A meno di una settimana dall’inizio del 2025, il nuovo anno non sembra essere partito sotto i migliori auspici. In Puglia un neonato è stato trovato morto in una culla della vita. E tutto il mondo è ancora scosso dalla guerra. Il vescovo dell’arcidiocesi di Bari-Bitonto, monsignor Giuseppe Satriano, traccia un bilancio dell’attuale situazione con un occhio a quanto ci aspetta.
Il 2025 si è aperto con una notizia tragica, il ritrovamento di un bambino morto nella culla di una parrocchia, a Bari, notizia che ha sconvolto tutto il Paese. Questo episodio può essere visto come sintomo di una povertà, non solo economica, sempre più “protagonista” della nostra società. Come si sconfigge?
«Una notizia così tragica non può che spezzare il cuore e richiamarci tutti, come comunità, a un esame profondo di coscienza. La povertà, non solo materiale ma anche relazionale, culturale e spirituale, è una piaga che colpisce l’anima della nostra società. Per sconfiggerla, non ci sono ricette a buon mercato, ma dobbiamo riscoprire la forza del noi. È necessario che ognuno faccia la propria parte: istituzioni che siano vicine ai più fragili, famiglie che si aprano al sostegno reciproco, Chiesa che sia sempre un luogo di accoglienza e speranza. E soprattutto, educare i cuori alla solidarietà, al servizio, al riconoscimento dell’altro come fratello. Per me, da credente, rimane chiaro che l’aver dimenticato Dio per credere sempre di più nelle capacità dell’io ha rotto il valore della relazione, corrodendola in una esasperata ricerca del proprio benessere, a scapito degli altri».
“Oggi viviamo una catastrofe educativa, a causa delle guerre, delle migrazioni e della povertà”. Sono parole di Papa Francesco. Spesso si dice che le agenzie educative, dalla famiglia alla scuola fino alle parrocchie, oggi stiano “fallendo”. Come possono tornare ad essere esempio e guida?
«Papa Francesco ha colto nel segno. È vero, spesso famiglia, scuola e parrocchie sembrano smarrite di fronte alla crisi del nostro tempo, ma non ne sono la causa. La loro debolezza dipende da scelte sistemiche che le hanno messe in difficoltà, isolandole e minandone l’autorevolezza. Non a torto il tempo che stiamo attraversando viene chiamato post-umanesimo. Sapendo ascoltare il futuro è necessario ripartire dai valori del bene, della verità, della bellezza autentica, strade ineludibili per ricostruire un’appartenenza comune nella quale ci sia spazio per tutti».
Le parrocchie, comunque, in tante realtà soprattutto periferiche continuano a fare un grandissimo lavoro con le famiglie in difficoltà, i minori, gli immigrati. Quale messaggio si sente di mandare a questi parroci che sono perennemente in prima linea?
«Quando si vive a contatto con le periferie esistenziali, si trae dalla fatica tanta luce e tanto beneficio umano e spirituale. Provo profonda gratitudine per quanti spendono il loro ministero in contesti di marginalità e desidero che non si sentano mai lasciati soli dalla Chiesa diocesana. La scelta di istituire un Vicario episcopale per le periferie ha il chiaro intento di ritrovare la capacità di leggere il nostro tempo da un punto prospettico più autentico. Il Vangelo ci racconta che la salvezza non muove i primi passi a partire dalla città (Gerusalemme), ma da luoghi lontani dai riflettori (Betlemme e Nazaret)».
Nel suo discorso di fine anno il presidente Mattarella ha parlato di guerra e di pace, di diseguaglianze e di giovani, di accoglienza. Questi temi devono restare al centro dell’agenda 2025 anche a Bari e in tutta la nostra regione?
«Le parole del presidente Mattarella risuonano con forza profetica. Bari e la Puglia devono fare la loro parte nel costruire una società più giusta, dove la pace non sia un’utopia ma un impegno quotidiano. Accogliere chi è relegato nell’invisibilità, offrire opportunità ai giovani, combattere le disuguaglianze: sono sfide che non possiamo eludere. La nostra terra, crocevia di culture e speranze, ha la responsabilità di essere in prima linea sul fronte del dialogo e della convivenza fraterna tra i popoli e le culture. Don Tonino Bello sognava la Puglia come “arca di pace e non arco di guerra”. Ispirandoci a quest’immagine bella e potente, l’agenda del 2025 deve essere quella dell’amore operoso e dell’agire concreto».
La criminalità organizzata continua ad essere forte in Puglia, e protagonisti di sparatorie sono sempre più ragazzi molto giovani. Come si può aiutare la nuova generazione a capire che non è questa la strada?
«I giovani cercano sempre modelli a cui ispirarsi. E cosa vedono in noi adulti? Spesso adolescenti non cresciuti, individualisti e capricciosi, inclini alla lamentela e piuttosto noiosi. Quando un giovane sceglie la via della criminalità, significa che non ha trovato nella società risposte alle sue domande di senso, dignità e futuro. Per cambiare è necessaria una rete salda, tra istituzioni, scuola e famiglia, che offra ai ragazzi prospettive reali di crescita e partecipazione. Come pastore, ritengo centrale rifocalizzare la nostra attenzione sui giovani, anteponendo la sincera curiosità di conoscerli alla tentazione di giudicarli».
La criminalità è anche sempre di più “infiltrata” nell’economia e a volte, come le inchieste dimostrano, nella politica. In che modo è possibile sconfiggere questa realtà?
«Come sappiamo, la corruzione è il nutrimento di ogni forma di criminalità, che si accompagna alla disperazione e alla connivenza. Occorre una politica che sappia costruire, non a partire da interessi di gruppi economici, ma realmente ispirata dal bene comune, una politica che valorizzi il lavoro dignitoso e che favorisca la partecipazione democratica alla cosa pubblica, sostenendo la responsabilità di tutti i cittadini nell’edificazione di una società onesta. In tal senso la Chiesa è chiamata a sostenere chi si oppone al malaffare con coraggio, vigilando su ogni forma di ingiustizia».
Un grande lavoro viene fatto in Puglia sull’usura, tramite la fondazione San Nicola e Santi Medici. Che consigli vuole dare a chi si trova in difficoltà e rischia di finire preda degli usurai?
«La crescita della povertà evidenzia la condizione gravosa di chi vive difficoltà economiche, spesso risucchiato da forme di solitudine e isolamento, causate dalla paura e dalla vergogna, anche verso i propri familiari. Questa fatica a riconoscere la necessità di chiedere aiuto porta a soluzioni, quali l’usura, che risultano essere peggiorative. Tale fenomeno sta dilagando all’ombra di una società sorda ai richiami che vengono dalle analisi statistiche. Ritengo necessario che sia importante parlarne, condividere la propria difficoltà, non arrendersi alla logica del “non ho altra scelta”. Anche qui urge ripartire da percorsi educativi e da opzioni politiche serie, che guardino a questo mondo con audacia e con coraggio. Non è possibile accettare che tra i protagonisti nel campo del gioco d’azzardo, accanto alla criminalità, ci sia anche lo Stato».
Lo scorso 29 dicembre si sono aperte le chiese giubilari, dopo l’apertura delle Porte Sante da parte del Papa. Qual è l’importanza di questo anno giubilare per Bari e la Puglia?
«L’apertura dell’Anno Santo a Bari ha visto una grande partecipazione di fedeli, segno che la fede e la ricerca di senso sono vive e che la Speranza non è una vuota illusione. Il Giubileo, in fondo, è una con-vocazione, una chiamata gioiosa a ricentrarsi sul mistero salvifico di Cristo, capace di risollevare la vita da quelle situazioni che la schiacciano. Le chiese giubilari nelle nostre diocesi sono l’opportunità offerta a tutti per contattare la gioia che nasce dal perdono di Dio, potendo vivere un autentico rinnovamento spirituale. Ognuno di noi, nel suo cuore, ha una porta da aprire alla misericordia del Signore e alla fraternità, per ritrovare il cammino verso la santità».
Quali sono i suoi propositi per questo 2025? E che anno pensa che sarà per la nostra comunità?
«Sono quasi all’inizio del mio quarto anno come vescovo di Bari-Bitonto, comunità che sto imparando ad amare sempre di più e per la quale cerco di spendermi con dedizione e amore, in ascolto delle sue gioie e sofferenze, e annunciando la speranza che viene da Cristo. Per la nostra comunità, sogno un anno di maggiore unità e solidarietà, in cui nessuno si senta abbandonato e tutti possano riscoprirsi parte di una famiglia più grande. “Ascoltando il futuro” ciò che ci attende è un percorso impegnativo, che presenta la sfida del lavorare insieme, per la crescita di tutti. Essere un cuor solo e un’anima sola non è un miraggio, ma la consegna che abbiamo ricevuto dal Signore, nella quale è seminata la speranza di un futuro che possa essere di pace e di giustizia».
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