Stati Uniti per poter incontrare un mercato dei capitali in grado di finanziarne lo sviluppo.

Emerge una questione di sostenibilità dal punto di vista etico e sociopolitico. «A fronte di operatori internazionali svincolati da ogni patria, la cui potenza finanziaria supera oggi quella di Stati di media dimensione, e la cui gestione di servizi essenziali sfiora, sovente, una condizione monopolistica». Come ha richiamato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla XVII Conferenza delle Ambasciatrici e degli Ambasciatori d’Italia svolta il 16 dicembre 2024 e ribadito, il giorno successivo, alla Cerimonia per lo scambio degli auguri di fine anno con i rappresentanti delle istituzioni, delle forze politiche e della società civile. «La concentrazione in pochissime mani di enormi capitali e del potere tecnologico, così come il controllo accentrato dei dati – definibili come il nuovo petrolio dell’era digitale – determinano una condizione di grave rischio. Gli effetti sono evidenti. Pochi soggetti – non uno soltanto, come ci si azzarda a interpretare – con immense disponibilità finanziarie […]. Grandi società che dettano le loro condizioni ai mercati e – al di sopra dei confini e della autorità degli Stati e delle Organizzazioni internazionali – tendono a sottrarsi a qualsiasi regolamentazione».

Insomma, pochi che hanno la possibilità di reggere una sorta di intelligenza globale del pianeta (global repository of intelligence). Un monopolio di imprese con un possesso illimitato di dati sensibili.

Una vera e propria ingegneria sociale tecnocratica. È il “capitalismo della sorveglianza” di Shosana Zuboff. Ci si appropria dell’esperienza umana usandola come materia prima da trasformare in dati sui comportamenti, accrescendo di conseguenza e continuamente i mezzi per la loro modifica. Un orizzonte in cui avremo meno potere e controllo. Nuove fonti d’ineguaglianza divideranno le persone. In pochi saranno soggetti e in tanti oggetti. Una visione che minaccia delicati sistemi di natura sociale come la democrazia e la capacità di ogni persona di elaborare un giudizio morale autonomo. «Lungo una preoccupante deriva che, secondo molti analisti politici, sta portando il pubblico a non ritenere più la democrazia una necessità inviolabile».

È la tecnocrazia dove algoritmi e dominio dei dati sostituiscono i processi decisionali democratici. Da cui sorgono sostanziali interrogativi. Come rendere questo potere computazionale compatibile e addomesticabile con le istituzioni democratiche? Come evitare un’oligarchia del cloud? Quale violazione dell’autonomia individuale e del diritto all’autodeterminazione, principi fondamentali delle società democratiche? Potremo ancora parlare di “diritto al futuro”?

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Compiti non certo facili vista la strabiliante velocità delle innovazioni tecnologiche, da parte di alcune piattaforme, a fronte delle lentezze burocratiche di altri. Basta richiamare, appunto, la rete satellitare Starlink di Elon Musk che conta attualmente ben 6176 satelliti in orbita che, a regime, diventeranno 35 mila. A fronte di tale potenza, l’Unione Europea programma una rete di 290 satelliti, denominata Iris2. Il contratto di concessione di 12 anni stabilisce un partenariato pubblico-privato per abilitare servizi di connettività sia governativi che commerciali entro il 2030. Tempi, per il vero, troppo lunghi! Tenendo conto che i futuri finanziamenti dopo il 2027 saranno soggetti all’adozione dei programmi da parte del Parlamento europeo e del Consiglio insieme alla disponibilità degli stanziamenti.

Risulta pertanto imprescindibile il richiamo alla sostenibilità digitale. Che, per dirlo con P. Paolo Benanti e Sebastiano Maffettone, «significa non mettere la capacità tecnica al centro dell’attenzione, bensì tenere l’uomo al centro della riflessione e come fine che qualifica il progresso. Abbiamo bisogno di un fondamento algoretico della democrazia digitale. E perché ci sia libertà abbiamo bisogno che la coscienza e le coscienze interroghino la tecnica orientando lo sviluppo verso il bene comune». Bilanciando, appunto nella cooperazione, innovazione e regolamentazione.

E proprio l’esigenza di cooperazione – servendosi delle tecnologie digitali per ampliarle, non per restringerle – richiede uno sforzo per un’etica applicata ai sistemi di IA. Tutelando diritti fondamentali e senza voler con questo significare un irrealistico neo-luddismo. Né tantomeno accondiscendere la polarizzazione tra “apocalittici e integrati”. Oppure quella tra tecnofobi e tecnofili. Ovvero tra coloro che hanno nei confronti delle innovazioni tecnologiche un atteggiamento del tutto critico tale da delineare un futuro distopico sottomesso alla tecnologia e gli altri, invece, che vedono nei sistemi di IA la soluzione di ogni problema con una sorta di totalitaria e fideistica delega tecnologica.

Posizioni entrambe che, nella loro radicalità, non rilevano l’obiettivo prioritario e proprio dello spazio democratico: umanocentrismo nella sostenibilità digitale. Ecco le key words di ineludibile riferimento per il nuovo orizzonte della, così definita, democrazia computazionale. Per dare una risposta,  come rileva P. Paolo Benanti nel libro “Il crollo di Babele”, ad «una questione da affrontare che sarà come rendere democratico il potere centralizzato del cloud e dell’IA, evitando che la democrazia computazionale collassi in un’oligarchia del cloud

Credo che l’attuale confronto sulla “fornitura di servizi di telecomunicazioni sicure per le istituzioni” possa rappresentare anche una proficua occasione per un’assunzione di responsabilità comunitaria. Una presa di coscienza nella consapevolezza che una totale e acritica delega tecnologica comportano, senza alcun dubbio, un vulnus fatale per la democrazia. 



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