Carmilla on line | We are not robots – Cambiamento tecnologico e conflittualità

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di Gioacchino Toni

Rage against the machine? Automazione, lavoro, resistenze, “Zapruder” n. 65, sett.-dic. 2024

«Dalla miniera a cielo aperto di Lützerath in Germania alla “Zone à defendre” di Notre Dame des Landes passando per la lotta no tav in Val di Susa, negli anni a noi più vicini la battaglia contro lo strapotere della tecno-industria non ha né la fabbrica come epicentro, né la classe operaia come protagonista. Spesso frutto dell’alleanza tra frazioni illuminate di piccoli proprietari agricoli e settori radicali del movimento ecologista, la “rabbia contro le macchine” non sembra più essere alimentata dal potere dispotico del capitale sul lavoro». Così l’editoriale del numero 65 della rivista “Zapruder” introduce il fascicolo dedicato alle resistenze al cambiamento tecnologico che hanno attraversato la storia a partire dalla Rivoluzione industriale focalizzandosi su alcuni casi di studio al fine di «alimentare una riflessione sull’oggi per provare a riorientare la tecnica verso un fine diametralmente opposto, quello del benessere sociale per tutte e tutti».

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Mentre negli ultimi decenni sui territori si danno forme di resistenza e antagonismo come quelle sopra tratteggiate, da qualche tempo un’insistente narrazione a canali e media unificati si è preoccupata di esaltare le magnifiche sorti del progresso permesse dall’intelligenza artificiale generativa bollando come patetici luddisti passatisti antitecnologici per partito preso tutti coloro che osano evidenziare gli aspetti più inquietanti che l’accompagnano: la disumanizzazione decisionale riguardante l’organizzazione del lavoro; il ricorso a pratiche di ludicizzazione digitale al fine di incrementare le performance lavorative e la competizione con i colleghi; la proliferazione degli armamenti autonomi, dunque di modalità, se possibile, ancora più ciniche e spietate di gestione delle guerre; la ricaduta omologante sul mondo dell’informazione, dell’intrattenimento, dell’educazione e della cultura; lo sfruttamento delle risorse naturali e delle popolazioni del Sud del mondo; l’oscurità degli algoritmi che regolano i sistemi decisionali tecnologici; l’esponenziale incremento della sorveglianza che comporta; l’incidenza esercitata sull’immaginario collettivo ecc.

Al di là delle pratiche di azione diretta espresse a livello di comunità contro sistemi tecno-industriali imposti a livello territoriale – emblematico il caso in Arizona in cui i residenti si sono letteralmente scagliati contro i veicoli a guida autonoma pilotati dall’IA danneggiandoli –, qualche forma embrionale di conflittualità nei confronti delle tecnologie che governano il mondo del lavoro e con esso la vita dei lavoratori e delle lavoratrici inizia a fare capolino: dalle campagne “We’re humans, not robots!” e “Strike hard, have fun, make history” che hanno riguardato Amazon, in cui i lavoratori hanno rivendicato condizioni di lavoro più umane e meno automatizzate, alle numerose vertenze riguardanti il settore della logistica, dei rider e del trasporto automobilistico privato in cui vengono messi in discussione i ritmi di lavoro imposti dalla gestione algoritmica gamificata1 da cui vengono fatti dipendere gli stipendi ed il mantenimento stesso del posto di lavoro.

Certo, il diffondersi di quello che Shoshana Zuboff 2 ha efficacemente definito “surveillance capitalism”, basato sulla datificazione dell’esperienza umana a scopo predittivo, generante shadow work non pagato, ha allargato a dismisura le modalità con cui viene estorto e sfruttato il lavoro, tanto da rendere sempre più arduo individuare modalità conflittuali efficaci.

Nell’editoriale di “Zapruder” – steso da Lorenzo Avellino, Frédéric Deshusses e Alfredo Mignini – vengono tratteggiate le tappe principali che hanno animato il dibattito critico circa i conflitti e le resistenze al cambiamento tecnologico a partire dalla lettura classica di Marx secondo la quale l’evoluzione tecnologica capitalista avrebbe accelerato la possibilità di controllo operaio della produzione, da cui derivata una condanna nei confronti del luddismo per certi versi astorica non cogliendo le specificità dei movimenti propriamente luddisti che si manifestano a partire dal primo decennio dell’Ottocento.

Dopo che Eric Hobsbawm3, all’inizio degli anni Cinquanta del secolo scorso, ha messo in luce come la resistenza alle macchine si sia data come resistenza alle macchine nelle mani del capitalista, rompendo con la storiografia classica e marxista, sul finire degli anni Sessanta, Edward P. Thompson 4 ha abbandonato l’idea che deriva dal progresso tecnico la formazione della classe operaia in quanto tale ritenendo che quest’ultima si costituisca piuttosto nella resistenza all’espropriazione del controllo sulla produzione. Nel medesimo periodo si è sviluppata una tradizione marxista critica tanto del socialismo reale quanto della tecnologia (Raniero Panzieri5, André Gorz6, Ernest Mandel7…). Successivamente, attorno alla metà degli anni Settanta, si devono ad Harry Braverman8 la proposta di leggere il cambiamento tecnologico come strumento nelle mani dei capitalisti per assicurarsi un controllo crescente sui processi lavorativi ed a Stephen Marglin9 l’invito a vedere nella necessità del controllo sulla produzione e sui lavoratori, più che nell’efficienza economica, i motivi dell’affermarsi del sistema di fabbrica.

Sfuggendo «alla dicotomia tra una classe operaia incosciente di sé stessa e interamente subordinata alle macchine e un’esaltazione eroicizzante di ogni atto di resistenza contro i cambiamenti tecnologici», attraverso una serie di contributi, questo numero di “Zapruder” intende «riaprire il confronto sui conflitti e le resistenze al cambiamento tecnologico», evitando «di inquadrare le trasformazioni del capitalismo contemporaneo a partire dalla crisi degli anni settanta o, nel migliore dei casi, dall’inizio del XX secolo», decentrando «lo sguardo verso settori ed esperienze in cui lo scontro tra “lavoro vivo” e tecnologia può sembrare a prima vista assente, rivelandosi invece centrale».

La tradizione marxista critica precedentemente tratteggiata ha saputo «sbarazzarsi di una visione teleologica che farebbe della tecnologia un terreno neutro all’interno del quale possono esprimersi appieno le potenzialità liberatorie della classe operaia. […] In fin dei conti, all’interno di una società capitalistica, le macchine non possono essere altro che concepite e sfruttate secondo un solo obiettivo: quello del profitto». Guardando a quanto accaduto, la conflittualità nei confronti del cambiamento tecnologico non sembrerebbe poter essere ricondotta esclusivamente ad un atto di resistenza nei confronti di un futuro ineluttabile; in essa si ravviserebbe anche un orientamento del cambiamento in una direzione altra rispetto a quella voluta dai possessori e beneficiari delle tecnologie.

In epoca più recente, Gavin Mueller10 ha nuovamente posto l’accento su come le pratiche luddiste abbiano rappresentato una embrionale e importante presa di coscienza circa la non neutralità delle tecnologie, esplicitando come l’automazione e l’utilizzo di macchine nel processo produttivo stabiliscano nuove forme di controllo e sfruttamento del lavoro sempre più pervasive e alienanti. Il luddista, insomma, lungi dall’essersi posto l’obiettivo di fare a meno delle macchine per partito preso; il suo intento è stato piuttosto quello di indirizzare lo sviluppo tecnologico verso una società ove i lavoratori conservano la propria autonomia ed il controllo delle proprie vite. È lungo tale prospettiva che, secondo Mueller, si dovrebbe guardare ai momenti più creativi di resistenza, dalle fabbriche ai porti, fino al movimento per il software libero ed alle forme di resistenza agli algoritmi ed ai sistemi di sorveglianza della società contemporanea.

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Tornando a “Zapruder”, nel suo contributo, Nikolaos Alexis esamina le rivolte contro la motorizzazione dei trasporti in Grecia all’inizio del Novecento mettendo in risalto come «l’egemonia di un discorso determinista sulla tecnologia» abbia storicamente portato a sottovalutare tali episodi «rafforzando l’idea che si trattasse necessariamente di esperienze eccezionali, limitate e irrazionali», non cogliendo così come attorno ad essi si sia formato un blocco politico e sociale capace di negoziare il progressivo abbandono del trasporto a trazione animale in ambito urbano.

Francesca Sanna indaga il contenzioso esploso nella Francia della prima metà del Novecento tra impresa e lavoratori circa la razionalizzazione e la  meccanizzazione dell’estrazione mineraria evidenziando «come le tecniche di organizzazione assurgano a terreno di scontro e di negoziazione in cui si fronteggiano prospettive contrapposte. Da un lato la tecnica è percepita come elemento portante delle strategie d’impresa […] e, dall’altro, come strumento potenziale della rivendicazione operaia, che […] può agire sul salario come sulle condizioni di lavoro, nonché sulle più generali condizioni di vita».

L’analisi delle lotte per arginare l’impatto delle macchine da parte del nascente movimento operaio francese nel primo Ottocento, che ha dovuto confrontarsi anche con una serrata campagna di persuasione volta ad elogiare i benefici del macchinismo, è invece al centro dello scritto di Maria Grazia Meriggi che mostra come alla propaganda per la formazione professionale, intesa come strumento in grado di contrastare la disoccupazione da parte degli apologeti delle innovazioni, si sia contrapposta un’azione operaia tendente a rivendicare la distribuzione del lavoro esistente.

A partire dagli appunti di un apprendista formaggiaio francese, Fabien Knittel tratteggia le reazioni delle nuove generazioni contadine di fine Ottocento nei confronti della razionalizzazione del lavoro caseario mentre, colloquiando con Frédéric Deshusses, lo studioso dei sistemi di sorveglianza nei contesti urbani e rurali, soprattutto nell’agricoltura, Francisco Klauser, mostra tanto l’impatto di big data e nuove tecnologie della sorveglianza sul lavoro contadino quanto le forme di riappropriazione e mutualizzazione della tecnologia da parte di chi la utilizza. Con lo sguardo rivolto all’universo schiavista cubano di metà Ottocento, Daniel B. Rood indaga invece la piantagione come «sistema “tecno-razziale” in cui le macchine per la raffinazione dello zucchero intervengono ridistribuendo compiti e competenze lungo la linea del colore tra manodopera cinese, sorveglianti creoli e schiavi neri».

Ginevra Sanvitale studia il ruolo della tecnologia nel lavoro riproduttivo riprendendo le riflessioni prodotte dal Movimento per il salario al lavoro domestico degli anni Settanta del secolo scorso11 che approfondiscono «due aspetti del rapporto tra ritmi dell’automazione e resistenze al cambiamento tecnologico»: l’industrializzazione della casa, «cioè l’assimilazione della sfera domestica all’ambiente produttivo del capitalismo industriale» ed «il rapporto tra produzione per il mercato e riproduzione della forza-lavoro nella storia del capitalismo, in altre parole il rapporto tra la funzione economico-sociale dell’uomo-macchina e quella della donna-macchina».

Lorenzo Avellino indaga come nell’ambito della produzione serica piemontese settecentesca il ricorso all’automazione sia stato mosso anche dalla volontà dei datori di lavoro di appropriarsi attraverso le macchine di specifici saperi sino ad allora di pertinenza femminile, mentre Bruno Settis mette in luce come l’utopia padronale di poter fare a meno dell’essere umano anticipi di molto l’avvento del capitalismo industriale.

Lo scritto di Maddalena Fragnito racconta della pratica delle operaie della Lebole di Arezzo di modificare le canzoni del momento per dare voce al malcontento diffuso tra di esse, mentre Simona Casonato e Francesca Olivini raccontano di come, in veste di curatrici del Museo nazionale scienza e tecnologia di Milano, abbiano voluto creare un tipo di esposizione che non si limitasse a celebrare acriticamente l’innovazione ma che sapesse anche riflettere la dimensione conflittuale del cambiamento tecnologico.

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Frédéric Deshusses propone una riflessione che mette in relazione la storia della tecnica della scuola delle “Annales”, a partire da quanto scritto da Lucien Febvre nel numero monografico dedicato alla storia della tecnica del 1935 , con gli obiettivi iniziali delineati nel primo fascicolo della rivista “Technology and Culture” nel 1959 diretta da Melvin Kranzberg. La dialettica fra presenza e assenza del marxismo che emerge in tale confronto, secondo l’autore, potrebbe rappresentare «una chiave di lettura del modo in cui il campo della storia della tecnica si è strutturato nella seconda metà del Novecento». Restando nell’ambito delle riviste dedicate all’incidenza tecnologica sulla società, Lara Marziali si occupa nel suo scritto di “Low-tech magazine”, rivista online nata nel 2007 con il fine di «diffondere modi e metodi con cui coniugare vecchie e nuove conoscenze e tecnologie, in vista di una società più sostenibile».

“Zapruder” concede spazio anche ad alcuni esempi di rappresentazione creativa del conflitto intorno alla tecnica a partire dalla copertina prodotta dal collettivo Major-Minuit a cui si aggiungono le tavole realizzate da Alessandro Beccari, dedicate alle condizioni di lavoro negli hub contemporanei, e le immagini di Jonas Hauert che intende riprende le riflessioni di Benjamin circa l’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica per affrontare lo produzione artistica e la creatività individuale in un contesto segnato dalla generazione automatica di opere da parte dell’intelligenza artificiale. La portata liberatoria ed al contempo reazionaria della produzione generata automaticamente, in questo caso di tipo musicale, è invece al centro delle riflessioni dello scritto di Diego Parravano.

Niccolò Cuppini si sofferma su alcuni volumi usciti negli ultimi anni: Lorenza Pignatti, Cartografie radicali. Attivismo, esplorazioni artistiche, geofiction (Meltemi, 2023); Federico Curugullo, Frankenstein Urbanism. Eco, Smart and Autonomous Cities, Artificial Intelligence and the End of the City (Routledge, 2021); Matteo Pasquinelli, The eye of the master: a social history of artificial intelligence (Verso Books, 2023). Pignatti, nell’occuparsi della nozione di cartografia alla luce del contesto digitale contemporaneo, mostra quanto le mappe, oltre a riprodurre l’esistente, possano anche ambire a trasformarlo. Curugullo spiega come l’automazione urbana, lungi dal toccare soltanto l’immaginario, sia un vero e proprio progetto con una sua storicità e Pasquinelli mostra come gli sviluppi recenti dell’intelligenza artificiale siano da collocare all’interno di una storia più lunga che prende il via con l’automatizzazione delle attività lavorative introdotte dall’era industriale. Nella sezione dedicata ai libri è presente anche uno scritto di Giovanni Pietrangeli a proposito del volume di Simone Pieranni, Tecnocina. Storia della tecnologia cinese dal 1949 a oggi (add, 2023).


  1. Sarah Mason, Punteggio massimo, compenso minimo. Ludicizzazione: un gioco che i lavoratori non possono vincere, in Matteo Bittanti, a cura di, Game Over. Critica della ragione videoludica, Mimesis, Milano-Udine, 2020. 

  2. Cfr. Shoshana Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza. Il Futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri, Luiss University Press, Roma, 2019. 

  3. Eric Hobsbawm, The Machine Breakers, “Past and Present”, n. 1, 1952. 

  4. Edward P. Thompson, Rivoluzione industriale e classe operaia in Inghilterra, Mondadori, Milano, 1963. 

  5. Raniero Panzieri, Sull’uso capitalistico delle macchine nel neocapitalismo, “Quaderni rossi”, n. 1, 1961, pp. 53-72; Raniero Panzieri, Plusvalore e pianificazione. Appunti di lettura del Capitale, “Quaderni rossi”, n. 4, pp. 257-288. 

  6. André Gorz, Stratégie ouvrière et néocapitalisme, Seuil, Paris, 1964. 

  7. Ernest Mandel, Traité d’économie marxiste 4, Union générale d’éditions, Paris, 1969. 

  8. Harry Braverman, Labor and monopoly capital: The degradation of work in the twentieth century, Monthly Review Press, New York City, 1974. 

  9. Stephen Marglin, What Do Bosses Do? The origins and functions of hierarchy in capitalist production, Part I, “The Review of Radical Political Economics”, n. 6, 1974, pp. 60- 112. 

  10. Gavin Mueller, Tecnoluddismo. Perché odi il tuo lavoro, Nero, Roma, 2021. 

  11. Cfr.: Selma James, Mariarosa Dalla Costa, The Power of Women and the Subversion of Community, Falling Wall Press Limited, Bristol, 1975. 



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