“O uno di noi, o andiamo da soli”. Furia Lega contro le mire FdI in Veneto

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Anno nuovo, stesso problema. Non ci sarà un terzo mandato per Luca Zaia. Il Veneto, roccaforte leghista, diventa non solo contendibile ma pretendibile anche dagli alleati di governo, Fratelli d’Italia in testa. “Scegliere il candidato tocca a noi”, ha tuonato il ministro ai rapporti con il Parlamento Luca Ciriani, intervistato dalla Stampa. Un affondo respinto dalla Lega, che si compatta: “Non decida Roma, altrimenti andiamo da soli”.

“Fratelli d’Italia nel Nord-est è stato di gran lunga il primo partito e mi pare impossibile pensare che non tocchi a noi indicare il nome”. Firmato Luca Ciriani, ministro meloniano e storico volto di FdI. Se parla lui così, il mandato è chiaro: tagliare le gambe all’agitazione leghista, quindi alle mire di rimpasti salviniani e alle velleità di governo semi-perenne di Luca Zaia. La voce corre spedita fino a Padova, Venezia, Treviso. Quello di Ciriani viene letto come un affronto: “Ma Ciriani è veneto?”, scrive un leghista in chat. “No, è friulano, di Pordenone”, è la pronta risposta. “E allora grazie dell’interessamento, ma passo”.

La partita è grossa: la regione va al voto in autunno e non è la prima volta che i Fratelli ammettono la volontà della capa. Anche perché la Lega controlla il Veneto, il Friuli-Venezia Giulia, la provincia di Trento e soprattutto la Lombardia; galleggia tra l’8 e il 9% mentre FdI è stabile sotto il 30% ma governa solo Abruzzo, Marche e Lazio. “Qualcosa va rivisto, nei rapporti di forza e anche nelle regioni”, è il pensiero espresso più volte a mezza bocca dai meloniani. Lì, in Veneto, FdI ha una buona squadra, nomi spendibili per strappare il ticket da candidato governatore. Lo stesso Luca De Carlo – senatore di FdI e lui sì, veneto – ad agosto aveva proposto lo stesso ritornello di Ciriani: “Abbiamo raccolto il 37% dei voti in regione ed è inevitabile un nostro candidato”.

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L’orgoglio è ferito. Il primo a parlare è Paolo Borchia, capo dei patrioti italiani in Europa e leghista di Verona: “La Lega è il Veneto e viceversa: non possiamo permettere che altri decidano per noi”, è il post con cui Borchia boccia la linea di Ciriani e sposa invece il diktat di Alberto Stefani, segretario regionale del Carroccio, che ieri si era espresso così sul Gazzettino: “Il Veneto spetta a noi, altrimenti andiamo da soli”. Un atteggiamento di sfida verso Roma, apprezzato anche da Roberto Marcato, assessore regionale e zaiano di ferro, che ad HuffPost butta giù le condizioni per i partiti nazionali: “Primo, in Veneto decidono i veneti. Secondo, se si trova una quadra con un candidato leghista per il centrodestra bene, altrimenti la Lega vada da sola con un suo candidato, magari appoggiata da una lista Zaia, una di partito e una autonomista”. 

Il malumore per le poche regioni governate, dentro via della Scrofa, “è comunque comprensibile”, ammette Marcato pur rigettando questa “ingerenza abnorme e inaccettabile”. Però, continua, “se loro fanno bene a rivendicare un posto, noi dobbiamo spiegare che la partita è veneta e non romana, sennò succede come in un’altra regione autonomista, la Sardegna e si perde”. Non è sorpreso della sortita meloniana un altro amministratore come Mario Conte, sindaco di Treviso finito nella lista dei papabili successori di Zaia: “Le regionali non sono le europee, la base leghista qui è in continua crescita e chi va a governare deve essere espressione del Veneto”. Anche a costo di andare da soli, è la ripetuta minaccia: “Dalle dichiarazioni del ministro mi pare che Fdi stia stabilendo le regole del gioco per tutti e che vogliano fare una corsa solitaria. Va bene, noi siamo pronti”.

Matteo Salvini e la Lega sono stretti in una tenaglia. Anche perché dall’altra parte, quella di Forza Italia, l’uscita di Ciriani viene apprezzata. “Ma certo che il nome per il Veneto si decide al tavolo romano”, spiega ad HuffPost l’europarlamentare azzurro Flavio Tosi, ricordando che “anche Zaia è stato scelto a Roma, non con un referendum in regione”. Di più: “La minaccia leghista di andare da soli è irresponsabile e vuota, sono sovrarappresentati al Nord e FdI in Veneto è forte”, perciò gli impenitenti leghisti “alla fine si adegueranno”.

La soluzione ci sarebbe. E ancora una volta si chiama terzo mandato. Dopo il tentativo leghista, avanzato per ricandidare Luca Zaia ma bloccato in Commissione, il tema non si è più posto in Parlamento. I mandati due sono e due rimarranno. Discorso compreso pure in Veneto: “Se andiamo al voto a ottobre, ragioniamo sul dopo Zaia e basta”, tagliano corto alcuni amministratori del Nord-Est. 

È tempo di rimboccarsi le maniche. Anche perché le sortite in solitaria sbattono contro il muro della magistratura. Il caso di Vincenzo De Luca, presidente della Campania in scadenza, finirà sul banco del governo dopo l’Epifania. De Luca aveva fatto approvare una legge regionale per introdurre un terzo mandato in Campania ma la norma non è andata giù ai consiglieri di opposizione, che hanno ricorso al Tar ancora prima dell’impugnazione, probabile ma ancora non confermata, da parte dell’esecutivo nazionale. La strada campana, che aveva ingolosito anche i leghisti veneti, è da considerarsi sbarrata. E anche l’idea salviniana di rinviare il post-Zaia al 2026, facendo così passare le Olimpiadi, viene chiusa dal solito Ciriani: “Non capisco quali siano le basi giuridiche”. Anno nuovo, stesso problema. 



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