Cattolici in politica? La fondazione di “Comunità democratica”

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Cattolici in politica? La fondazione di “Comunità democratica” nel centro-sinistra

Al cospetto della notizia della fondazione di “Comunità democratica” a Milano il 18 gennaio prossimo, promossa da Del Rio, Prodi, Castagnetti, Ruffini per dare un profilo più visibile alla presenza dei cattolici nel PD, viene da chiedersi: “Cattolici, chi?!”

L’interrogativo é solo apparentemente sprezzante. Il ruolo dei cattolici nella storia d’Italia e nella costruzione della Repubblica è noto. Tuttavia, quell’interrogativo è legittimo.

Di quali cattolici si parla? Di quelli di ultradestra, di destra, di centro, di sinistra, di ultrasinistra? Il ventaglio è piuttosto ampio. Qui sono i cattolici di centro-sinistra.

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Partendo dal Vangelo e dall’insegnamento della Chiesa, i cattolici hanno ormai tratto opzioni politiche diversificate e persino confliggenti, sia pure tutte dentro il comune alveo democratico.

Già, quale alveo democratico? L’abitudine al potere e l’inerzia delle idee hanno impedito ai politici cattolici di prendere atto che oggi la democrazia italiana soffre di una crisi esistenziale profonda.

Solo affrontando la quale, un soggetto ideal-culturale diventa soggetto politico. Democrazia in crisi, non certo nel senso in cui si vocifera rumorosamente nelle piazze mediatiche e in quelle delle nostre città, per il quale il Governo Meloni sarebbe una copia, fortunatamente malriuscita, del Ventennio.

Si tratta, intanto, è una crisi di reputazione, se la metà degli aventi diritto al voto non intende più farne uso. Ma neppure l’altra metà è soddisfatta. Se, infatti, dall’analisi del comportamento elettorale, passiamo a quella delle istituzioni politiche, emergono due patologie.

La prima: la crisi di rappresentanza. Vero è che in forza del Rosatellum i cittadini possono ancora scegliere personalmente i propri rappresentanti, ma solo nella misura del 37,5% dei seggi, a peggioramento del Mattarellum: alla Camera 147 deputati su 392,  al Senato 74 senatori su 196.

Ma la scelta reale degli elettori è solo quella di un partito. Che cosa avvenga nella scatola nera del quale non è dato loro di sapere. Neppure gli iscritti al partito lo sanno. Intanto però qualcosa è accaduto in quella scatola: si è imposta un’oligarchia, che ha al suo vertice un leader. Si vota il leader.

Il quale presenta all’elettore il pacchetto bell’e confezionato dei suoi preferiti tanto nei Collegi uninominali quanto nella Lista.

Così il leader è divenuto padrone assoluto dei Gruppi parlamentari. Il potere reale sta nel leader di partito e nei Gruppi parlamentari, non più nella segreteria del partito. E’ sempre stato così? No. Nel sistema della prima Repubblica le segreterie di partito rispondevano ad una “democrazia di partito”. 

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Che non era granché, come fece osservare a suo tempo Giovanni Sartori, ma produceva un effetto-specchio democratico complessivo.

Posta come sfida e come obbiettivo da Craxi negli anni ’80, la governabilità è andata complessivamente svanendo.

“Governabilità” significa per i cittadini capacità del governo politico di fornire sanità, scuola, trasporti, fisco, sicurezza. Si tratta di far funzionare lo Stato. Ora, questo Stato pare funzionare sempre meno. Donde l’astensionismo, la disaffezione, la tentazione di scorciatoie illiberali, le illusioni sovraniste, i populismi autoritari…

E’ tutto troppo noto. Si potrebbe persino estremizzare, non è la democrazia che è in crisi, è lo Stato. Nella costruzione di una nuova statualità repubblicana il sistema politico della Costituente ha fallito.

L’amministrazione, il sistema fiscale, la giustizia civile, il sistema educativo, il sistema giudiziario, le Regioni… sono le pagine del fallimento. Questo Stato appare irriformabile. E’ qui che il cattolicesimo politico, e non solo, è convocato.

Ed è qui che si è costretti a constatare che mentre il cattolicesimo socio-culturale fa il proprio mestiere nella società civile, quello politico non lo fa nelle istituzioni. 

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Ciò che stupisce è la sua incomprensione del carattere drammatico della condizione dell’Italia, quasi che perdurasse uno sguardo democristiano-doroteo d’antan.

Pare che la colpa della crisi democratica sia, nell’ordine, del berlusconismo, del populismo, del sovranismo, del nazionalismo.

Si tratta di effetti che hanno rinforzato la causa: l’incapacità del sistema politico democratico, post-liberale e post-fascista, di cambiare uno Stato, che arriva dall’800. Segnale e sintomo è la cultura istituzionale conservatrice, che, rifiutando il terreno della discussione sul premierato, sull’autonomia differenziata, sulla riforma della giustizia, approda al centralismo statalistico, ad un regionalismo debole e, al Sud, parassitario e clientelare, all’impotenza di governo e, finalmente, alla fuga dei cittadini dalla Repubblica.

Giacché é evidente che il destino della Repubblica e il funzionamento concreto dello Stato sono intrecciati. 

Senza cogliere questo nesso, il cattolicesimo politico si ritrova nell’angolo morto della società e della politica.

Eppure ai credenti è data una risorsa rivoluzionaria che altri non hanno: è la “riserva escatologica”, che, come spiega Papa Francesco, “conduce ad un impegno attento, critico e liberatorio nel tempo presente”.

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Insomma, tra il messianismo dell’attesa e l’accettazione supina del presente, tertium datur: “La tensione fra gli ideali di questo Regno e la provvisorietà di questo mondo spinge il credente a fare la sua parte per un miglioramento del presente”.

A meno che quella riserva si sia esaurita, sostituita da un esangue cristianesimo culturale. 



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