Acca Larentia, l’estrema destra e il mito politico del sangue

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Il dato politico più rilevante delle commemorazioni dei tre militanti uccisi davanti alla sede del Msi resta la rivendicazione, da parte di tutta l’estrema destra italiana, della propria comune genìa. Un vincolo che continua ad andare oltre le vicende dei singoli partiti o i destini dei personaggi di quel mondo

Esiste un uso pubblico della storia praticato con lo scopo di rappresentare la genesi di una comunità immaginaria che in quel mito dovrà riconoscersi. Esiste poi un uso politico del passato proteso non solo alla sua riscrittura epica ma finalizzato ad un più prosaico, ma concreto, governo del presente.

Questi due fattori trovano oggi una concreta sintesi (pur nell’alternanza apparentemente separata delle commemorazioni ufficiali e delle adunate in camicia nera e saluto romano) nella rappresentazione delle anime fasciste e postfasciste, extraparlamentari e di governo, che ogni 7 gennaio si radunano a Roma per commemorare i tre militanti del Msi (Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni) uccisi nel 1978 davanti la sezione di via Acca Larentia. I primi due da un commando del gruppo di sinistra dei Nuclei armati per il contropotere territoriale, il terzo nel corso dei successivi scontri tra missini e forze dell’ordine.

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Vicende strumentalizzate 

Da quegli eventi i terroristi dei Nuclei Armati Rivoluzionari hanno cercato di far risalire la ragione della scelta armata che li porterà fino alla strage di Bologna del 2 agosto 1980. È un falso: la banda (o le bande) poi guidata da Giusva Fioravanti e Francesca Mambro aveva già ucciso il giovane di Lotta Continua Walter Rossi il 30 settembre 1977; sparato a Massimo Di Pilla il 23 dicembre; firmato gli attentati incendiari contro l’Ara Pacis a Roma (23 dicembre) e dinamitardi contro la casa di Alberto Moravia (29 dicembre).

Dalla rievocazione del 7 gennaio traggono legittimità tra i loro militanti, e visibilità presso l’opinione pubblica, i vari «fascisti del terzo millennio» e le formazioni della galassia nera che oggi sfilano impunite nelle strade delle città teatro delle stragi come Bologna e Brescia.

Dalla strumentalizzazione delle vicende del 7 gennaio 1978 muove la narrazione vittimistica e controfattuale tristemente offerta dall’estrema destra oggi al governo. Un racconto con cui Fratelli d’Italia prova a giustificare la sua connaturata ostilità all’antifascismo come valore fondante della Repubblica, proponendo un’antistorica associazione tra i partigiani del 1945 ed il contesto degli anni Settanta.

La realtà racconta invece che tra fine 1977 e inizio 1978 molte sedi del Msi vennero ripetutamente chiuse dall’autorità giudiziaria (nei quartieri Prati, Monte Mario, Piazza Bologna) per l’interminabile sequela di violenze squadriste; pestaggi; attentati; sparatorie; assalti a sedi di partito e giornali realizzati dai missini (15 di loro vennero arrestati e poi rapidamente scarcerati). Un quadro su cui iniziò ad indagare, in assoluta e fatale solitudine, il giudice Mario Amato che avviò quell’inchiesta sul neofascismo romano che gli costerà la vita il 23 giugno 1980 per mano di Gilberto Cavallini e Luigi Ciavardini.

Fu in questo contesto (che in nulla giustifica la barbarie dell’assassinio dei giovani di Acca Larentia, il delirante comunicato di rivendicazione del commando responsabile e l’uso di armi da fuoco da parte dei carabinieri contro i manifestanti neofascisti) che si consumarono i fatti del 7 gennaio 1978.

La rivendicazione 

Il dato politico di maggior rilievo oggi resta la rivendicazione, da parte di tutta l’estrema destra italiana, della propria comune genìa. Il mutuo riconoscersi nella stessa comunità di ambiente. Un vincolo che continua ad andare oltre le vicende dei singoli partiti o i destini dei personaggi di quel mondo.

Lo testimoniano i legami che le inchieste di Domani hanno mostrato a proposito dei rapporti economici tra la Fondazione Alleanza Nazionale e l’associazione che oggi gestisce la sezione di Acca Larentia; i comuni richiami negazionisti «nessuno di noi era Bologna» riguardanti la matrice della strage del 2 agosto 1980; le parole inequivoche di Fioravanti e Mambro del 1994 «loro al governo, noi in galera» al momento della formazione del primo governo Berlusconi con la partecipazione del Msi.

Lo dimostrano immagini e fotografie. Quella della presidente della commissione antimafia, Chiara Colosimo insieme all’ex terrorista dei Nar Luigi Ciavardini, condannato per la strage di Bologna, e quella del 2008 che immortala Giorgia Meloni mentre viene accompagnata alla commemorazione di Acca Larentia da quel Giuliano Castellino che guidò l’assalto alla sede della Cgil il 9 ottobre 2021 e che da poco è stato condannato ad otto anni di reclusione.

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Una radice che viene da lontano, non è gelata ed è capace di insinuarsi nel nostro presente senza storia. Questo resta il vero pericolo.

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