Il 2024 è stato un anno caldissimo sul fronte delle rivalità geopolitiche e dell’ampliamento di molti scenari bellici. Lungi dal portare stabilità, l’anno passato ha segnato venti di tempesta per tutte le maggiori crisi geopolitiche internazionali.
In Ucraina la guerra si è rinfocolata e si è arrivati a una situazione di crescente vantaggio tattico della Russia nel Paese invaso nel 2022; in Medio Oriente la guerra di Gaza si è ampliata in crisi regionale e in particolare Israele ha colpito duramente il Libano ampliando anche il suo confronto con l’Iran; delle tre maggiori guerre civili in corso, i combattimenti sono proseguiti con crescente violenza in Myanmar e Sudan, mentre solo in Siria si è avuta un’improvvisa risoluzione dopo l’offensiva che in dieci giorni ha portato, tra fine novembre e inizio dicembre, al collasso del regime di Bashar al-Assad.
Nel 2025 i fronti caldi partono senza, nel breve periodo, prospettive concrete di risoluzione. E per l’anno appena iniziato indichiamo almeno tre teatri come degni d’attenzione per possibili esplosioni conflittuali: Afghanistan, Congo, Yemen.
Afghanistan, il braccio di ferro di confine tra i Talebani e il Pakistan
Quello tra fine 2024 e inizio 2025 è stato un passaggio d’anno complicato e sanguinoso in Afghanistan al confine col Pakistan. I Talebani che dal 2021 hanno ripreso il controllo del Paese centroasiatico hanno visto l’Afghanistan bersagliato da incursioni aeree e attacchi d’artiglieria pakistani, oltre che da operazioni di forze speciali dell’importante Paese limitrofo, a lungo tra i maggiori sostenitori degli Studenti Coranici.
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Il Pakistan ritiene che nei porosi confini montani che lo separano dall’Afghanistan trovino rifugio i militanti del gruppo Tehreek-e-Taliban Pakistan (Ttp), ritenuto terrorista da Islamabad e che in una serie di attacchi ha ucciso decine di membri delle forze armate pakistane a fine dicembre.
Tramite il rappresentante speciale in Afghanistan, Asif Durrani, il governo pakistano di Shehbaz Sharif ha a fine 2024 sottolineato come i Talebani abbiano difficoltà a gestire l’attività del Ttp e del gruppo terrorista dell’Isis-K, giustificando le incursioni oltre confine. A marzo, settembre e dicembre tre diversi momenti hanno visto l’aumento dell’attività militare pakistana. Complessivamente, 900 persone sono morte tra civili e militanti dei Talebani e dei gruppi islamisti in Afghanistan per azioni compiute dal Pakistan, che denuncia la perdita di 400 uomini tra soldati e poliziotti negli attacchi del Ttp nel 2024.
L’ultima tornata di scontri è stata la più grave e lascia temere che in futuro possano emergere vere e proprie escalation. “È improbabile che i talebani accettino qualsiasi richiesta pakistana di azione contro i leader del TTP nelle aree di confine dell’Afghanistan con il Pakistan“, nota Al Jazeera. Fondamentalmente, infatti, “tale azione interromperebbe l’equilibrio dei talebani con il TTP e aprirebbe spazio ad altri gruppi più estremisti come la provincia dello Stato islamico del Khorasan (ISKP)”. Ironia della sorte, “i leader talebani stanno impiegando la stessa logica che il Pakistan ha utilizzato per quasi due decenni, respingendo le richieste dell’ex governo afghano e degli Stati Uniti di frenare le attività degli Studenti Coranici all’interno dei suoi territori”. La possibilità di un’escalation degli scontri non va sottovalutata.
Congo, l’ombra delle ribellioni
Tra i teatri potenzialmente in grado di infiammarsi non va sottovalutato poi l’eternamente instabile Congo, che nel 2024 ha conosciuto l’ennesimo anno di precarietà, scontri settari e divisione di fatto del suo immenso territorio. L’anno si è chiuso col colpo di Kinshasa, che ha deciso di far causa in Francia e Belgio contro le succursali di Apple accusate di far uso di minerali strategici per la manifattura tecnologica estratti da gruppi armati che hanno commesso crimini di guerra o operano illegalmente sotto la supervisione dell’ambizioso Ruanda.
Il 2025 inizia con la stessa, continua serie di problematiche che da tempo affliggono il Congo, dalla divisione politica all’esplosione di malattie come il Mpox e un nuovo tipo di virus respiratorio ancora non classificato.
Sul piano militare la situazione si è deteriorata per l’assertività del vicino Ruanda e la volontà del presidente Paul Kagame di egemonizzare aree importanti del grande vicino: “Nel 2022, i ribelli M23 sono riemersi dopo cinque anni di inattività e hanno ottenuto il controllo di gran parte della provincia del Nord Kivu entro luglio 2023″, scrive il Council of Foreign Relations ricordando che “Kinshasa, insieme a numerosi governi stranieri, ha ripetutamente accusato Kigali di finanziare e sostenere la rinascita di M23”, ma al contrario il Ruanda, governato dal capo delle milizie tutsi che nel 1994 posero fine al genocidio, “accusa Kinshasa di sostenere milizie estremiste hutu come le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (FDLR). Il Ruanda mantiene una significativa presenza militare nella Repubblica Democratica del Congo orientale e lungo il confine condiviso dei paesi”, ricorda il Cfr.
A fine luglio, come ricordato su queste colonne da Mauro Indelicato, il presidente congolese, Felix Tshisekedi ha fatto notare che “l’idea di una guerra aperta con il Ruanda non è da scartare”. Con questo timoroso pensiero l’Africa centrale si avvia verso un 2025 atteso come anno di grandi divisioni e rivalità con la principale bomba a orologeria dell’area tutt’altro che disinnescata.
Yemen, le bombe di Israele possono riaccendere il conflitto?
Infine, una guerra congelata che da fuori qualcuno potrebbe aver tutto l’interesse a riaccendere è quella dello Yemen, Paese in cui all’ombra della riappacificazione tra Iran e Arabia Saudita nel 2023 è stato siglato il cessate il fuoco tra il governo centrale, a lungo appoggiato da Riad e dagli altri Paesi del Golfo, e le milizie Houthi, vicine a Teheran.
Da quando a fine 2023 gli Houthi hanno lanciato l’attacco al traffico navale nel Mar Rosso per colpire i Paesi accusati di sostenere Israele a Gaza e i loro interessi commerciali, i Paesi del blocco euroatlantico sono intervenuti per evitare il blocco della via marittima più strategica sull’asse Est-Ovest.
L’operazione marittima Prosperity Guardian e quella aerea Poseidon Archer a guida americana e sostegno britannico hanno colpito le postazioni Houthi in Yemen dal gennaio 2024 in avanti, mentre la missione europea Aspides ha fornito sostegno navale in risposta ai raid. Negli ultimi mesi, Israele si è unita ai raid privilegiando gli obiettivi strategici del territorio controllato dagli Houthi, come le centrali elettriche e l’aeroporto della capitale Sana’a, alzando l’asticella fino a dichiarare di voler colpire i capi delle milizie sciite yemenite. La sfida di Israele è fare dello Yemen il terreno di coltura di una nuova coalizione capace di colpire direttamente o indirettamente l’Iran e mirare a richiamare nel teatro i Paesi arabi, mantenendovi attivi gli Stati Uniti. Nel Paese a Sud della Penisola arabica ogni bomba lanciata dagli F-16 e F-35 di Tel Aviv mirerà a questo: e c’è la possibilità che la “guerra grande” del Medio Oriente torni a lambire il disastrato Yemen. Con le ovvie conseguenze politiche e umanitarie del caso.
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