Dallo scoppio della pandemia prima, all’aggressione russa dell’Ucraina poi, passando per l’escalation in Medio Oriente, il panorama geopolitico globale ha subito in questi ultimi 4 anni una trasformazione radicale.
Con il progressivo indebolimento dell’ordine unipolare dominato dagli Stati Uniti, la cosiddetta pax americana, e l’emergere di nuove potenze, figlie del processo di globalizzazione degli ultimi 30 anni, il mondo si avvia verso un assetto multipolare composto da tre blocchi principali: il Global West (guidato dagli Stati Uniti e dall’Europa), l’Asse del Caos (dalla vocazione fortemente anti occidentale e che vede la Cina come socio di maggioranza sostenuta da Russia, Iran e Nord Corea) e il Resto del Mondo che alcuni osservatori chiamano il Global South (su cui svettano attori statuali emergenti sempre più assertivi sullo scacchiere internazionale come Brasile, India, Indonesia e Turchia). Questa riorganizzazione globale comporta per l’Occidente e il nostro Paese enormi sfide ma anche eccezionali opportunità.
Il panorama globale: caos e frammentazione
La competizione tra Stati Uniti e Cina rappresenta il perno del nuovo equilibrio geopolitico ancora in via di formazione. Questo braccio di ferro può essere inquadrato come una vera e propria “guerra fredda 2.0”, in cui sono solo gli armamenti ma anche il reperimento di risorse finanziarie, la tecnologia, il controllo della logistica e della filiera delle materie prime ricoprono un ruolo di primo piano. Le due superpotenze sembra stiano almeno per il momento evitando un conflitto militare diretto.
La Cina sta emergendo come una forza sempre più autonoma sul piano tecnologico, superando le difficoltà iniziali dovute alle restrizioni occidentali su semiconduttori e altre tecnologie avanzate, come l’Intelligenza Artificiale e il quantum computim. Questo progresso rende il paese asiatico un temibile concorrente nella manifattura ad alto valore aggiunto, minacciando il primato economico dell’Occidente.
L’Europa: un gigante con i piedi d’argilla
Se gli Stati Uniti rimangono il leader indiscusso del Global West, l’Europa deve fare i conti con le sue enormi e forse irrecuperabili fragilità. Il modello economico europeo, basato sulla disponibilità di energia e materie prime a basso costo e libero accesso ai mercati globali, è stato messo in crisi dal conflitto in Ucraina e dalle conseguenti sanzioni contro la Russia. La scelta di mantenere intatto il green deal, concepito quando la globalizzazione non era stata ancora messa in discussione, ha accelerato il processo di de-industrializzazione. E non sarà un semplice rinvio dopo il 2025 del bando alle auto a combustione a evitare che il comparto dell’auto europeo finisca interamente nelle mani di Pechino.
In Germania l’autolesionismo ha toccato picchi impensabili dopo la chiusura delle centrali nucleari a casa della quale proprio in queste settimane di venti deboli, i prezzi dell’elettricità sono tornati sui picchi della crisi del 2022. Per non parlare delle resistenze interne ad abbandonare un modello economico basato sull’export e la compressione della domanda interna. In questo contesto, l’Italia non è certamente immune dalle crescenti e sempre più complesse sfide che le si stagliano davanti. L’aumento dei costi energetici, la chiusura di alcune rotte marittime come il canale di Suez, il ritorno al protezionismo commerciale da parte della nuova amministrazione statunitense, la dipendenza dalla componentistica cinese e lo stallo dell’economia tedesca stanno già mettendo a durissima prova la competitività delle nostre imprese.
Italia: tra rischi e opportunità
L’Italia, grazie alla sua posizione geografica nel cuore del Mediterraneo, ha un ruolo cruciale nel dialogo tra l’Occidente e il Resto del Mondo. Il Piano Mattei, rappresenta una geniale intuizione ma sui cui persistono ancora troppe incertezze nell’ambito dell’execution. Anziché perdersi in piani eccessivamente ambiziosi, occorre selezionare e puntare su 2/3 Paesi e presentare delle proposte di co-investimento con filiere già pronte ‘chiavi in mano’. La nostra diplomazia deve uscire dall’immobilismo e l’auto-referenzialità che la contraddistinguono al fine di servire gli interessi del Paese. L’ultimo fallimento in ordine cronologico è stato l’accordo tra Etiopia e Somalia due Paesi storicamente molto vicini l’Italia, ottenuto però con la mediazione della Turchia, Paese che, come dimostrato dai recenti avvenimenti in Siria, diverrà un player regionale sempre più assertivo.
Il peso delle tensioni USA-Cina
Una delle principali preoccupazioni riguarda il deterioramento dei rapporti tra Stati Uniti e Cina. Mentre Washington aumenta le restrizioni commerciali e tecnologiche nei confronti di Pechino, la Cina rafforza i legami con il Global South e consolida la sua posizione come leader economico in Asia. Questa rivalità ha implicazioni dirette per l’Italia, che deve bilanciare la sua storica alleanza con gli Stati Uniti e i rapporti commerciali con la Cina.
A fronte della richiesta di Washington di ridurre il nostro surplus commerciale occorre guardare ad altri mercati di sbocco per le nostre imprese incentivandone l’aggregazione anche nell’ottica di accompagnarle nel passaggio generazionale. Al fine invece di avviare il de-risking da Pechino, occorre facilitare il reshoring di quelle aziende che finiranno nel tritacarne della guerra commerciale (pensiamo alle aziende italiane che hanno investito in Messico, Paese su cui Washington applicherà un dazio del 25%) e la creazione di nuove filiere orfane dalla debacle del settore dell’auto, per svilupparne di nuove dual use in grado di servire sia l’industria civile che quella militare (ancora troppo dipendente dall’estero).
La necessità di un piano strategico
Il contesto attuale di caos e frammentazione rappresenta insomma una sfida epocale per l’Italia. Restare immobili o reagire in modo frammentato non farebbe altro che garantirci un inesorabile declino. È necessario, invece, sviluppare una visione chiara e ambiziosa, ma al tempo stesso in linea con le nostre concrete possibilità, che tenga conto del nuovo contesto internazionale di “tutti contro tutti”. In quest’ottica attendere una risposta dall’Europa rischia di essere velleitario e controproducente. Occorre compiere un salto di maturità ed elaborare un piano di sicurezza nazionale che risponda agli interessi del Paese mantenendo ben salda l’adesione all’atlantismo.
© Riproduzione riservata
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link