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Il libro di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, Una Cosa sola, pubblicato da Mondadori nel novembre dell’anno scorso, fin dalla prima pagina, descrive il cambio di scenario delle mafie: <<Dopo la morte di Matteo Messina Denaro, l’ultimo boss delle stragi, si è voltato pagina>>. Al primo posto: l’eliminazione dell’abuso d’ufficio, la limitazione delle influenze illecite, la separazione delle carriere in magistratura, le scarse possibilità da parte dei giornalisti di pubblicare le ordinanze, la diminuzione delle intercettazioni. Riesce a passare sui mass-media soltanto qualche indagine sui rapporti tra certa politica e mafie. In secondo piano le esortazioni del presidente Mattarella sulla lotta alla corruzione: “Un dovere delle Istituzioni e, al tempo stesso, un impegno etico e civile delle forze sociali, delle comunità, dei cittadini”. Nel testo appare di una gravità assoluta l’affermazione degli autori: “I proventi delle attività illecite gestite dalle mafie ormai sono diventati una componente imprescindibile del sistema economico-finanziario, grazie soprattutto a una crescente capacità di schermarne l’origine attraverso transazioni finanziarie complesse e strutture societarie opache” (p. 4). Evidenziato dalla Direzione investigativa antimafia nell’ultima relazione semestrale del 2023: “Le mafie sono sempre più espressione e strumento di accumulazione della ricchezza economica e di raffinati processi di espansione speculativa” (ibidem). Trasparency International ha sottolineato l’assenza della lotta alla corruzione nell’ultima campagna elettorale europea. Soprattutto l’azione di contrasto al fenomeno del riciclaggio di denaro <<con un sistema digitale accessibile>>. Il denaro, sporco o pulito, ha più valore delle regole: “I soldi (…) servono per finanziare (…) spregiudicati uomini di affari, imprenditori e faccendieri”. Il libro racconta “le trame complesse e spesso invisibili che collegano la criminalità mafiosa ai mercati finanziari, al mondo imprenditoriale e all’Internet sommerso” (p. 5). Ed ecco la sostanza del saggio: “Oggi le mafie si sono mescolate con una parte della società che non le respinge, ma accetta i loro compromessi. Sono diventate parte del capitalismo spregiudicato e speculativo” (p.6). A pagina 41 La ricchezza dei clan: “Prima del dark web (rete oscura), (…) i soldi derivanti dall’evasione fiscale e dal riciclaggio di proventi illeciti (…) confluivano (…) nei paradisi fiscali e bancari”.
Come chiariscono Rosario Aitala e Antonio Balsamo, magistrati, in Come battere la mafia normale (Limes): “L’evoluzione più pericolosa delle mafie… è la normalizzazione e la quasi istituzionalizzazione (…) nelle quali si confondono (…) mafiosi, criminali comuni, politici, funzionari pubblici, imprenditori, professionisti, faccendieri, notabili. (…) Sottomondo mafioso e sopramondo ufficiale nel <<mondo di mezzo>> in cui si incontrano relazioni di complicità, collusione, corruzione. (…) Un luogo di ambiguità in cui i malviventi assumono le sembianze di galantuomini e coloro che dovrebbero servire l’interesse comune agiscono da malfattori” (p.43). I destinatari di investimenti mafiosi sono nella maggior parte dei casi le banche dei Paesi offshore (cosiddetti paradisi fiscali): “I flussi di denaro sono così elevati che è arduo farne a meno, rinunciando ad una clientela in continuo aumento” (p. 44). E sul mercato delle droghe sintetiche e delle altre sostanze psicoattive (stimolanti chimici): “È un mercato che si snoda prevalentemente nel dark web” (p. 69). Dichiarazione di un collaboratore di giustizia al Tribunale di Palermo: “Se oggi arriva un carico di droga a Palermo, arriva solo e soltanto se lo sa Cosa Nostra” (p.70).
Il libro mi ha sorpreso, in termini di scoperta, per alcuni fatti di proto-mafia (es. La Balla Grossa) che non conoscevo. Il primo processo per <<associazione di malfattori (…) si è celebrato a Bologna>> nel 1864 e non a Palermo, Reggio Calabria, Napoli o Bari. A Ravenna <<una setta di accoltellatori>> si macchiò di una serie di delitti <<ai danni di professionisti e imprenditori, tra cui il direttore di una banca. (…). Nel 1868 venne ucciso il procuratore Cesare Cappa e minacciato di morte il prefetto Benedetto Maramotti>>. In questo triste elenco entra la letteratura italiana: “In quegli anni la Romagna era terra di violenza. (…) Tra le vittime vi fu anche Ruggero Pascoli, amministratore della tenuta La Torre, un vasto possedimento dei Torlonia a San Mauro di Romagna e padre del celebre poeta, il quale con la sua <<cavallina storna>> commosse generazioni di italiani” (p. 16). Ho già scritto sulla proto-mafia meridionale, sulla <<braveria>> di Renzo Tramaglino nel II capitolo dei Promessi Sposi, sulla mafiosità del folclorista siciliano Giuseppe Pitrè, riportando altre ricerche, in particolare, quelle del Generale Giuseppe Governale in Sapevamo già tutto. Mafie e potere sono Una Cosa sola. Come chiaramente detto nella penultima pagina del libro: “Non sono mai state sconfitte perché fanno sempre parte di un sistema di potere egemone, quello dei ceti dominanti. E allora come se ne esce? L’unico modo è quello di acquisire consapevolezza e coscienza culturale, impedendo che i metodi mafiosi prevalgano su quelli indicati dalla Costituzione” (p. 179). Dalla lettura del libro si evince che i legami tra mafie e potere economico-finanziario restano problemi aperti, complessi e di non facile soluzione. Che fare? Gli autori propongono alla politica idee e suggerimenti “per mettere le forze dell’ordine nella condizione di combattere le menti raffinatissime che ispirano le varie mafie”. Un’occasione da non perdere per la politica con la P maiuscola.
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