Ponte sullo Stretto: perché gli organi ambientalisti più autorevoli cercano di bloccarlo legalmente

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Il ponte sullo Stretto è un progetto controverso. Si è parlato molto di ricadute economiche, di reti ferroviarie e di rischi sismici ma forse sarà il suo impatto sull’ambiente, finora passato quasi in secondo piano, a fermare la sua realizzazione: Legambiente, LIPU e WWF hanno presentato un ricorso al TAR nel tentativo di impedire il via libera ai lavori.

Stretto di Messina | © Alessandro Grussu | Flickr

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Stretto di Messina | © Alessandro Grussu | Flickr

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Le grandi opere fanno sempre discutere

Dighe, aeroporti, ponti e autostrade comportano una vera riscrittura del territorio dal punto di vista geografico, umano e naturalistico. Fino alla metà del secolo scorso si acclamava la diga più grande, il grattacielo più alto, la galleria o il ponte più lunghi. Senza curarsi troppo del fatto che spesso la loro realizzazione aveva imposto lo sfollamento di migliaia di famiglie, strappato terreni all’agricoltura, stravolto il corso di fiumi, sovvertito interi ecosistemi. I morti sul lavoro erano eroi e i popoli si sentivano partecipi della marcia inarrestabile verso il progresso. I record e i primati rinvigorivano l’orgoglio nazionale e ridistribuivano un senso di potenza, anche quella un po’ freudiana. Oggi le cose stanno diversamente. Stanno diversamente perché, abbiamo acquisito conoscenze e maturato una sensibilità, per il sociale e l’ambiente, che prima non avevamo. Ci siamo arrivati anche grazie ai collegamenti più rapidi, all’energia e alle riserve d’acqua immagazzinate dalle dighe. Se non avessimo costruito i grattacieli le città avrebbero divorato ancora più terreni agricoli e foreste di quanto sia già stato fatto. Con il progresso abbiamo accettato, più o meno consapevolmente, un pacchetto che conteneva molte incognite. Nel pacchetto c’erano i personal computer, gli smartphone e lo starsene seduti comodi in un treno che in tre ore collega Londra a Parigi passando sotto il Canale della Manica, ma anche danni irreparabili alle società umane e al pianeta. È stato soprattutto guardando agli errori del passato, comunque forti delle conoscenze apportate dal progresso, che ci siamo imposti delle regole precise per valutare con estrema cautela l’impatto delle grandi opere.

Costi benefici

Nella realizzazione delle grandi opere, come per quelle che mettono in sicurezza una determinata area, vale il principio costi/benefici. Un principio che deve tenere conto anche dei costi sostenuti dall’ambiente. Davanti a un grande beneficio per la collettività, come per esempio mettere in sicurezza un territorio da alluvioni, frane o valanghe è ritenuto accettabile scavalcare quando non esiste alternativa anche i vincoli ambientali, elaborando però piani di ripristino efficaci. Le dighe di vecchia concezione hanno interrotto le migrazioni e quindi le capacità di riprodursi di innumerevoli specie, anche di grande valore commerciale – come i salmoni – mettendo a repentaglio la biodiversità di interi sistemi fluviali. Per rimediare, con risultati parziali, in molti casi si trasportano esemplari vivi da valle a monte e viceversa. Anche con elicotteri, affrontando dei costi enormi. Per la costruzione del ponte sullo Stretto sono state prodotte delle valutazioni di impatto ambientale e presentati progetti di ripristino. La Commissione VIA (Valutazione Impatto Ambientale) legge le carte e dà parere favorevole. Ovvero: si posi la prima pietra. Legambiente, LIPU e WWF fanno ricorso al TAR del Lazio. E non solo loro. In quel rapporto ci sono troppe cose che non tornano.

Migrazioni | Foto di Vidmulia | GoodFon.com

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Migrazioni | Foto di Vidmulia | GoodFon.com

Colli di bottiglia

Bottleneck, così gli ornitologi chiamano i punti in cui convergono gli uccelli durante la migrazione. Spesso corrispondo agli stretti. Lo Stretto di Messina, il Bosforo e Gibilterra sono i più importanti bottleneck al mondo. Falchi, cicogne e gru lasciano stagionalmente l’Africa per nidificare in Nordeuropa. Quello di Messina sembra il più trafficato e il più ricco di biodiversità. Cicogne, gru e falchi usano quel braccio di mare di soli tre chilometri per un attraversamento verso il continente. Il fenomeno è così importante che i Carabinieri, che hanno recentemente assorbito il Corpo Forestale dello Stato, presidiano la terraferma ai due lati dello Stretto per garantire la sicurezza degli uccelli migratori. Lo stretto di Messina, sotto questo aspetto, è ZPS, zona di protezione speciale. Lo stabilisce Rete Natura 2000, un organismo del Ministero dell’Ambiente.

“Il Ponte sullo Stretto di Messina rimane un progetto dall’impatto ambientale gravissimo e irreversibile, non mitigabile né compensabile come ammette la stessa Commissione VIA che, relativamente alla Valutazione d’Incidenza , evidenzia: “Le medesime analisi del proponente conducono a ritenere che per alcuni siti della Rete Natura 2000 non è possibile concludere che il progetto non determinerà incidenze significative, ovvero permane un margine di incertezza che, per il principio di precauzione, non permette di escludere effetti negativi su detti siti” (pag. 635 del Parere).”

Dai siti di siti di Legambiente LIPU e WWF, comunicato unificato.

Il WWF Italia ha anche intenzione di rivolgersi all’Unione Europea per segnalare le seguenti irregolarità riscontrate: l’assegnazione dell’opera senza gara di appalto, la violazione delle direttive “Habitat e Uccelli”, delle normative su Rete Natura 2000 , la mancata applicazione della procedura di Valutazione Ambientale Strategica.

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Cosa rischia l’ambiente marino

In quei tre chilometri di mare si congiungono i bacini dell’Adriatico e dello Ionio con quello del Tirreno, lo Stretto è anche un’arteria importante per il traffico di specie marine. Anche quelle cui non dedicano profili sui social ma che sono alla base della rete alimentare. Impeccabilmente le osservazioni iniziano proprio da lì, dal plancton: suscettibile alle polveri, alle microplastiche e agli effetti luce-ombra.

“La Commissione prescrive aggiornamenti di monitoraggi e analisi sulle comunità planctoniche e sui movimenti di pesci e cetacei per un anno intero ante operam. La Commissione chiede, inoltre, interventi di restauro ecologico attivo di Pinna nobilis, Posidonia oceanica e coralligeni assumendoli, evidentemente, come compensazione e mitigazione. Ma la definizione dell’intervento e delle aree dove questo si ritiene possibile è un elemento di valutazione del progetto definitivo e non può essere una disposizione per quello esecutivo. In pratica, si ipotizza una compensazione di cui si sa pochissimo, tant’è che rispetto alla Posidonia la Commissione chiede di identificare e caratterizzare le praterie riceventi, la descrizione del materiale biologico che si intende utilizzare, il dettaglio di prelievo della prateria donatrice, con trapianti pilota della durata di almeno un anno. Ma come fa la Commissione, in assenza di questi dati, a stabilire che gli interventi proposti costituiscano una compensazione ambientale?”

Laminaria | © Keith DP Wilson | Flickr

Legambiente, WWF etc.

Chiamarle osservazioni è puro eufemismo. I toni ed i contenuti sono quelli di una protesta forte, decisa, documentata. Tra le specie che non sono seguite sui social c’è la posidonia oceanica, ed è proprio tra i vegetali acquatici che c’è anche una novità: nello Stretto di Messina dei subacquei tecnici hanno scoperto la presenza di un’alga particolare, la Laminaria ochroleuca, un’alga con proprietà farmaceutiche anticancro. Lo riporta InDEPTH, magazine subacqueo tra i più autorevoli al mondo in questo articolo. Ora arriviamo alle specie che hanno profili sui social, come i cetacei. Probabilmente solo gli addetti ai lavori sanno che le compagnie di ricerca petrografica devono, per una norma internazionale, ospitare a bordo i cetacean observer, specialisti che hanno il potere di fermare i lavori – e la nave stessa – quando le attività potrebbero disturbare un gruppo di cetacei. Perché? Perché sono estremamente sensibili al rumore. Si ritiene che sia proprio il rumore la causa di quasi tutti gli spiaggiamenti di massa in quanto usano l’udito per navigare e riconoscere le coste e i bassi fondali. Se il loro udito viene compromesso, in sostanza, muoiono.

Esperienze del passato

Il canale di Suez e la diga di Hoover fanno scuola. Il primo ha favorito il passaggio di specie invasive dette ‘lessepsiane’ (da Ferdinand de Lesseps, patron del canale di Suez), specie del Mar Rosso che si sono installate nel Mediterraneo le quali, con l’aiutino del riscaldamento dei mari, hanno attecchito più che bene. Con conseguenze devastanti. La seconda, la diga Hoover, sempre con l’aiutino del riscaldamento globale, ha gradualmente prosciugato il fiume Colorado fino al punto di rendere il suo delta un rigagnolo salmastro. Quella diga ha talmente stravolto gli ecosistemi che in Messico, per una cascata di eventi, s’è scatenata una guerra, con le autorità e SeaShepherd da una parte ed i pescatori e i narcos dall’altra: la guerra per la vaquita. Entrambi i progetti sono costati migliaia di vittime sul lavoro. Sì, erano altri tempi. Non avevamo le regole, né le conoscenze di oggi. Stavamo scoprendo un nuovo modo di percepire il mondo, un mondo che ci sembrava plasmabile a nostra immagine e somiglianza. Un mondo dove il limite di fattibilità di un’opera era puramente tecnico e logistico. In questo caso il limite tecnico è una sfida enorme. Il ponte sullo Stretto sarebbe il ponte sospeso, o a campata unica, più lungo del mondo, per di più in una delle zone più sismiche del mondo, una zona sferzata da venti con picchi che superano i 200 km/h. I giapponesi hanno brillantemente superato gravi problemi sismici, ma sappiamo anche che hanno declassato le linee ad alta velocità su certi ponti sospesi e certi viadotti.

Acqua sotto i ponti

Dal punto di vista logistico sappiamo che costruire significa usare tanta acqua. È la prima nozione che viene trasmessa nei corsi di ingegneria civile e tecnologia delle costruzioni: nella lista delle priorità e delle condizioni in cima c’è l’acqua. Per mettere insieme basamenti per le torri e blocchi di ancoraggio, rigorosamente in cemento, servirà un volume d’acqua inimmaginabile, acqua che non potrà essere prelevata direttamente dal mare perché il sale è il peggior nemico del cemento. Comporterà costruire enormi impianti di desalinizzazione. Le falde acquifere presenti si esaurirebbero o diverrebbero salmastre, per il principio dei vasi comunicanti o per osmosi. Dal punto di vista delle emissioni i desalinizzatoti sarebbero il minimo, ma al problema vero ci arriviamo presto: per ogni tonnellata di cemento si emettono almeno 900Kg di CO₂. Inoltre il ponte si sorreggerà su cavi, pendini d’acciaio e torri alte 400 metri che abbondano dello stesso materiale, un materiale la cui produzione vale due volte, in emissioni, quanto pesa.

Se digiti ponte sullo stretto in italiano

Su qualsiasi motore di ricerca impostato in italiano i primi risultati, e i suggeriti, sono post o articoli che parlano di soldi. O di terremoti. L’ambiente viene sempre dopo. Ma non è Google, sono gli utenti nella nostra lingua che hanno addestrato Google. Succede anche con le specie marine: anche se digiti un nome scientifico il primo risultato, nella maggior parte dei casi, è una ricetta. Google è uno specchio, ci dà i risultati della bolla nazionale di cui facciamo parte. Ci dice che il ponte sullo Stretto viene percepito come una questione di soldi, o di catastrofi tecnologiche annunciate. Qualcuno ha addirittura citato il Vajont. Voglio credere che le imprese e gli ingegneri sappiano esattamente cosa stiano facendo. Certe grandi opere possono finire con un fallimento drammatico o un successo strepitoso, come tutte le cose che prima non c’erano. Come la televisione, gli elettrodomestici, i personal computer e i telefonini. Si parla di una rete ferroviaria che è a binario unico al 70% in Calabria e all’85% in Sicilia. C’è da domandarsi che tipo di stimolo abbiano mai ricevuto queste due reti. Viene anche in mente che si dovrebbero interpellare per prime le popolazioni locali, con un referendum. Quelle non umane possono solo parlare per bocca di chi di loro si occupa e lo fa con una certa autorevolezza. WWF, LIPU e Legambiente si sono espressi per conto del pianeta che ci ospita. E che subisce continuamente le nostre velleità di plasmarlo secondo le nostre esigenze. E le nostre smanie freudiane di ponti più lunghi e grattacieli più alti.

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