1. Più precarietà
Con il decreto legge Milleproroghe di fine 2024 (Dl 202/2024 pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 27 dicembre), si estende al 31 dicembre 2025 il periodo entro cui imprenditori e lavoratori possono stipulare un contratto a termine superiore ai 12 mesi “per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva” senza necessità di una causale stringente (per quei contratti nazionali che non regolamentino la fattispecie). Per i contratti a termine di durata inferiore ai 12 mesi il Decreto Lavoro, convertito nella legge 85/2023, già prevede che non ci sia bisogno di alcuna causale.
Risultato: una misura che significa più libertà per l’imprenditore di assumere a tempo semplicemente per usufruire di manodopera “flessibile” e più precarietà per il lavoratore.
2. “Se non hanno stipendio che mangino mance”
La legge di Bilancio 2025 (art. 1, comma 520, della Legge 207/2024) amplia il regime di detassazione delle mance dei lavoratori del settore turistico-alberghiero e della ristorazione. I dipendenti che hanno un reddito inferiore ai 75.000€ annui (praticamente tutti) potranno vedere tassate al 5% – anziché all’aliquota Irpef – le mance fino al 30% del reddito complessivo annuo. La misura esisteva già nel 2023 ed è stata un fallimento, checché ne dicano governo e imprenditori. Su 1.800.000 lavoratori del settore, infatti, solo 60mila hanno approfittato della detassazione (l’88% aveva redditi inferiori ai 30mila euro). Il 3,3% del totale dei lavoratori. In effetti, chi ha mai visto una busta paga in cui sia pagata la voce “mance”?
Risultato: una misura inutile, dirà qualcuno. In realtà rischia di essere una misura pericolosa: “Alcuni imprenditori potrebbero essere incoraggiati a trasferire sotto la voce ‘mance’ fino ad un 25% delle buste paghe dei dipendenti risparmiando sulle tasse essendo questa quota parte tassata solo il 5%”. In un settore che nel 2023, secondo un report dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro di aprile 2024, ha fatto registrare un tasso di irregolarità del 77% non è proprio una preoccupazione stramba.
3. Dopo quella contro i percettori del reddito di cittadinanza, ecco la propaganda e l’attacco ai ‘furbetti’ della Naspi
La legge di Bilancio 2025 introduce una stretta sulla Naspi, cioè sull’indennità di disoccupazione. Se fino a ieri, infatti, spettava a chiunque avesse perso involontariamente il lavoro (per licenziamento, scadenza del contratto a termine non rinnovato, dimissioni per giusta causa), purché avesse versato almeno 13 settimane di contributi nei 4 anni precedenti, dal 2025 le cose cambiano. Chi si fosse dimesso o avesse rescisso consensualmente un rapporto di lavoro nei 12 mesi precedenti alla richiesta della Naspi e avesse poi trovato un nuovo impiego, stavolta interrotto con licenziamento (o comunque involontariamente), dovrà totalizzare 13 settimane di contributi dal momento delle dimissioni col precedente datore di lavoro.
Vuol dire che se un lavoratore perdesse il lavoro per mancato rinnovo di un contratto di 3 mesi, dopo essersi dimesso da un precedente impiego, non avrebbe diritto alla Naspi.
Risultato: peggiorano le condizioni di lavoratori e disoccupati, cui sarà reso più difficile l’accesso alla Naspi, dietro la retorica della guerra ai “furbetti”. Tanto che addirittura il quotidiano della Confindustria scrive che “c’è da chiedersi se l’esigenza di combattere un abuso può arrivare al punto da determinare un trattamento iniquo per tutte quelle persone che […] provano una nuova avventura lavorativa senza successo” (Il Sole 24 Ore, 3 gennaio 2025).
4. Welcome back dimissioni “in bianco”
Il Collegato Lavoro (legge 203/2024, approvata a dicembre 2024) stravolge la disciplina sulle dimissioni e reintroduce, di fatto, quelle “in bianco”. Se un lavoratore si assenta dal lavoro per 15 giorni (o per il termine previsto dal Ccnl di settore) sarà considerato dimissionario “de facto”. Fino a oggi per considerare un lavoratore dimissionario c’era la necessità che avesse espresso esplicitamente la sua volontà, tramite apposita procedura telematica. La norma, introdotta nel 2015, mirava a debellare la piaga delle “dimissioni in bianco”: al momento dell’assunzione alcuni imprenditori facevano firmare un foglio in bianco, che sarebbe poi riapparso come dimissioni del dipendente al momento opportuno, così da potersi liberare del lavoratore senza dover ricorrere al licenziamento.
Risultato: il dipendente non potrà accedere alla Naspi. Un ulteriore attacco ai lavoratori, che si capisce meglio con due esempi concreti:
a. Lavoratore licenziato oralmente: succede spesso che il lavoratore venga licenziato oralmente. “Nullo”, secondo la giurisprudenza. Eppure non sono rari i casi in cui effettivamente il dipendente non si presenti più al lavoro. Con la nuova norma del Collegato Lavoro, se l’assenza si protrae per 15 giorni, l’imprenditore potrà considerarlo “dimissionario” ed evitare dunque il problema del suo licenziamento (risparmiando anche sul ticket licenziamento);
b. Lavoratore lasciato a casa dopo la fine di un appalto: poniamo il caso in cui un’azienda termini i lavori legati a uno specifico appalto. Può accadere che l’imprenditore chieda ai dipendenti di pazientare qualche giorno, in attesa di una ricollocazione. Dopo 15 giorni quei lavoratori saranno considerati dimissionari, il rapporto di lavoro rescisso.
Solo chi non ha idea di come funzionino nella vita reale i rapporti di lavoro può credere siano solo esempi. Sono, purtroppo, casi concreti. In un quadro complessivo in cui il centrosinistra ha da tempo spianato il terreno all’ultradestra, altra faccia del bipolarismo liberista, l’ulteriore spostamento del potere dai lavoratori agli imprenditori si gioca anche nelle “piccole” misure quotidiane che spesso passano inosservate e nascoste.
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