Teatro, partecipazione politica a intelligenza artificiale

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Temo molto l’intelligenza artificiale in tutto quello che può sostituire le sensibilità dell’essere umano
Stefano Massini

Il dibattito su tecnologia e partecipazione politica

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AI, partecipazione politica e il futuro: intervista a Davide Casaleggio

Tra gli ingredienti fondamentali della vittoria di Donald Trump nelle elezioni statunitensi figurano sicuramente l’uso sapiente e dell’intelligenza artificiale e delle nuove forme di comunicazione.

Niente di illegale, s’intende, solo l’abile destreggio dei mezzi a disposizione di tutti, a cui si è aggiunta anche una diffusa partecipazione a podcast di diverso genere che, piaccia o non piaccia, sono ormai molto più efficaci della carta stampata.

Non è una novità che a vincere siano coloro che utilizzano al meglio i mezzi di comunicazione, Silvio Berlusconi ne è stato un precursore, ma in queste elezioni la figura di Trump è risultata quasi sfumata, come se fosse rimasta dietro le quinte per lasciare che i tweet e la comunicazione digitale lavorassero alle sue spalle, o meglio la precedessero, mirando dritto all’obiettivo che hanno poi centrato.

La differenza abissale tra le televisioni di berlusconiana memoria e le tecnologie moderne, però, è che mentre sulle prime non era possibile avere alcun controllo, e tanto meno era consentito presenziare alle loro trasmissioni senza invito, le seconde sono accessibili a tutti e, più del mezzo, conta la capacità e la forza creativa di chi le utilizza.

Viene quindi da chiedersi se si possa sperare che nasca una sorta di utilizzatore, o manipolatore, illuminato che, agendo a fin di bene, sappia usare l’intelligenza artificiale per favorire la partecipazione democratica, per informare, per aprire al dialogo e alla discussione e dare vita ad una nuova forma di coinvolgimento politico. L’interrogativo è se si possa attribuire, in qualche modo, alla tecnologia un ruolo attivo e propositivo, attraverso modalità comunicative nuove.

Ne abbiamo parlato con chi sa usare la parola, Stefano Massini, che nel suo ultimo spettacolo riesce a tenere alta l’attenzione del pubblico su temi molto complessi.

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Stefano Massini, in molti si stanno allontanando dalla politica tradizionale, anche disertando le urne. Lei con il suo ultimo spettacolo Mein Kampf, che solleva riflessioni profonde anche lato politico, riesce ogni sera a riempire il teatro e a raccogliere intorno alle sue parole tantissimi giovani. Qual è il segreto per rianimare la partecipazione collettiva alla discussione politica, nel senso più puro del termine?

Secondo me è una questione di linguaggio, nel senso che un tempo i politici tendevano a usare un linguaggio incomprensibile, molto tecnico, che mirava a segnare il fatto che il politico era una persona che aveva una competenza o, almeno, fingeva di possederla.

Oggi noi viviamo in un’epoca nella quale la politica, per paradosso, tenta di usare un linguaggio che è un linguaggio di tutti quanti per fare arrivare il messaggio del “io sono come voi”.

Nella Grecia antica si diceva che la differenza fondamentale fra il buon politico e il demagogo stava nel fatto che il demagogo si appellava alle emozioni della platea invece che al suo senso critico.

Io credo che oggi sia la stessa cosa, però credo anche che questo gioco stia cominciando a mostrare il fianco e che le persone, soprattutto i più giovani, si rendano conto quando qualcuno simula di essere come te soltanto per raggiungere un interesse, soltanto per raggiungere un obiettivo.

Ecco, penso che soltanto con un linguaggio che sia comprensibile sì, da tutti, ma anche in qualche modo non interessato, non immediatamente, diciamo, collegabile all’artificio, si riesce a parlare di alcuni argomenti veramente degni di importanza e degni di attenzione che poi ci riguardano tutti.

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Il teatro è per sua natura emozione ed ha un impatto ancestrale sull’animo umano. Nasce come spazio sociale per eccellenza, ma oggi questa funzione potrebbe essere in parte traslata nell’intelligenza artificiale? Crede che sia possibile utilizzare i nuovi strumenti tecnologici per raggiungere gli stessi obiettivi che lei raggiunge a teatro, inventando un linguaggio nuovo ed una comunicazione adeguata?

Il Covid ha insegnato che il teatro, in quanto interazione tra corpi, è un’esperienza che soltanto a teatro puoi vivere. Quando parlo di teatro non intendo soltanto il teatro di prosa, intendo i live musicali, andare a vedere una partita, andare a vedere un evento sportivo sugli spalti di uno stadio. Però mentre questi ultimi eventi posso anche guardarli in un video, lo spettacolo teatrale devo andarlo a vedere fisicamente lì insieme agli altri oppure non esiste.

Credo che l’intelligenza artificiale non potrà mai attivare lo stesso meccanismo di coinvolgimento del teatro. Il rapporto fra corpi che è dato da una consapevolezza, molto semplice ma fondamentale, per cui so che se in quel momento crolla il soffitto del teatro, il soffitto crolla sul mio corpo, sulla mia vita, sulla mia percezione del dolore, ma anche sulla vita e sulla percezione del dolore di chi sta sul palcoscenico. A teatro siamo due legati da un destino comune e questo la tecnologia non può sostituirlo.

Esistono progetti come quello della Stanford University che mirano a utilizzare l’AI nei processi partecipativi, analizzando le discussioni dei cittadini e utilizzandola come sorta di facilitatore del dialogo, al fine di renderlo produttivo ed evitare degradi in un inutile contrapposizione di parti. Un progetto analogo a quello che in Italia sta sviluppando Davide Casaleggio. Lei crede che l’intelligenza artificiale possa servire a favorire un dialogo costruttivo tra le persone e, magari, tra i politici?

Credo che l’intelligenza artificiale sia uno strumento fondamentale per aiutare l’essere umano, nella medicina, nella produzione di tutto ciò che può aiutare a vivere meglio, ma deve restare uno strumento.

Temo l’intelligenza artificiale nel momento in cui essa entra in alcuni processi molto delicati come quelli decisionali, perché lì basta e avanza l’essere umano che non può mai essere sostituito da un’entità come l’intelligenza artificiale. Temo molto l’intelligenza artificiale in tutto quello che può sostituire le sensibilità dell’essere umano. Credo nell’essere umano e nella necessità di un nuovo umanesimo.

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Sappiamo quanto sia stato rilevante Elon Musk nella campagna elettorale di Donald Trump. L’uso dell’intelligenza artificiale nella politica rappresenta più un rischio o un’opportunità? Secondo Lei potrebbe aiutare a fare emergere i veri interessi della collettività e spingere i gestori del potere a perseguirli o ci attende piuttosto una dittatura dei tecnocrati?

Qualcuno ci ha provato. Si racconta che Barack Obama abbia vinto anche grazie all’utilizzo molto accorto e assennato di Facebook. Resta però il fatto che generalmente la manipolazione avviene più sul versante opposto, perché quando hai dei valori, dei principi, è molto difficile che di essi faccia parte l’utilizzo in qualche modo forte, arrogante dei mezzi di informazione.

Si tratta di porsi una grande domanda: se sei consapevole dell’obiettivo, fra virgolette alto, del tuo procedere, puoi far uso di una tecnica manipolatoria con l’obiettivo, si sarebbe detto, un tempo edificante? Qui torniamo al punto di partenza che è legato anche al mio spettacolo.

Se si ascolta cosa diceva Adolf Hitler inizialmente, sembra che fosse totalmente dalla parte del giusto, quando parlava di difendere gli umili e i deboli, quando parlava delle classi dei lavoratori che non riuscivano a parlare e delle promesse disattese.

Anche Benito Mussolini era socialista. In teoria tutto parte, all’inizio, da un obiettivo notevole, ma siamo così sicuri che basti essere convinti di essere rivolti al bene per usare qualsiasi mezzo per ottenere un risultato e quindi di avere diritto alla manipolazione?

L’obiettivo, per chi lo sostiene, può anche essere convintamente positivo e migliorativo, ma potrebbe esserlo non in assoluto. Molte volte tutto questo si basa su una totale forma di fraintendimento della realtà.

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